Café Society, di Woody Allen

mercoledì 2 novembre 2016, di Sergej

“La vita è una commedia scritta da un commediografo sadico”.

Lo diciamo subito: il film di Woody Allen è gradevole, un piccolo racconto. Non è un grande film, né probabilmente un film necessario. Un breve racconto che riepiloga il mondo dell’infanzia di Allen nell’ebraismo newyorkese degli anni Trenta.

Primo film interamente digitale dell’ottantenne Allen, la fotografia la si deve all’azienda fondata da Vittorio Storaro. Fare un film non più in analogico ma in digitale significa molto, per un regista e per una troupe cinematografica, cambiano diverse cose - il pubblico non può sapere, per il pubblico importa l’effetto finale, la “magia” del cinema cioè il gioco di prestigio, l’effetto illusorio.

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“siamo ormai lontani dagli anni dei capolavori alleniani, lontani anche dalle atmosfere conturbanti di Match Point e dalla raffinatezza intellettuale di Midnight in Paris. Eppure Café Society si rivela una commedia lieve, senza pretese, che si lascia ben guardare. Dentro ci sono tutti i topoi narrativi cari al regista: il doppio (le due interpreti femminili hanno lo stesso nome), la guerra tra sessi, l’ironia dissacrante sulla religione ebraica, il crimine, lo speculare (zio/nipote), la nostalgia di un passato che torna e tuttavia non può più tornare (in stile Io e Annie). Protagonista di Café Society è il super nerd del mondo del cinema, in un ruolo che sarebbe stato perfetto per un giovane Allen (per sua stessa ammissione). Parliamo del trentaduenne Jesse Eisenberg, attore che si rivela puntualmente convincente, sia che interpreti Mark Zuckenberg in The Social Network sia che vesta i panni dello psicotico Luther di Batman vs Superman. Qui è l’impacciato Robert, ragazzo in cerca di fortuna che bussa alla porta del potente zio Phil, alias Steve Carrell (accorso in sostituzione di Bruce Willis che abbandonò il set). Non sa che cercando lavoro troverà l’amore, con le sembianze della dolce segretaria Veronica (Kristen Stewart) divisa tra una relazione con un uomo sposato e la voglia di una passione più genuina. A rimetterci sarà la sempre più sensuale Blake Lively, qui limitata a un ruolo marginale per cui non si può non provare un briciolo di empatia”. (http://www.wired.it/play/cinema/2016/05/12/cafe-societe-nuova-commedia-woody-allen-eisenberg-mattatore/)

Dubitiamo che Bruce Willis al posto di Steve Carrell sarebbe stato meglio. L’impressione è che in ogni caso sia Steve Carell che Kristen Stewart non riescano a far decollare il film. Su Carell, da parte mia, l’antipatia per il suo viso (che pure ha funzionato moltissimo per l’unico film decente di questo attore brillante e serio, Crazy Stupid Love, 2011). I tanti primi piani dedicati a Kristen Stewart non riescono a farle “bucare” lo schermo. Rimane in lei l’impressione di un viso acerbo, nonostante il tentativo di infiocchettarla, troppo debole per la parte. In ogni caso, per lei, essere in un film di Woody Allen (per il pubblico europeo) è essere consacrata nel giro grande dei film internazionali.

L’ottantenne cineasta sembra affrontare il sempiterno rovello del dubbio e le interne contraddizioni dell’essere (e del non essere) con un più stoico atteggiamento di accettazione. [...] Cafe Society è comunque una commedia da non perdere: divertente e amara, leggera e inquietante, suggerisce (per dirla con Svevo) che in fondo la vita non è bella né brutta, ma solo originale. (Alessandra Levantesi Kezich, http://www.lastampa.it/2016/09/29/spettacoli/i-film-del-weekend/caf-society-un-puro-distillato-di-woody-allen-nNjirRsPX2vOQrYGoISxrO/pagina.html)

Ecco, in questo piccolo film restiamo congelati tra accettazione e sogno.

