mercoledì 8 aprile 2015, di Sergej
Bolzaneto è un quartiere di Genova. La sua scuola, la Diaz, fu teatro di un’azione efferata da parte di esponenti della polizia e degli organi di protezione e sicurezza dello Stato italiano. Le manifestazioni contro il G8 erano terminate, con la morte di Giuliani e la serie di violenze contro i manifestanti. La scuola accoglieva giornalisti, giovani italiani e stranieri, per il loro ultimo pernottamento in città. La scuola fu assaltata dalle forze dell’ordine e tutti coloro che alloggiavano nella scuola selvaggiamente picchiati. Si concludeva in questo modo quello che verrà ricordato come "i fatti di Genova".
Seguirono inchieste e sentenze su quei fatti. Il 7 aprile 2015 i giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo condannano all’unanimità lo Stato Italiano per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione sui diritti dell’uomo ("Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti") ritenendo che l’operato della Polizia di Stato "deve essere qualificato come tortura".
Noi di Girodivite in quei giorni eravamo a Genova. C’era Alex che dirigeva allora la redazione. C’erano i ragazzi che erano potuti partire. Dedicammo il numero 78 ai nostri "fatti di Genova". Assistere alla mattanza di Genova fu l’esempio di come lo Stato democratico agiva nei confronti della sua stessa gente. I ragazzi siciliani tornati da Genova fecero subito una manifestazione a Catania, con foto e striscioni, per comunicare immediatamente a tutti quanto era successo. Gli spari sui cortei degli scouts. La "sospensione dello Stato di diritto" come si disse in seguito. C’erano più di 100 mila persone a Genova, ognuna delle quali raccontò a chi era rimasto a casa cosa era davvero successo. C’erano le organizzazioni pacifiste, i cattolici, i rappresentanti delle diverse religioni e delle diverse anime politiche e movimentiste del pacifismo e dell’ambientalismo italiano. Tutti hanno visto e tutti sanno.
Un mese prima, sotto il governo D’Alema, a marzo, c’era stata la manifestazione di Napoli. Rimangono le testimonianze in diretta radiofonica dei giornalisti atterriti della Radio del Sole24Ore: scientemente le migliaia di manifestanti furono circondati senza possibilità di fuga, e caricate. Si voleva lo scontro, si voleva far vedere - da parte del governo dell’epoca - che "gli italiani" sapevano reprimere per bene la loro stessa gente. Un mese dopo Genova, con i reparti di picchiatori preparati per tempo e inviati con lo specifico scopo di compiere una carneficina. Nel frattempo il governo era cambiato, c’era Berlusconi. Non così i vertici militari e della polizia dell’epoca (De Gennaro). Il ministro Fini Gianfranco andò sul campo a coordinare l’azione.
Allora lo dicemmo, e oggi lo ribadiamo: non ci fu solo una "sospensione" della democrazia allora. Ci fu un piano ben preciso, volto a distruggere il movimento pacifista che si era andato costruendo all’epoca. Il movimento di Porto Alegre, quello de "un altro mondo è possibile". E infatti, dopo, quel movimento non ci fu più. Il pacifismo, ma anche il progetto democratico e libertario di un altro mondo possibile non è più all’ordine del giorno di nessuno dei movimenti politici che ci sono stati dopo. Ci sono stati i leghisti, i girotondi, e persino i vaffa-day, ma niente di culturalmente e politicamente maturo.
Documenti
Da: La Repubblica, articolo di Marco Preve, 26 luglio 2001
Genova, un poliziotto racconta cosa è successo nella caserma del Gruppo operativo mobile di polizia penitenziaria
La notte dei pestaggi a Bolzaneto il lager dei Gom "Calci, pugni, insulti: i diritti costituzionali erano sospesi. E dicevano: tranquilli, siamo coperti"
di MARCO PREVE
GENOVA - Un poliziotto che presta servizio al Reparto Mobile di Bolzaneto, e di cui Repubblica conosce il nome e il grado ma che non rivela per ragioni di riservatezza, racconta la "notte cilena" del G8. "Purtroppo è tutto vero. Anche di più. Ho ancora nel naso l’odore di quelle ore, quello delle feci degli arrestati ai quali non veniva permesso di andare in bagno. Ma quella notte è cominciata una settimana prima. Quando qui da noi a Bolzaneto sono arrivati un centinaio di agenti del Gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria".
