Sale Bingo e slot machine, un fiume di denaro nelle casse del clan Romeo-Santapaola

giovedì 3 ottobre 2019, di Antonio Mazzeo

Per comprendere la portata del volume di affari del gruppo messinese con a capo Vincenzo Romeo nel settore giochi e scommesse è utile riportare il tenore di una conversazione del 26 agosto del 2014 tra il Romeo stesso e tale Benedetto Ardito

Una stima è operazione impossibile, ma di certo nelle casse della famiglia dei Romeo-Santapaola da Messina sono transitati diversi milioni di euro grazie alla gestione di sale bingo, slot machine e centri scommesse su eventi sportivi di ogni genere. E’ quanto emerso dalle indagini della Procura della repubblica di Messina nell’ambito del procedimento penale Beta sulla cellula mafiosa peloritana imparentata e partner del clan guidato da don Benedetto Nitto Santapaola. Sugli imponenti affari che ruotavano intorno agli apparecchi da intrattenimento controllati dalla famiglia Romeo-Santapaola congiuntamente a importanti operatori del settore si è soffermato nel corso dell’ultima udienza del processo Beta uno degli inquirenti che ha svolto buona parte delle indagini, il funzionario di Ps Benedetto Russo, in servizio all’Unità operativa speciale, sezione anticrimine di Messina.

“Per comprendere la portata del volume di affari del gruppo messinese con a capo Vincenzo Romeo nel settore giochi e scommesse è utile riportare il tenore di una conversazione del 26 agosto del 2014 tra il Romeo stesso e tale Benedetto Ardito, responsabile commerciale della HBG Connex S.p.A., una ditta che si occupava della gestione di apparecchi da intrattenimento, sale bingo e dei servizi connessi alla loro funzionalità”, ha riferito Benedetto Russo. “Ardito si relazionava con Vincenzo Romeo e gli chiedeva in sostanza di conoscere quali fossero i termini di soldi introdotti in ogni singola slot machine che lui gestiva. Romeo inizialmente rappresentava al suo interlocutore che ogni apparecchio da intrattenimento riusciva a fare una somma che si aggirava mensilmente tra i quarantacinquemila e i cinquantamila euro ad apparecchio. Alla fine dalla conversazione veniva fuori che per quanto riguarda sempre le slot machine, Vincenzo Romeo per un periodo di tempo aveva gestito le sale bingo di Messina-Tremestieri e Milazzo nonché quella vicino a piazza del Popolo. Sempre lo stesso Romeo affermava che riusciva a fare di introito circa 250-300 mila euro mensili”.

Quel tale signor Giovanni Marano da Catania

Benedetto Ardito, imprenditore originario di Lamezia Terme e residente a Mascalucia, in quel periodo era responsabile di alcune sale gioco site a Catania e Biella e si stava occupando di fare una specie di attività di marketing, cioè un censimento delle aree geografiche dove erano posizionati i Bingo. “Così Ardito chiedeva a Vincenzo Romeo quanti fossero gli apparecchi da intrattenimento che lui gestiva e quest’ultimo precisava che erano un centinaio, specificando però che una parte di queste apparecchiature erano di proprietà di Giovanni Marano”, ha aggiunto l’inquirente. “Per quanto riguarda la figura di Giovanni Marano abbiamo accertato durante l’attività di indagine che lui era genero di Antonio Padovani perché ne aveva sposato la figlia Maria Cristina. Il Padovani aveva avuto delle problematiche con la giustizia: in particolar modo, il 16 luglio del 2014 era stato tratto in arresto in esecuzione dell’ordine di carcerazione emesso della Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Caltanissetta poiché ritenuto responsabile del reato di cui all’articolo 12 quinques della legge 306 del 1992 per aver agevolato la famiglia mafiosa Santapaola e quella nissena dei Madonia. Abbiamo documentato, in sostanza, che Antonio Padovani era un imprenditore attivo nel settore delle scommesse e della gestione degli apparecchi da intrattenimento ed era legato alla famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano e per questo motivo era stato condannato a quattro anni di reclusione con sentenza diventata irrevocabile il 5 dicembre 2013. Per i suoi comportamenti Antonio Padovani era stato anche proposto dalla Questura di Catania per l’applicazione della misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza; i giudici di Catania si erano dichiarati incompetenti ed avevano trasmesso gli atti al Tribunale di Caltanissetta che il 12 luglio del 2014 gli irrogava la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno”.

