Identikit di una bracciante agricola

martedì 12 dicembre 2017, di ActionAid

Pomodori, uva da tavola e arance sono solo alcuni dei prodotti che si trovano sulle nostre tavole e che vengono raccolti e lavorati da un numero cospicuo di braccianti.

Si tratta del cosiddetto bracciantato, termine che rimanda non solo a epoche storiche passate, ma anche alla piena attualità. Il 26 maggio 2016 il Ministero del Lavoro, il Ministero dell’Interno e il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali hanno sottoscritto il Protocollo sperimentale contro il caporalato e lo sfruttamento lavorativo in agricoltura, da applicarsi nell’ambito di sette territori prioritari individuali dal Ministero dell’Interno.

Tre di questi (Bari, Foggia e Lecce) sono in Puglia. Qui le cronache giudiziarie, a partire dal 2011, hanno registrato condizioni di sfruttamento della manodopera bracciantile ben oltre le violazioni contrattuali, tanto da arrivare a riduzione in schiavitù. A questo si aggiunge poi la gravosa questione del lavoro "in nero": in base ai dati della Direzione regionale del lavoro, nel 2013 in Puglia risultavano in nero la metà dei lavoratori delle aziende sottoposte a ispezione, e il 54% dei casi di irregolarità si registrava nella provincia di Bari.

Nell’immaginario collettivo il bracciante è per antonomasia un cittadino non europeo, spesso africano, e le cronache molte volte rafforzano questa rappresentazione. Ma la realtà, pur comprendendo questa categoria, è certamente più variegata in Puglia, nel 2014, a essere regolarmente censiti erano 181.273 addetti stagionali, 78.016 uomini e 62.550 donne.

E’ evidente come in agricoltura ancora troppo sia il ricorso ai contratti di carattere giornaliero e stagionale, con conseguenze importanti sull’accesso a misure di welfare come il sussidio di disoccupazione agricola, malattia, infortunio, maternità - garantite ai lavoratori al di sopra della soglia minima di 51 giornate di lavoro annue registrate. Non sono infatti pochi i lavoratori che ne rimangono esclusi, con conseguenze economico-sociali rilevanti, soprattutto se a esserne coinvolte sono le lavoratrici.

E’ importante infatti riconoscere che la disuguaglianza di genere ha ricadute sul piano economico, sociale e famigliare dal momento che il lavoro domestico e di cura ancora troppo grava sulle spalle delle donne. Nell’ambito dei progetti che ActionAid promuove in Italia, siamo andati a indagare in condizioni di vita delle donne braccianti nei comuni di Bari, Adelfia, Noicattaro e Rutigliano, nel Sud-Est barese, per individuare i bisogni sociali e delineare azioni di intervento per migliorare le condizioni di vita delle lavoratrici.

Abbiamo passato le giornate insieme a loro per capire come vivano e quali siano le criticità da risolvere. Le abbiamo seguite nei campi e le abbiamo ascoltate raccontare la loro giornata tipo, perché il loro lavoro spesso ha delle conseguenze anche sulla normale gestione delle attività familiari. Anche le azioni più semplici possono essere problematiche: l’assillo della spesa, della pulizia della casa, della cura domestica e familiare è sempre presente, come il cruccio di non essere fisicamente in piena salute per potersi dedicare a tutto il resto come vorrebbero.

A soffrire maggiormente sono le cinquantenni, più provate nel fisico dalla durezza del lavoro e con patologie che attribuiscono al lavoro ma non denunciano come tali, nel timore di essere giudicate inadatte a svolgere l’attività. E’ proprio la prevenzione e la sicurezza sul lavoro a rappresentare un aspetto estremamente importante, tanto che anche tra le lavoratrici più giovani, con poco più di un decennio di lavoro alle spalle, si evidenziano almeno tre tipi ricorrenti di patologie:

- cardiovascolari (alle gambe, alle mani);
- muscolari (alle braccia, soprattutto nei periodi di pulizia dei grappoli, acinellatura;
- discopatie, le più temute, che portano all’interruzione dell’attività lavorativa.

Quando poi vi è la presenza dei figli il tutto è ancora più difficile. Infatti, essere mamma e contemporaneamente lavorare come bracciante è doppiamente faticoso, il bisogno più urgente riguarda la tutela dei figli più piccoli nelle primissime ore della giornata dato che l’apertura delle scuole dell’infanzia (intorno alle 7.30) è incompatibile con l’inizio della giornata lavorativa (alle 4.30) E’ in caso di malattia dei figli le madri non hanno alternativa se non perdere la giornata di lavoro, che non viene riconosciuta, con conseguenze sulle già scarse risorse alimentari.

Alla mancanza di servizi ci si deve arrangiare ed ecco che molto prima dell’alba, quando ovunque è ancora silenzio e buio, si vedono le donne portare i bambini dai parenti o aprire le porte di casa alle baby sitter. I servizi sociali di supporto al lavoro di cura, le opportunità di inserimento o ricollocamento lavorativo nei mesi invernali e la tutela della salute sono alcuni degli argomenti a risposta ancora aperta.

Nell’ambito del nostro intervento, lo scorso marzo è stato realizzando l’AgriLab, un laboratorio con quindici braccianti finalizzato all’analisi dei bisogni e all’individuazione di una risposta collettiva di welfare comunitario. E le prime buone notizie non hanno iniziato a tardare: il 18 luglio 2017 è stato firmato presso il comune di Adelfia (Ba) il Patto "La buona terra: legami di prossimità" che prevede la collaborazione tra l’amministrazione comunale, 15 donne braccianti del progetto Cambia Terra, ActionAid, Auser Rutigliano, la Cooperativa Sociale Occupazione e Solidarietà, il Presidio Libera Adelfia, la Parrocchia Immacolata, la Parrocchia San Nicola di Bari e l’Associazione Solidaria, in favore della creazione di sistemi di welfare locale in grado di contrastare lo sfruttamento delle donne braccianti.

Sono i primi ma importanti segnali di un cambiamento in atto, le tante realtà coinvolte testimoniano che il cambiamento è possibile solo agendo in sinergia per rafforzare la rete di protezione sociale tra donne e comunità circostante.


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