Con la puzza sotto il naso

giovedì 22 settembre 2005, di Aldo Zappulla

Una notte al campobase della discarica Italcave. La lotta dei cittadini di Statte. Siamo sulla strada Taranto-Statte, è la notte del 19 settembre. Un articolo di Cataldo "Aldo" Zappulla.

Calde risate ci vengono incontro già decine di metri prima di incontrare i volti dei manifestanti, dinanzi al cancello dell’Italcave nella zona siderurgica più grande d’Europa. Sulla strada Taranto-Statte, al chilometro tre (in contrada La Riccia-Giardinello) è stato montato il campobase degli abitanti delle contrade stattesi Feliciolla, Leucaspide e Zappalanotte.

È la notte di lunedì 19 settembre. Verso le 21,30 ci sono ancora quindici auto parcheggiate sul ciglio stradale e trenta persone bivaccano sotto ai due gazebo, due passi più in là del cancello, lungo quindici metri, della discarica. Sembrano sereni e decisi ad andare avanti con la protesta fino a quando la discarica Italcave non sarà chiusa. Pensano di avere ragione, ma soprattutto questi cittadini italiani di serie ‘B’ non ce la fanno più a tenere chiuse le finestre anche d’estate per la puzza della discarica di seconda categoria, tipo ‘B’. Ai gazebo non hanno bisogno di portare lanterne o torce da campeggio. Una luce arancione, innaturale, rischiara i volti dei manifestanti. A tratti quella luce si fa intensa. Succede quando la fiammata alta qualche decina di metri dell’Acciaieria II si fa minacciosamente notare sull’altro lato della strada. Di fronte c’è il colosso dell’Ilva, poco più in basso si erge la sua ciminiera più alta, duecentododici metri, del cosiddetto agglomerato di minerali.

Quando andiamo per ascoltarli, sono sei giorni che i residenti dei quartieri più vicini alla ‘monnezza’ a turno si siedono sulle sedie di plastica impilabili sotto ai due gazebo, giorno e notte, incuranti di essere schedati e filmati, per dire “basta, non vogliamo essere la spazzatura d’Italia”. La discarica, ci comunicano i manifestanti, è già utilizzata al trenta per cento: “Quando l’avranno riempita tutta dove ce ne andremo per non sentire quel fetore persistente?”

Appena arrivati e fatte le presentazioni, “sei della Digos?”, in molti fanno segno di parlare con un signore dalla barba bianca. Guglielmo ci spiega la lunga vicenda della discarica nata sul cratere tondo, enorme, di una parte della cava, con l’aggravante secondo i nostri interlocutori, che il ‘buco’ appartiene alla famiglia Caramia, originaria di Statte. Varie volte il discorso di Guglielmo viene interrotto da voci concitate, che si sovrappongono aggiungendo aneddoti, correggendo e ribadendo i concetti, poiché tutti vogliono raccontare e sfogarsi. Tutti ci tengono a dire la loro stando attenti a non sbagliare.

“Il nostro è un territorio martoriato” dice Guglielmo, “già dieci anni fa questa zona fu riconosciuta dal governo Andreotti e dall’Organizzazione mondiale della sanità ad alto rischio ambientale”, prosegue il signor Piero, un giovane pensionato calvo e magrissimo, guardandoci con due occhi che scavano dentro. Due poliziotti rintanati in auto, davanti alla cancellata, ci guardano distrattamente mentre Piero, che usa un linguaggio politicizzato, ci dice che si sono fermati qui già duemila cittadini per manifestare solidarietà alla loro lotta. “A maggio abbiamo fondato il comitato degli abitanti della Feliciolla, ma viste le adesioni è diventato un comitato cittadino, nato spontaneamente perché abbiamo preso coscienza della gravità del problema. Accogliamo tutti coloro che vogliono darci una mano”, prosegue il signor Piero, “scriva che è stato il comitato a decidere di venire qui. Pensi che la prima a manifestare davanti a questo cancello (della discarica) è stata una donna con una bimba di sette mesi in braccio”. Da tutta Statte è venuta gente e continua a venire, ma sempre meno, come gli abitanti del vicino quartiere operaio dei Tamburi di Taranto. Uno striscione eloquente, infatti, chiede agli automobilisti di fermarsi e stare con loro. Un iscritto a Legambiente di nome Tonino ci mostra vecchi articoli di giornale diligentemente custoditi in una cartellina. Alcuni risalgono al 1995, un volantino porta la data dell’1 marzo 1997 ed è un invito a manifestare per la tutela dell’ambiente contro il rischio Italcave. La pensano tutti così al Campobase dell’Italcave: “Questa discarica è illegale perché sorge a meno di due chilometri da numerose aziende - compreso un magazzino alimentare - masserie (ancora abitate) e le case” dei presenti che hanno scelto per difendere il diritto alla salute l’avvocato Quinto di Lecce.