E’ il primo di uno dei molti retroscena sconosciuti del drammatico sabato del G8. Il nostro interlocutore ammette che "nella polizia c’è ancora tanto fascismo, c’è la sottocultura di tanti giovani facilmente influenzabili, e di quelli di noi che quella sera hanno applaudito. Ma il macello lo hanno fatto gli altri, quelli del Gom della penitenziaria".
E il pestaggio sistematico nella scuola? "Quello è roba nostra. C’è chi dice sia stata una rappresaglia, chi invece che da Roma fosse arrivato un ordine preciso: fare degli arresti a qualunque costo. L’intervento lo hanno fatto i colleghi del Reparto Mobile di Roma, i celerini della capitale. E a dirigerlo c’erano i vertici dello Sco e dirigenti dei Nocs, altro che la questura di Genova che è stata esautorata. E’ stata una follia. Sia per le vittime, che per la nostra immagine, che per i rischi di una sommossa popolare. Quella notte in questura c’era chi bestemmiava perché se la notizia fosse arrivata alle orecchie dei ventimila in partenza alla stazione di Brignole, si rischiava un’insurrezione".
La trasformazione della caserma di Bolzaneto in un "lager" comincia lunedì con l’arrivo dei Gom, reparto speciale istituito nel 1997 con a capo un ex generale del Sisde, e già protagonista di un durissimo intervento di repressione nel carcere di Opera. Appena arrivati - vestiti con le mimetiche grigio verde, il giubbotto senza maniche nero multitasche, il cinturone nero cui è agganciata la fondina con la pistola, alla cintola le manette e il manganello, e la radiotrasmittente fissata allo spallaccio - prendono possesso della parte di caserma che già alcune settimane prima del vertice era stata adattata a carcere, con annessa infermeria, per gli arrestati del G8.
La palestra è stata trasformata nel centro di primo arrivo e di identificazione. Tutti i manifestanti fermati vengono portati qui, chi ha i documenti li mostra, a tutti vengono prese le impronte. A fianco alla palestra, sulla sinistra, accanto al campo da tennis, c’è una palazzina che è stata appositamente ristrutturata per il vertice ed è stata trasformata nel carcere vero e proprio. All’ingresso ci sono due stanzoni aperti che fungono da anticamera. Qui, la notte di sabato, fino a mattina inoltrata di domenica, staziona il vicecapo della Digos genovese con alcuni poliziotti dell’ufficio e qualche carabiniere.
"Quello accaduto alla scuola e poi continuato qui a Bolzaneto è stata una sospensione dei diritti, un vuoto della Costituzione. Ho provato a parlarne con dei colleghi e loro sai che rispondono: che tanto non dobbiamo avere paura, perché siamo coperti".
Quella notte. "Il cancello si apriva in continuazione - racconta il poliziotto - dai furgoni scendevano quei ragazzi e giù botte. Li hanno fatti stare in piedi contro i muri. Una volta all’interno gli sbattevano la testa contro il muro. A qualcuno hanno pisciato addosso, altri colpi se non cantavano faccetta nera. Una ragazza vomitava sangue e le kapò dei Gom la stavano a guardare. Alle ragazze le minacciavano di stuprarle con i manganelli... insomma è inutile che ti racconto quello che ho già letto".
E voi, gli altri? "Di noi non c’era tanta gente. Il grosso era ancora a Genova a presidiare la zona rossa. Comunque c’è stato chi ha approvato, chi invece è intervenuto, come un ispettore che ha interrotto un pestaggio dicendo "questa non è casa vostra". E c’è stato chi come me ha fatto forse poco, e adesso ha vergogna". E se non ci fossero stati i Gom? "Non credo sarebbe accaduto quel macello. Il nostro comandante è un duro ma uno di quelli all’antica, che hanno il culto dell’onore e sanno educare gli uomini, noi lo chiamiamo Rommel".
Che fine hanno fatto i poliziotti democratici? "Siamo ancora molti - risponde il poliziotto - ma oggi abbiamo paura e vergogna".
