Polli e pollastri

mercoledì 4 agosto 2021, di Sergej


C’è una favola di Esopo che riguarda una donnola e un gallo. La riportiamo così come più o meno ci è stata tramandata.

La donnola e il gallo

Una donnola, avendo catturato un gallo, volle mangiarlo con un buon pretesto.

E così lo accusava di essere nocivo agli uomini, dato che gridava di notte e non lasciava per caso spazio al sonno.

Rispondendo quello in sua difesa che faceva ciò per l’utilità di quelli, così che si svegliassero per le consuetudini delle azioni, di nuovo la donnola addiceva il motivo che fosse empio di natura, dato che faceva l’amore con la madre e le sorelle.

Avendo quello risposto che faceva anche ciò per il vantaggio dei padroni, dato che in quel modo erano fatte per loro molte uova, la donnola, dicendo:

“Ma se tu ti giovi di molte risposte appropriate, io certo non resterò digiuno”, lo sbranò.

La favola insegna che un’indole malvagia quando decide di soverchiare qualcuno, se non può con una buona scusa, certo fa del male senza falsi motivi.


La favola è più o meno simile alla favola del lupo e dell’agnello, ma la presenza del gallo ci rimanda a un’altra vicenda, storica e che riguarda la storia della filosofia. La morte di Socrate - e ricordiamo come Socrate pochi giorni prima della sua morte si era dedicato a una versificazione delle favole di Esopo - e l’ultima frase che, pare, abbia detto prima di morire (dopo aver bevuto la cicuta): “E domani, ricordatevi di sacrificare un gallo ad Asclepio”. Socrate, cittadino ateniese condannato a morte dalla sua città, richiama l’usanza del sacrificio del gallo, come rito di ringraziamento - tipico rito di ringraziamento, segnalano gli studiosi, dopo che si era guariti da una malattia. Una strana richiesta, hanno sempre chiosato alcuni studiosi. Non strana se si pensa a che tipo di filosofo era Socrate. Non un filosofo affermativo, uno che diceva: io la penso così, questa è la verità. Socrate era un "maestro" di altro genere. Non era neppure un sofista, uno che riusciva a far passare per verità qualsiasi cosa (così come verranno accusati i sofisti di essere). Era uno che poneva delle domande a una persona, e man mano, basandosi sulla coerenza stessa del ragionamento di quella persona, ne metteva in luce i limiti, le contraddizioni. Socrate era questo tipo di confutatore. A un certo punto la sua attività venne ritenuta dalla città pericolosa, eversiva, e fu condannato. Ma Socrate fino all’ultimo fu coerente con la sua attitudine: seguì pedestremente e fino alle estreme conseguenze quello che la città pensava e ordinava. Nel momento in cui obbediva alle leggi della città ne dimostrava l’estrema inconsistenza. Socrate era un eversore reale.

Atene in quel momento era una città che amava presentarsi come "democratica", ma che attuava una politica all’estero di tipo imperiale, compiendo stragi e tentando invasioni in nome della "democrazia". E che al suo interno aveva feroci contraddizioni politiche, che esplodevano poi nella contrapposizione tra "oligarchi" e "democratici", ma che attraversavano entrambi gli schieramenti (che poi non erano solo due). Affermando le leggi di Atene, e mostrandone così a cosa esse portavano, e che dunque erano leggi quantomeno assurde, Socrate era un eversore - e come tale non poteva che essere inviso a qualsiasi "governo costituito" salisse al potere.

Naturalmente di gran parte della filosofia greca noi abbiamo tramandati solo autori e scritti dei "vincenti" politici, dei ceti dominanti delle diverse epoche. Non sappiamo quasi nulla della gran parte delle produzioni teoriche e politiche dei democratici non oligarchici - non necessariamente "popolari". La ristretta democrazia ateniese dell’epoca, la più ampia forma di governo dell’epoca, era molto eterogenea - e non necessariamente tutti gli oligarchici erano reazionari fascisti o nazisti (se mai sia possibile fare comparazioni simili per epoche totalmente altra dalla nostra, non solo linguisticamente ma anche concettualmente). Di qualcosa possiamo intuire grazie a qualche residuo in Aristofane o nelle commedie per esempio. E qui ci appare l’altra faccia di Socrate, quella che è poi anche ripresa parzialmente da Diogene Laerzio e da residui frammentari. Come una parte della pubblicistica non oligarchica e soprattutto non-platonica vedeva Socrate: come una caricatura alle cui spalle sghignazzare, tra Santippe che lo mobbizzava ("tanto tuonò che piovve...", chi ricorda questo detto?) e l’astrattezza dei "filosofi" (la nuvola, appunto...). O probabilmente, dei diversi Socrati che in 70 anni di vita Atene ha conosciuto - che noi possiamo intuire siano potuti esistere, ma su cui non abbiamo documentazione certa.


Sergej

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