“Dagli elementi racconti durante le intercettazioni era emerso che i rapporti tra Giovanni Marano e Vincenzo Romeo erano precedenti alla nostra attività e che si erano mantenuti stabili nel tempo. Ad esempio, in una conversazione del 24 gennaio 2015 era lo stesso Romeo a confidare al costruttore Biagio Grasso che quando lui aveva conosciuto Marano, gli aveva fatto mettere le macchinette all’interno del Bingo che era riconducibile a Michele Spina, attraverso le sue società. In sostanza è lo stesso Vincenzo Romeo a dire che Giovanni Marano aveva le macchinette e lui prendeva una percentuale per la loro gestione. La sera del 14 novembre del 2014 era stata intercettata invece una conversazione a bordo dell’autovettura in uso a Biagio Grasso, in cui Michele Spina riferiva al Grasso e alla collaboratrice Silvia Gentile che Vincenzo Romeo, all’epoca in cui gestiva le apparecchiature all’interno del Bingo di cui era titolare, ogni quindici-venti giorni riusciva ad accumulare una somma ipotizzata tra i venti e venticinquemila euro. Ovviamente in queste conversazioni era emerso anche che queste somme erano tutte in nero”.

“Dagli accertamenti fatti sino al 2015 noi non abbiamo trovato contratti commerciali formali tra la Bet S.r.l. di cui Marano era socio ed amministratore e le società riconducibili a Vincenzo Romeo. Né abbiamo trovato contratti quantomeno registrati alle banche dati tra la Win Play Società Cooperativa o la Start S.r.l. prima che fosse sostituita dalla Win Play (società riconducibili tutte ai Romeo, NdA) e la Bet S.r.l. e nemmeno rapporti diretti di Vincenzo Romeo con altri soggetti dipendenti dalla Bet. Sicuramente in questo periodo è stata una costante il rapporto tra Giovanni Marano e Vincenzo Romeo. Abbiamo delle conversazioni durante le quali Marano e Romeo parlano di passaggi di assegni oppure di pagamenti di soldi. Sicuramente Marano inviava periodicamente Alfredo Licciardello che era un suo dipendente a Messina per poter fare i conteggi nelle sale dov’erano dislocate le apparecchiature di gioco. In più di una circostanza Giovanni Marano ha chiamato Vincenzo Romeo per chiedergli proprio il pagamento delle percentuali che gli spettavano perché aveva da onorare i pagamenti con Lottomatica”.

Altro uomo di contatto tra il Marano e Romeo sarebbe stato Giovanni Bevilacqua, dipendente della Bet S.r.l. dai primi mesi del 2012 fino al giugno 2014. “Bevilacqua ha costituito a Catania insieme alla madre la Banner Shop; della costituzione si sono occupati sia Biagio Grasso che Vincenzo Romeo”, ha riferito l’inquirente Russo. “Giovanni Bevilacqua era socio di maggioranza ed amministratore unico della Banner Shop, mentre la madre era socia di minoranza con il 5% delle quote sociali. La ditta, quanto meno dalla visura della Camera di Commercio, risultava inattiva quindi non ha mai presentato dichiarazione di inizio attività. Si occupava, quantomeno dall’oggetto sociale, di operazioni di marketing, promozioni commerciali. Possiamo affermare che Giovanni Bevilacqua fosse un soggetto a disposizione di Vincenzo Romeo tanto che durante un viaggio fatto a Palermo a bordo di una delle vetture che noi avevamo provveduto a microfonare, il Romeo e Nunzio Massimo Laganà parlavano insieme della possibilità di poter gestire delle skin, quindi dei software attraverso i quali operare sulle piattaforme delle scommesse. Laganà rappresentava a Romeo la difficoltà di intestare non solo la società ma anche un conto ad una persona fisica perché eventuali controlli avrebbero potuto far ricondurre questi passaggi di soldi e la raccolta scommesse alle persone a cui venivano intestate. Vincenzo Romeo in quella circostanza si era proposto di intestarla a Giovanni Bevilacqua che veniva chiamato con lo pseudonimo di Bagnarola e addirittura mostrava a Nunzio Laganà di essere in possesso del documento di identità del Bevilacqua”.