I politici sono andati quasi tutti a trovare gli ‘stattaruli’ in lotta, compreso il presidente della provincia Gianni Florido che si è affacciato martedì 20, poche ore prime che si verificasse una sorpresa annunciata: alle due di mattina del 21 settembre venti camion pieni di immondizia sono entrati in discarica guardati a vista dagli agenti di pubblica sicurezza.

I manifestanti ci mostrano il responso chiesto dalla Provincia il 5 luglio scorso (avuto anche dall’Arpa regionale con esiti diversi) al Dipartimento di prevenzione della Asl di Taranto, Servizio di igiene, secondo cui “le esalazioni maleodoranti dipendono dai gas immessi in atmosfera” dalla discarica Italcave e contengono “acido solfidrico, ammoniaca, idrocarburi volatili pericolosi per l’ambiente esterno e tossici per l’uomo”.

Verso le dieci e mezzo di sera arriva un signore da Statte con due vassoi di focacce calde. I presenti lo ringraziano, ma è lui a dire ‘grazie’ perché sono lì a protestare. Il copione è ormai solito, ci dicono: molta gente a tutte le ore passando lascia caffelatte, focacce, qualcuno porta anche le birre. La protesta da pacifica diventa così godereccia, il che allevia la fatica di resistere all’umidità della notte che ci stropiccia il blocco degli appunti.

Dopo le undici di sera si fermano due ragazzi, Marco e Donato. Nel frattempo alla cancellata sono rimaste poco più di sei persone. Il ragionamento slitta sulla crisi occupazionale e sulle difficili condizioni di vita dentro lo stabilimento che assorbe tutto e tutti. I due giovani lavoratori sono diplomati, svegli ed informati sui loro diritti negati. Hanno appena staccato dal secondo turno in Ilva, naturalmente. Poco più tardi si avvicinano tre macchine. Sono alcuni ragazzi di Statte di ritorno dalla serata in giro per Taranto. A seguire ne arrivano altri. Verso le tre in molti vanno a prendere l’ennesimo caffè, mentre l’andirivieni dei pullman sia gialli che blu, frenetico fino a qualche ora prima - annotiamo quello diretto più lontano che mostra la scritta Lecce - è quasi del tutto fermo. Il più scherzoso del gruppo ora è Gregorio (gli manca qualche mese per avere l’amianto e dunque il pensionamento dall’Ilva) che si chiede “dove andranno gli anziani la sera mò che smontiamo le tende da qui?” Manca poco alle sei, al cambio di turno. Altre facce, altre storie da ascoltare, ma la puzza patita nei mesi passati è la stessa per tutti.

Il signor Carmine (che gli altri sfottendo chiamano padre Pio per via della barba somigliante a quella del frate di Pietralcina) ci mostra il tendone in tubolare arrugginito e con un accento campano conclude: “Siamo pronti a fare Natale. E sotto a ‘sto gazebo ci mettiamo pure il presepe”.


Aldo Zappulla

:.: Città invisibili

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