Remando attorno alla mia stanza

mercoledì 30 settembre 2020, di Sergej

"Quando viaggio nella mia stanza dunque, raramente percorro una linea retta: vado dal tavolo verso un quadro posto in un angolo; da lì mi muovo in senso obliquo per andare alla porta; ma, benché partendo la mia intenzione sia proprio quella di recarmici se lungo il percorso incontro la poltrona, non faccio complimenti, e mi ci accomodo all’istante" (Viaggio intorno alla mia camera, di Xavier de Maistre)

Non so se fosse una caracca. Il modellino in legno, con due alberi fiocco e bompresso che mio zio Elio teneva nello studio. Lo aveva fatto lui, in età di passaggio dall’adolescenza all’età giovanile - lui, con la complicità del fratellino minore - costruiva modellini d’aereo, e strutture volanti che utilizzavano un elastico e un’elica. Lo ammiravo, tenendomi discosto nel divieto impostomi dalla genitrice che conosceva quanto dannifiche potessero essere le mie malaccorte zampine puberali. Non visto, lo toccavo. Nel sfioravo i legni, i piccoli cannoncini sul ponte, una scialuppa di salvataggio dipinta di uno stinto giallo, le sartie e gomene, il tessuto delle vele, e - in cima - le bandierine. Troppo timido per chiedere, non ho mai scoperto - o se mi fu detto, me lo sono dimenticato - che tipo di veliero fosse. Sapevo dai libri letti che esisteva una poppa e una prua, che si poteva andare di babordo: i termini del mondo marinaro si appiccicavano alla mia fantasia, mi riempivano le narici di salsedine e di brezza marina. Da adolescente mi fu regalato un modellino di portaerei da assemblare (la Saratoga?), ma in plastica grigia, con piccoli aeroplanini da far decollare sul ponte: ma non era la stessa cosa di quell’orignario veliero in legno. Tutta un’altra dimensione, e sentimento. Per troppa giovane età e per inesperienza, non credo di essere mai riuscito ad assemblarlo tutto, ogni volta riuscendo solo a imbrattarmi di colla le dita.

Non posso mai dimenticare i diversi posti di mare in cui ho abitato o in cui sono stato: il mare dolce di Senigallia, di Augusta, di Marina di Modica; l’oceano della marina di Lisbona. E i fiumi: il Tevere, il Misa, il san Leonardo, il Simeto… La prima volta che vidi il Po e compresi come poteva essere angosciante un paesaggio piatto e senza l’Etna. Nelle paludi del Biviere si pescava con barche dal fondo piatto, tra i canneti i cacciatori si appostavano in attesa del passaggio dei volatili. Rane (per le quali si usava un termine di derivazione greca attico perché calcidesi erano le popolazioni di quelle zone: larunchi) e anguille erano una riserva indispensabile per i tempi di fame.

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La Sovereign of the seas

Negli anni ho messo naso ai libri che parlavano di navi e di navigazione. Le avventure dei pirati e dei corsari. Moby Dick, l’isola del tesoro e Sandokan, la Tortuga e Mompracem. Le diverse tipologie di velieri. L’Amerigo Vespucci da ammirare. Una gita su un caicco. Lo stupore su quanto piccole fossero le caravelle e rimpinzate di persone. E le storie di barche e navi famose: la Victory in cui morì l’ammiraglio Nelson - che aveva a Bronte una tenuta che lo aveva fatto diventare uno dei più ricchi feudatari dell’isola; l’Endeavour di James Cook; il Vasa, il vascello di re Gustav II di Svezia, che affondò lo stesso giorno in cui fu varato; lo scontro tra l’Invincible Armada e sir Francis Drake (lui, a bordo della sua Golden Hind, fece una famosa circumnavigazione del pianeta); la triste vicenda del brigantino Bounty; i galeoni; la Niña la Pinta e la Santa Maria, due caravelle e una nau portoghese; le imbarcazioni vichinghe ritrovate e custodite in musei appositi per preservare il legno nel tempo (il suono del corno, per Odino, l’urlo del guerriero cornuto, il funerale vichingo del film “What We Did on Our Holiday”); i rostri delle navi romane e i ponti con cui i romani affrontarono i cartaginesi simulando di trovarsi in un combattimento di terra; le piatte trireme greche; le imbarcazioni egiziane sul Nilo; la prova che fece sul Kon-Kiki Thor Heyerdahl in navigazione solitaria di attraversamento dell’oceano Pacifico; le virtù del catamarano che permette di “sentire il mare” meglio di una piroga...

In una teca, nel mio studio, ho la riproduzione in legno di un veliero famoso, la Sovereign of the seas (Sovrana dei mari) voluta dal re Carlo I d’Inghilterra e che rimase in servizio dal 1638 al 1696 - nave da guerra e da spacchiamento dei sovrani inglesi. La trovai in acquisto già montata, a costo ridotto perché con l’asta di una bandierina staccata. Improvvisamente in quel momento tornai bambino, gli occhi sgranati davanti al veliero poggiato su un mobiletto, nello studio di mio zio. Le grandi imbarcazioni in legno conservano un fascino imprescindibile. Nulla a che fare con le successive navi e imbarcazioni in metallo.


In margine alla recensione del libro di Carlo Ruta, "La lunga età del legno".



Sergej

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