Michele Spina, il nipote di Scuto

Nel corso dell’udienza del processo Beta, il teste Benedetto Russo si è soffermato sulla figura dell’imprenditore etneo Michele Spina, altro partner chiave dei Romeo-Santapaola nella gestione dell’affaire giochi e scommesse. “E’ stato lo stesso Romeo ad aver instaurato con Michele Spina un interesse che riguardava le concessioni relative alla raccolta delle scommesse sugli eventi sportivi”, ha spiegato Russo. “Effettivamente Michele Spina era socio di maggioranza ed amministratore unico della Primal S.r.l.. (la società con sede a Sant’Agata Li Battiati, Catania, aveva come soci e titolari lo Spina e l’ex moglie Donata Genoveffa Ferrara, NdA). Nell’agosto del 2006 la Primal ha partecipato al bando di gara che era stato proposto dall’Aams, l’agenzia dei Monopoli di Stato, per l’affidamento delle concessioni per la raccolta delle scommesse online sugli eventi sportivi ed ippici. La Primal è risultata vincitrice di cinque delle quattordici offerte che erano state bandite; l’investimento economico era cospicuo perché si parlava di 11 milioni e 827 mila euro più pochi spiccioli. Anche Giovanni Marano ha partecipato con la società M & G Distribuzione S.r.l. alla gara del 2006 attraverso la quale la Primal si è aggiudicata le concessioni per la gestione delle scommesse sportive. Della M & G erano soci Giovanni Marano, il fratello Vincenzo Marano e Davide Signorino”.

“Già da subito, la partecipazione della Primal a questa gara aveva destato il sospetto della testata il Sole24 Ore tant’è che un giornalista fece un articolo nel quale diceva che non vi era la convenienza economica a partecipare al bando e che l’unica convenienza poteva essere quella di reimpiegare del denaro proveniente da attività illecite dell’associazione mafiosa dei Laudani a cui veniva ricondotta la figura di Sebastiano Scuto”, ha aggiunto Benedetto Russo. “Il giornalista rilevava che all’interno della compagine sociale della Primal insieme a Michele Spina vi era stato proprio lo Scuto. Michele Spina è nipote di Sebastiano Scuto poiché questi si è sposato con una sua zia paterna. Abbiamo avuto modo di accertare che Sebastiano Scuto è stato condannato in primo grado a quattro anni e otto mesi dal Tribunale di Catania con sentenza emessa il 16 aprile 2011. In secondo grado Scuto è stato condannato a dodici anni e a carico dello stesso era stato disposto il sequestro di tutti i beni indicati in un precedente decreto datato 28 settembre 2001. Questo provvedimento è stato parzialmente cassato e poi la seconda sezione della Corte di Appello di Catania, con sentenza del 17 settembre 2015, ha stabilito che non era possibile sottoporre a sequestro tutti i beni di Sebastiano Scuto in modo indiscriminato, ma che era possibile procedere fino alla concorrenza di quindici milioni di euro che era la somma indicata dal collaboratore di giustizia Eugenio Sturiale come quella rivendicata da Sebastiano Laudani che sosteneva, a nome della propria famiglia, di averla investita nelle aziende riconducibili allo Scuto, in particolare la Aligroup S.p.A.. Con un successivo provvedimento la pena bei confronti di quest’ultimo veniva rideterminata in anni otto e il procedimento è tuttora in corso presso la III sezione penale della Corte di Appello di Catania e il prossimo 10 ottobre ci dovrebbe essere un’altra udienza. Sempre restando sulla personalità di Sebastiano Scuto abbiamo accertato che egli è stato sottoposto alla sorveglianza speciale per tre anni con l’obbligo di soggiorno nel comune di San Giovanni La Punta, con provvedimento emesso dalla Corte di Appello del Tribunale di Catania, poi revocato il 29 maggio 2019”.