“Café Society è una storia d’amore, ma non quello convenzionale dei film romantici che spopolano nella Hollywood di oggi, bensì quelli sarcastici, brillanti e persino amari, a cui ci ha abituato Woody Allen in oltre cinquant’anni di carriera. Questo film è una dedica a tutto ciò che ha sempre amato, la sua città e la sua Hollywood, in quegli anni in cui lui era appena nato. Il sentimentalismo si percepisce nelle movenze di Jesse Eisenberg, nell’umorismo nero dei personaggi, nel lieto fine mancato che lascia un mezzo sorriso ed un senso di nostalgia. La nostalgia di Woody Allen stesso, che prima ci mostrava New York con i suoi occhi sognanti ma anche critici, taglienti e comici, mentre adesso il sarcasmo lascia spazio al romanticismo, quello di un uomo anziano a cui mancano quei tempi d’oro in cui tutto ebbe inizio. I primi piani sul viso di Kristen Stewart, le panoramiche sulla clientela del Café Society, e la bellissima fotografia di Vittorio Storaro, orgoglio italiano vincitore di ben tre Premi Oscar, rendono Café Society un piccolo gioiellino, in cui anche lo sfondo è perfettamente a fuoco e ricorda un dipinto fiammingo, inondato di luce che mette in risalto ogni dettaglio. Dettagli curati in maniera maniacale per riprodurre alla perfezione quel momento e quel luogo in cui forse Woody Allen vorrebbe tornare, anche solo per una sera”. (http://www.telefilm-central.org/2016/10/02/cafe-society-la-recensione-del-film-di-woody-allen)

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Il critico Luca Marra centra altri due aspetti: la fotografia:

Allen “subito ci trascina cromaticamente in un party virato in un azzurro scuro. Poi si passa ai toni ocra del sole losangelino completati dai bellissimi costumi di color sabbia, beige e sfumature di gialli e marroni firmati Suzy Benzinger.”

e la tematica sul sogno:

Esaltato da tempi e battute comiche irresistibili e pungenti (immancabili quelle sulla religione ebraica) iI lato romantico della vicenda diventa travolgente però, paradossalmente, quando si incontra con un un cinismo dolce ma, per il film, inesorabile. Dietro a un melò che anche divertissement sulla vecchia Hollywood, simile per certi versi all’operazione Ave, Cesare! dei Coen, non c’è una semplice storia d’amore ma uno spaccato di cinismo martellante. È un film molto triste Cafè Society, di una tristezza pacata ma a suo modo implacabile. Ci mostra il sogno non nella faccia abusata di qualcosa che si desidera fare o avere ma il sogno come rifugio, qualcosa che avremmo potuto fare ma che non abbiamo fatto. Il lato oscuro del sogno, quando diventa rimpianto. E se non possiamo tornare indietro resta solo il ricordo del passato e un futuro dove il sogno sarà l’unica realtà parallela, e virtuale, che in una notte di capodanno ci verrà a soccorrere. Con lui potremo immaginare la vita che avremmo voluto. (http://it.ibtimes.com/cafe-society-recensione-del-film-di-woody-allen-il-lato-oscuro-dei-sogni-1467746)

Rimane il colore della pellicola di Allen, l’attenzione per i particolari, una musica semplicemente strepitosa, la rievocazione di una New York perduta:

“Dopo la fine del proibizionismo e l’ascesa del giornalismo scandalistico, che immortalava i frequentatori dei Café Society, a New York aprirono i battenti decine di club, alcuni addirittura con grandi orchestre dal vivo”, ricorda Woody con gli occhi che scintillano dietro la spessa montatura. “Ogni notte, celebrità in smoking e bellezze in abito da sera popolavano i locali jazz del Greenwich Village oppure El Morocco e il Cotton Club. Quel periodo mi ha sempre affascinato e resta uno dei momenti più emozionanti della storia della città”. (http://www.famigliacristiana.it/articolo/woody-allen-il-mio-ultimo-film-come-un-romanzo-familiare.aspx)

La voce narrante nell’edizione italiana è quella di Leo Gullotta. E ci sta davvero bene.

Su Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Café_Society



Sergej

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