Benvenuti nel più grande spettacolo del mondo

mercoledì 11 marzo 2020, di Sergej

Tra la fine del 2019 e il marzo 2020 fu organizzata la più grande esercitazione collettiva del nuovo Mondo unificato, uno show chiamato “Epidemia covid-19”.

Tra la fine del 2019 e il marzo 2020 fu organizzata la più grande esercitazione collettiva del nuovo Mondo unificato, uno show chiamato “Epidemia covid-19”. Furono mobilitati milioni di persone come protagonisti virtuali, e circa 8 miliardi di spettatori. Tutte le tv, tutti i giornalisti, tutti gli opinionisti possibili. E acnora: politici, comparse, mezzibusti, showman e showgirl. Un grande sforzo produttivo. Dopo la “Guerra del Golfo” e il mezzo flop della “Guerra siriana”, fu il primo nuovo grande spettacolo in cui la Cina fu protagonista al posto degli Stati Uniti che fino ad allora era stata l’immancabile protagonista. Cambiamenti non da poco, e dal punto di vista storiografico, significativi.

La società dello spettacolo non ammette altra realtà che quella dello spettacolo. Così come il consumismo non ammette altra realtà che il consumismo - per cui per la società del consumismo lo spettacolo “Epidemia covid-19” è stato uno dei momenti più alti della società del consumismo. E via così.

Nel 1575 ci fu a Palermo un episodio cruentissimo di morbo. Una epidemia, di quelle che la storia europea d’età moderna conosce come quella famosa del 1348 (la "peste nera" di Boccaccio). Appena la popolazione umana aumenta e si assembla nelle città, scattano le epidemie che hanno come effetto quello di decimare le popolazioni e far ripartire la storia.

Nel 1575 il morbo a Palermo ebbe meno morti di quanto accadde in città simili o in altre parti dell’Europa. Il fatto è che a contrastare il morbo fu dato pieno potere a un medico, ormai anziano ma di grande autorità e polso, Giovanni Filippo Ingrassia. Egli fece ciò che in Europa s’era fatto ma sempre sporadicamente e senza sistematicità: impose gli isolamenti, impose le quarantene, e le fece rispettare con l’esercito che - stavolta evidentemente - eseguì meglio che altre volte. Fu, quella di Ingrassia, un’azione importante ed esemplare, che "fece scuola" come si dice. Da allora si ricorre fondamentalmente ai sistemi di Ingrassia in caso di epidemia.

Di epidemie (di peste e altro) la storia umana ne ricorda. Oggi gli studiosi ricostruiscono, fanno congetture, raccolgono il materiale documentario. Così si ricorda della peste di Atene che sfibrò la resistenza della città in guerra contro Sparta; o la serie di epidemie che afflissero l’Impero romano (la Roma degli Antonini ecc_). Nel medioevo le cose si ingarbugliano a causa delle difficoltà di documentazione - ma i viaggiatori arabi ci narrano di un continente ridotto alla stadio belluino, puzzolente e pieno di malati; e quando i baldanzosi crociati occuparono Gerusalemme, la peste che scoppiò in città face più vittime tra i cristiani che non tra gli arabi: gli europei non si lavavano, i musulmani sì.

Gli europei atlantici che conquistarono le Americhe sterminarono gli indigeni grazie a virus e batteri che essi portarono nel nuovo continente, e verso cui gli indigeni erano del tutto impreparati ad affrontare. Non avevano gli anticorpi. Né gli europei erano interessati a insegnare agli indigeni come proteggersi dalla guerra batteriologica loro dichiarata.

Gli Stati nati dalle guerre batteriologiche europee continuano ad avere un particolare orrore per i batteri e sono sempre pronti ad accusare il Nemico di star preparando la peste bubbonica: vi ricordate Saddam Hussein? No, non ve lo ricordate più. E dell’ "antracite" diffusa negli Stati Uniti all’indomani delle Torri Gemelle? No, anche questo è caduto nell’oblio.

La cosa più interessante è forse un’altra. Che dopo tutti questi secoli, e all’interno della civiltà che vanta le conquiste più avanzate di scienza e tecnologia, appena c’è un’epidemia la risposta avviene secondo due sole direttrici culturali:

- la superstizione, così come nell’epoca pre-industriale;

- la risposta militare, così come si faceva nel XVI secolo.

Le democrazie occidentali rispondono all’epidemia con la restrizione delle libertà democratiche. Alcuni persino cominciano a dire: Ma guarda un po’ che grande Paese che è la Cina, che con la forza ha debellato l’epidemia: quasi quasi... Paese che vince diventa modello, e la cosa è forse anche più pericolosa di un’epidemia.

Scienza e tecnologia non hanno saputo trovare metodi validi che impediscano gli effetti più nefasti delle epidemie. No, non si tratta di impedire "le" epidemie. Un virus in sé potrebbe anche essere del tutto innocuo. La morte dell’infestato è un effetto indesiderato, per il virus il paziente è un mezzo di trasporto e una riserva di cibo. Teoricamente non sarebbe affatto interessato ad ammazzare l’ospite (cioè noi), anzi. I virus non sono bombe intelligenti, ma hanno effetti collaterali. Anche le case farmaceutiche non sono interessate a uccidere i virus né a fermare le epidemie - su cui sono possibili lauti guadagni -. Per scienza e tecnologia si tratta di trovare sistemi - medicine, biopellicole, filtri, impianti genomici o interventi genetici - che eliminino gli effetti collaterali. Il fatto che non si riesca a contrastare queste epidemie se non con sistemi "hard" e pre-scientifici, la dice lunga di quanto arretrati siamo tecnologicamente e scientificamente.

I ricchi sono già espatriati o si sono rinchiusi nei loro bunker antiatomici.

Per i politici, da sempre, si tratta di approfittarsi dell’emergenza per far passare quei provvedimenti che nell’equilibrio tra forze democratiche non potrebbero mai passare. Già ora il governo della Terza Repubblica italiana sta prendendo provvedimenti che mai nella Prima Repubblica sarebbero mai potute passare. E si sa, quando passa una cosa poi la gente si abitua - dicono quelli che stanno al potere.

Per tutti noi pezzenti si tratta, come sempre, di aspettare che passi a’ nuttata. Fino alla prossima epidemia.



Sergej

Linking

Parole chiave

Home page