“A seguito della partecipazione della Primal S.r.l. al bando di gara per le concessioni Aams, il Gico della Guardia di Finanza di Lecce, prima in modo autonomo, poi con attività incardinata in un procedimento della Procura della Repubblica di Lecce, effettuava delle indagini e documentava che la società aveva effettuato dei pagamenti in questo modo: cinquecentomila euro alla Tesoreria Provinciale dello Stato, sezione di Catania per quanto riguarda il gioco ippico; un milione di euro per il gioco sportivo sempre con quietanza di pagamento effettuato presso la Tesoreria Provinciale dello Stato di Catania; poi un bollettino di contro corrente postale della somma di ottocentosettantottomila euro per gioco sportivo, in data 2 febbraio 2007. Questo per quanto riguarda solo le competenze sulle scommesse per il gioco sportivo. Poi c’è stato il versamento di un milione 448.280 euro per le competenze sul gioco ippico. La Primal S.r.l. aveva prodotto due impegni di garanzia, uno rilasciato dalla banca Antonveneta e uno dal Credito Siciliano e una fideiussione bancaria. Gli ulteriori accertamenti hanno consentito di rilevare che la società aveva partecipato a questo bando di gara servendosi di accordi commerciali fatti con dei partner. In sostanza la Primal si era impegnata con questi partner a concedere in gestione le concessioni che eventualmente si fosse aggiudicata in cambio del versamento di una quota. Il bando emesso dalla Aams prevedeva che nel biennio antecedente alla gara, esattamente nel 2004-2005, le ditte avrebbero dovuto avere come requisito per poter partecipare alla gara, un fatturato di un milione e mezzo di euro per quanto riguarda i giochi sportivi e due milioni di euro per i giochi ippici. Molte imprese, invece, erano state costituite poco tempo prima e non avevano questo requisito del fatturato nei due anni precedenti. La partnership con Primal S.r.l. aveva consentito a molti di bypassare i controlli effettuati non solo dal punto di vista dell’affidabilità economica, ma anche dei requisiti morali perché alcuni soggetti che erano inseriti nelle imprese in gara con la Primal avevano delle pendenze o comunque dei pregiudizi penali. In particolar modo accertiamo che tra tutte le imprese vi era la Amoroso Giochi di Filippo Amoroso che era stato denunciato per il 416 bis anche se poi vi era stato un provvedimento di assoluzione ai sensi dell’art. 530 del codice di procedura penale. Vi era anche un’impresa riconducibile ad Angelo Botta e Daniele Botta con sede a Palermo, nonché la M & G Distribuzione S.r.l. riconducibile a Giovanni Marano e all’interno della quale vi era anche Davide Signorino che era stato denunciato da parte del Nucleo provinciale della Guardia di finanza di Siracusa anche per il reato di associazione mafiosa, frode informatica e illecita concorrenza con minaccia, ma non so qual è stata la definizione del procedimento. Ma gli imprenditori che avevano pendenze con la giustizia erano diversi. In particolar modo vi era Nicola Di Dona che era il rappresentante legale della Game & Game S.r.l. ed aveva avuto diverse notizie di reato da parte della divisione di Polizia amministrativa di Caserta per la violazione delle disposizioni inerenti le sale da gioco. Poi vi erano Angelo Maiorana, un imprenditore di Barcellona Pozzo di Gotto che annoverava diverse denunce all’autorità giudiziaria per la violazione dei reati inerenti le disposizioni per le sale da gioco; Saverio De Lorenzis, originario di Gallipoli, che aveva partecipato al bando di gara quale rappresentante legale della Atman Scommesse S.r.l. e che era fratello di Marco, Pasquale Gennaro, Pietro Antonio Ilario e Salvatore De Lorenzis, denunciati per aver fatto parte di un’associazione, quella appunto dei De Lorenzis, gravitante nell’area della Sacra Corona Unita. Il 13 febbraio del 2015 il Gip del Tribunale di Lecce aveva emesso nei loro confronti un ordine di custodia cautelare in carcere proprio per il reato di cui all’art. 416 bis”.

Partner con certificati penali pesanti e indigesti

Nel corso della sua deposizione, l’inquirente Bendetto Russo ha pure riferito che la Guardia di Finanza di Lecce aveva rilevato nel corso delle sue indagini che per partecipare al bando di gara per le concessioni Aams, la Primal S.r.l. di Michele Spina aveva prodotto dei documenti falsi o comunque falsificati: ad esempio, non c’era traccia presso Poste Italiane o la Tesoreria della Banca di Italia del pagamento dovuto di 8 milioni 878 mila e 777 euro, nonostante la copia del bollettino con il versamento allegato alla documentazione. “Nel frattempo l’Istituto di Credito Siciliano aveva praticamente disconosciuto l’autenticità dell’impegno di fideiussione dell’importo di un milione e 540 mila euro”, ha aggiunto Russo. “Gli esiti di questa attività di indagine furono trasmessi al Tribunale di Roma che però ne dispose l’archiviazione perché, secondo quell’autorità giudiziaria, non vi erano gli elementi per poter sostenere l’accusa in giudizio. A seguito di tutte queste verifiche il 16 aprile del 2008 l’Aams aveva emesso un provvedimento per la sospensione delle concessioni che facevano capo alla Primal, provvedimento che però veniva sospeso da un giudizio fatto dal Tar e quindi la Primal poteva continuare a operare. Per quanto riguarda la vicinanza di Michele Spina con la criminalità organizzata, vale la pena evidenziare che il 25 maggio del 2011 la DIA, Centro operativo di Palermo, eseguiva un’ordinanza di custodia cautelare in carcere quale responsabile del reato di corruzione aggravata. La polizia e l’autorità giudiziaria che avevano condotto le indagini avevano documentato dei fatti di corruttela che riguardavano alcuni funzionari dell’Aams di Palermo. Michele Spina in sostanza riusciva ad ottenere dai funzionari delle dichiarazioni favorevoli alle attività della Primal, cioè che erano stati effettuati dei pagamenti dei modelli F24 per ritirare le cartelline che servivano al gioco nelle sale biliardo mentre in realtà questi pagamenti o non venivano fatti oppure venivano fatti con ritardo. Michele Spina veniva tratto in arresto mentre si trovava a Catania; veniva condotto presso il carcere di piazza Lanza e qualche giorno dopo al carcere dell’Ucciardone di Palermo, dove rimaneva fino all’agosto del 2011 quando veniva scarcerato per essere sottoposto agli arresti domiciliari. Questa circostanza è importante perché in una conversazione registrata il 14 novembre 2014, Vincenzo Romeo parlando con il costruttore Biagio Grasso e se non ricordo male anche con Silvia Gentile, lamentava il comportamento di Spina e sosteneva che lui, nel momento in cui Spina era stato arrestato ed era stato trasferito a Palermo, si era preoccupato del mantenimento della moglie. Affermava sostanzialmente di aver elargito delle somme di denaro che quantificava in tranche da due-tremila euro senza averne mai preso nota e che lo aveva fatto per il rapporto che c’era tra di loro, per aiutare la moglie di Spina che altrimenti non sarebbe riuscita neanche a fare la spesa. Romeo affermava inoltre che proprio per l’arresto di Michele Spina si era prodigato recandosi direttamente a Palermo per interloquire con persone di cui non faceva il nome affinché il detenuto fosse allocato in una cella o comunque fosse trattato bene all’interno del carcere dell’Ucciardone”.

“Michele Spina aveva una posizione subordinata a Vincenzo Romeo”, ha spiegato l’inquirente. “Dico questo anche perché abbiamo documentato un episodio dove Romeo, alterato per il comportamento di Spina, si era recato ad Acireale e lo aveva schiaffeggiato perché sostanzialmente Spina gli doveva dei soldi per le attività imprenditoriali che avevano insieme nell’ambito della gestione delle scommesse. Questo emerge in un colloquio del 12 agosto 2014 tra Biagio Grasso e Vincenzo Romeo, in cui quest’ultimo si lamentava del comportamento di Michele Spina e riferiva che lo aveva fatto entrare in un interesse relativo alle piattaforme di raccolte scommesse gioco che gestiva lo stesso Romeo. Aggiungeva che considerato il rapporto intercorrente con Michele Spina, non gli aveva chiesto di pagare somme aggiuntive ma voleva condividere con lui gli incassi, tolte le spese che dovevano essere versate ai gestori della piattaforma. Sempre Vincenzo Romeo spiegava a Biagio Grasso che per gestire queste piattaforme vi sono dei costi fissi che devono essere versati al proprietario della piattaforma e affermava anche che vi era il problema di trasportare questi soldi a Malta perché evidentemente erano attività non lecite sul territorio nazionale. Romeo aggiungeva di aver ricevuto una proposta per poter gestire una piattaforma con una divisione del 50 e 50, però spiegava anche che vi erano già in partenza dei costi che si aggiravano intorno al 28,5% delle somme che venivano giocate. Sostanzialmente Vincenzo Romeo si lamentava perché Spina non aveva versato quattromila euro, che era la quota che doveva versare proprio per coprire questi costi di gestione e pertanto il Romeo aveva fatto una cattiva figura con il fratello Benedetto e addirittura gli aveva versato cinquemila euro, impiegando sempre nell’ambito dello stesso settore, delle somme che aveva preso a prestito da un cugino di Catania che noi abbiamo individuato in Ercolano. Vincenzo Romeo si diceva dispiaciuto perché aveva fatto queste figuracce davanti a Benedetto Romeo e addirittura confidava ai sodali Silvia Gentile e Biagio Grasso che il fratello e Marco Daidone lo rimproveravano proprio per questo suo atteggiamento di fiducia che elargiva a Spina ma anche ad altri soggetti con cui si relazionava”.

Al fascicolo d’indagine pure il contenuto di un altro colloquio tra Vincenzo Romeo e Biagio Grasso, intercettato il 24 gennaio 2015, in cui il pregiudicato messinese rappresentava al costruttore tutto il suo rammarico per la propensione di Michele Spina a non rispettare gli accordi presi. “Romeo affermava che quando avevano fatto le Bet S.r.l. e avevano aperto dei negozi anche a Messina, avevano stipulato un accordo che prevedeva la suddivisione degli incassi al 50 e 50 però Spina non aveva mantenuto gli impegni”, ha raccontato Benedetto Russo. “In particolare Vincenzo Romeo si lamentava del fatto che non tutto l’incasso è guadagno perché ovviamente ci sono dei costi fissi di gestione sia in termini di concessioni che dovevano essere corrisposte alla Lottomatica, allo Stato, sia in termini di affitto dei locali, operai, ecc.. Nella stessa conversazione Romeo specificava che Spina era partito come imprenditore dalla gestione di supermercati e poi aveva aperto un’agenzia di scommesse e ancora dopo aveva aperto anche un Bingo all’interno del quale lui gestiva le apparecchiature da intrattenimento grazie all’opera di Giovanni Marano che aveva il contratto con Lottomatica. In sostanza specificava che lui non era socio effettivo ma gestiva le slot machine grazie a un accordo con Marano e che aveva fornito anche supporto a Michele Spina per quanto riguarda i servizi di sicurezza perché egli aveva avuto delle problematiche. Il Romeo affermava che lo aveva fatto per amicizia senza intascare nulla e che aveva mandato cinque ragazzi che lavoravano per lui, senza guadagnare alcunché, per effettuare il servizio di sicurezza all’interno di questa attività che Spina gestiva attraverso le sue società”.

La tipologia del rapporto tra Vincenzo Romeo e Michele Spina è ulteriormente chiarito dal tenore di una conversazione intercorsa il pomeriggio del 14 novembre 2014 tra lo stesso Spina e Biagio Grasso. “Michele Spina si lamentava in sostanza del fatto che Vincenzo Romeo fosse particolarmente nervoso e il Grasso spiegava che questo nervosismo derivava dal fatto che Romeo, con le attività imprenditoriali che gestiva, non riusciva più a guadagnare, ad avere gli stessi introiti del passato”, ha riferito l’inquirente. “Entrambi affermavano che era una conseguenza logica del mercato perché vi erano più tasse, vi era più concorrenza comunque non era un problema specifico del Romeo ma era una cosa generalizzata del settore. Nell’ambito di questa conversazione Michele Spina affermava che secondo le stime che aveva fatto lui, nel periodo in cui aveva collaborato con Vincenzo Romeo, quest’ultimo aveva messo da parte dai tre ai quattrocentomila euro, aggiungendo che ogni quindici giorni il Romeo portava via per la gestione delle macchinette, somme che si aggiravano intorno ai venti-venticinquemila euro. In questa stessa conversazione Michele Spina confidava a Biagio Grasso di essere rimasto male del comportamento di Vincenzo Romeo, proprio perché lui si era sempre messo a disposizione di Romeo. Per comprendere il senso di questa conversazione dobbiamo tornare a quello che si era verificato il primo di agosto del 2014, quando il Romeo si era portato ad Acireale per incontrarsi con Michele Spina e proprio in quell’occasione Spina aveva ricevuto uno schiaffo da Romeo, lui parlava nel colloquio con Grasso di un cinque, perché il messinese si era alterato per il comportamento che a dir suo, lui avrebbe tenuto. Michele Spina si diceva molto sorpreso dall’atteggiamento tenuto da Vincenzo Romeo considerato il rapporto che c’era stato tra i due. Prima di raggiungere Spina, Vincenzo Romeo si era sentito con un soggetto che chiamava telefonicamente Maurizio, da noi identificato nel catanese Mario Giuffrida. I due avevano parlato del rapporto che c’era tra loro e Michele Spina; in sostanza Maurizio gli doveva dare delle somme di denaro e Romeo era intervenuto per fare un’opera di intermediazione affinché il Giuffrida saldasse il debito con Spina. Alla fine avevano trovato un accordo e addirittura Maurizio rappresentava che per poterlo onorare lui aveva preso degli impegni di tipo finanziario e stava pagando gli interessi di una somma che lui indica in ottomila euro. A seguito di questi accordi Michele Spina si era presentato da questo Maurizio e aveva prelevato le somme prima che se le prendesse Vincenzo Romeo. Questa situazione aveva fatto alterare il Romeo e da qui vi era stata la richiesta di incontro ad Acireale e lo schiaffo”.

Matteo Messina Denaro, i Lo Piccolo, le ‘ndrine e persino la nipote di Riina

“Per quanto riguarda la figura di Maurizio, cioè Mario Giuffrida, abbiamo avuto modo di accertare, tra le altre cose, che nel 2008 egli era stato denunciato dalla Squadra mobile di Catania nell’ambito dello stesso procedimento penale in cui era stato denunciato Michele Spina, procedimento che si è concluso con un provvedimento di archiviazione”, ha aggiunto Russo. “L’episodio dello schiaffo veniva poi confermato dalle conversazioni fatte il 14 novembre 2014 a bordo di un’autovettura tra Vincenzo Romeo, Biagio Grasso e Silvia Gentile. Ripercorrendo le motivazioni che lo avevano spinto a schiaffeggiarlo, Romeo sosteneva che il comportamento di Spina non era stato corretto. Addirittura Vincenzo Romeo sosteneva che lui lo aveva sempre tutelato e qui ripercorreva la vicenda della Primal S.r.l. che aveva partecipato al bando di gara per l’aggiudicazione delle concessioni sulle scommesse sportive. Nello specifico il Romeo affermava che avrebbe dovuto rappresentare ad alcuni soggetti di Palermo, nel momento in cui gli avessero chiesto contezza, che lo Spina effettivamente era venuto in possesso di somme di denaro. Presumiamo che Spina avesse un debito con alcuni soggetti di Palermo per i quali era intervenuto a garanzia Vincenzo Romeo. Purtroppo non siamo riusciti ad individuare chi potessero essere questi soggetti palermitani”.

Vincenzo Romeo avrebbe assicurato il proprio ruolo di intermediario per conto di Michele Spina con altri soggetti appartenenti ad organizzazioni criminali. “Sempre nel corso del colloquio del 14 novembre 2014 tra Romeo, Biagio Grasso e Silvia Gentile, il primo raccontava di essere intervenuto a favore di Michele Spina recandosi a Roma proprio per tutelare gli interessi della Primal nell’ambito delle concessioni”, ha dichiarato Benedetto Russo. “Sempre secondo Romeo, la società aveva partecipato alla gara di appalto e aveva avuto dei problemi in quanto nel 2008 c’era stato il provvedimento di sospensione dell’Aams poi sospeso dal Tar. A seguito di ciò i partner della Primal avevano chiesto un incontro per fare il punto della situazione. L’incontro si era svolto presso lo studio legale dell’avvocato Sbordoni a Roma, specializzato proprio nella gestione di problematiche inerenti il gioco sulla rete internet e nell’assistenza agli operatori sia italiani che stranieri per adeguarli alla normativa italiana. Vincenzo Romeo affermava che grazie alla sua intermediazione era riuscito a far fare degli investimenti a soggetti che lui indicava in una circostanza proprio per cognome, perché diceva De Lorenzis e che era legato alla Sacra Corona Unita. Effettivamente abbiamo accertato che uno dei partner della Primal è la Atman Scommesse SaS, se non ricordo male, il cui rappresentante legale è Saverio De Lorenzis che poi è stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare per il reato di cui all’art. 416 bis. in quella stessa conversazione, Vincenzo Romeo ha poi fatto riferimento all’interesse della ‘Ndrangheta nell’ambito di queste concessioni. Effettivamente abbiamo documentato i rapporti tra Vincenzo Romeo, Nunzio Laganà e Dominique Scarfone, un soggetto per il quale erano state documentate relazioni con la famiglia De Lorenzis nell’ambito della gestione di apparecchi da intrattenimento. Dominique Scarfone è considerato come organicamente inserito nella ‘ndrina dei Fazzari di Rosarno, storicamente legata alla famiglia mafiosa Pesce-Bellocco. La madre di Scarfone si identifica in Carmela Fazzari che è la sorella di alcuni elementi di spicco del clan Fazzari tra i quali proprio il capo della cosca Salvatore Fazzari. Abbiamo pure documentato che il 9 aprile 2014 Dominique Scarfone si era presentato, dopo alcuni contatti telefonici, al ritrovo Montecarlo che all’epoca era gestito da Benedetto Romeo, fratello di Vincenzo Romeo. In un’altra circostanza, il 27 ottobre 2014, Vincenzo Romeo si è recato a Rosarno in compagnia di Nunzio Laganà in un capannone di proprietà di Giovanni Catalano, Giuseppe Fazzari, Grazia Fazzari e Raffaele Fazzari, rispettivamente moglie e figli del capocosca Salvatore Fazzari. In quella stessa giornata intercettavamo diverse conversazioni propedeutiche a questo incontro con Dominique Scarfone. Va segnalato che Scarfone è morto in circostanze misteriose a Mesagne, provincia di Brindisi, il 24 giugno del 2015. La persona si trovava in Puglia proprio per la sua attività di promotore e commerciante di apparecchi di intrattenimento. In verità non c’erano ditte direttamente riconducibili a Dominique Scarfone o ai soggetti che insieme a lui si sono relazionati con Vincenzo Romeo, come ad esempio il nipote Zeno Timpani, però Scarfone si occupava di questo settore…”. Zeno Timpani, originario di Cinquefrondi, Reggio Calabria, e residente a Casalgrande, Reggio Emilia, è stato amministratore sino al dicembre 2013 della S.I.O. S.r.l., avente ad oggetto il commercio all’ingrosso di apparecchiature elettriche ed elettroniche, società per cui avrebbe lavorato lo stesso Scarfone. Nell’informativa Beta, Timpani viene descritto come soggetto che annovera a suo carico precedenti per rissa, danneggiamento, associazione per delinquere finalizzata al gioco d’azzardo, alla frode in competizioni sportive e all’attività abusiva di giochi e scommesse.

“Dominique Scarfone è rimasto vittima dell’incendio che lui stesso aveva appiccato alla villetta in cui soggiornava”, ha concluso Benedetto Russo. “L’altro soggetto che viveva insieme a lui, Girolamo Gullace, è rimasto invece semplicemente ferito e poi è stato denunciato dalla Polizia giudiziaria ivi intervenuta. Sembrerebbe dalle prime attività di indagine che questo incendio sia scaturito proprio da divergenze nell’ambito della gestione degli apparecchi da intrattenimento perché il nome del proprietario della villetta dove Scarfone e Gullace risiedevano era già emerso nell’ambito dell’indagine Clear Game della Guardia di finanza di Lecce, incentrata sul gruppo criminale che gestiva le slot machine in quelle località (…) C’è una conversazione in cui Vincenzo Romeo diceva specificatamente che lui voleva fare con Spina un grosso investimento proprio per quanto riguarda le concessioni e che dei pugliesi erano arrivati grazie alla sua intermediazione. Rappresentava anche che vi era infiltrazione mafiosa in questo settore e faceva riferimento al fatto che a Trapani vi era il nipote di Matteo con evidente riferimento a Matteo Messina Denaro e che a Palermo c’erano i Graviano, la nipote di Totò Riina e i Lo Piccolo. Per quanto riguarda i Lo Piccolo vorrei precisare che nell’ambito dei soggetti che erano partner della Primal S.r.l. c’erano imprese riferibili ad Angelo Botta e Daniela Botta, due soggetti direttamente collegati al palermitano Giovanni Botta. Per quanto riguarda quest’ultimo è emerso che il giorno in cui sono stati arrestati Sandro e Salvatore Lo Piccolo, furono sequestrati dei pizzini con i quali venivano aggiornati gli esponenti mafiosi; in uno di essi si faceva riferimento al fatto che bisognava ricordare a quello della Snai di Catania che Botta è un amico e di aiutarlo al massimo, fino a quando non si sistema tutto. E’ pure emerso nell’ambito dell’ordine di custodia cautelare emesso nel 2009 dal Gip del Tribunale di Palermo che Giovanni Botta, in quel momento detenuto, era inserito nell’organigramma della famiglia mafiosa di Tommaso Natale ed era la longa manus, diciamo così, dei Lo Piccolo per quanto riguardava la gestione del totonero, delle slot machine e delle attività da gioco. Gli accertamenti esperiti ci hanno consentito di rilevare che Daniela Botta era titolare di licenza di pubblica sicurezza per la gestione di due punti Snai siti a Palermo rispettivamente uno in via Tommaso Natale 108 e uno in via della Resurrezione 111. Quello di via Tommaso Natale è stato ceduto successivamente a Giovanni Botta che lo gestiva con la sua impresa individuale. E’ stato inoltre sequestrato un assegno girato da Angelo Botta a favore della Primal S.r.l. di Michele Spina per l’importo di quindicimila euro e quindi è stato possibile legare quest’ultima società ad Angelo Botta e Giovanni Botta”.

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