(26 luglio 2001)
Una legge contro l’ipocrisia e la superficialità
— Daniele Vicari, 7.4.2015 (Il Manifesto)
G8/Diaz. La politica si è dimostrata incapace di interpretare e gestire il conflitto sociale
La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa ai fatti della Diaz sancisce semplicemente e definitivamente che di «tortura» si è trattato, chiede allo Stato italiano di adottare una normativa specifica sulla tortura, oltre a risarcire il ricorrente Arnaldo Cestaro per i danni permanenti che i manganelli e gli scarponi dei poliziotti hanno lasciato sul suo corpo, che nel 2001 contava 62 anni.
La sentenza piomba sul dibattito politico italiano squarciando la corazza di ipocrisia nella quale ci siamo ormai abituati a vivere: parliamo tutti i giorni di coefficienti di crescita, tassi di interesse, banche… tutte cose importantissime, per carità, ma dimentichiamo completamente che non esiste nessun progresso sociale senza sviluppo dei diritti civili.
Non più solo le sentenze di tribunali, Cassazione e Corte Europea, ma ormai anche il senso comune dice quali siano stati i responsabili delle «torture» dentro la scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto: i poliziotti che hanno materialmente partecipato; i loro dirigenti che li hanno coordinati; il governo di destra che ne ha voluto e coperto l’azione; i precedenti governi di centro-sinistra che hanno nominato nella Polizia uomini quantomeno inadeguati, gli stessi che hanno poi gestito il G8; l’assenza nel nostro codice penale del reato di tortura; la non riconoscibilità di poliziotti che non hanno alcun identificativo; e non ultima la sostanziale indifferenza della gran parte della società italiana per tutto ciò che concerne lo sviluppo di una seria normativa sui diritti civili.
Questa indifferenza si ritrova spesso anche all’interno dei movimenti, che considerano la battaglia per i diritti civili una questione secondaria e anche un po’ fastidiosa rispetto alle lotte sociali.
Certo, la violenza della polizia non è questione solo italiana. La crisi ha fatto emergere in tutta la sua evidenza il problema di fondo, che è l’incapacità della politica, nella nostra epoca, di gestire le crisi sociali. Governi e i partiti in crisi di rappresentanza, delegano alla polizia la risoluzione dei conflitti sociali. Allo stesso modo, delegano alla magistratura il controllo sulla legalità dei comportamenti delle istituzioni e dei politici stessi, salvo poi dolersene nei talk show.
Ma le norme sulla tortura dovrebbero precedere questo dibattito. La sentenza della Corte Europea, chiamando la «tortura» con il suo specifico nome, ci aiuta a riconoscere che i fatti di Genova sono stati una «crepa» nel cuore della società italiana: le torture alla scuola Diaz prima e alla caserma di Bolzaneto dopo hanno portato alla sistematica umiliazione e alla riduzione all’impotenza di un numero impressionante di persone, da parte di un numero impressionante di poliziotti. Quando arriverà a maturazione anche il ricorso fatto alla stessa Corte per i fatti di Bolzaneto, sulla giustizia italiana, sulle forze dell’ordine e sullo Stato cadrà non una tegola come ma l’intero edificio di menzogne imbarazzate e arroganti che hanno caratterizzato il dibattito pubblico sui cosiddetti «fatti di Genova».
A questo punto l’unica risposta seria a questa vergognosa vicenda sarebbe l’approvazione in tempi brevi di una norma sulla «tortura». Non una norma qualunque, però. Certi trucchetti che hanno caratterizzato l’iter parlamentare fino ad ora potrebbero rendere nullo lo sforzo. Sarebbe l’ennesima beffa. Sta anche a noi vigilare.
* L’autore è il regista del film «Diaz», 2012
Il vero scandalo è in Parlamento
— Patrizio Gonnella, 7.4.2015 (Il Manifesto)
C’è un giudice in Europa. I fatti di Genova risalgono al 20 luglio del 2001. In quella circostanza una buona parte delle istituzioni si è sentita legittimata a ragionare e ad agire come se fosse in uno stato di eccezione. La presenza di due ministri nella cabina di regia delle operazioni di polizia contro i manifestanti assunse il significato di legittimare l’eccezionalità di quanto stava accadendo. Ci furono le brutalità della Diaz e poi le torture di Bolzaneto. Non furono episodi marginali o «mele marce».
Fu qualcosa di sistemico e strutturale. L’anno prima vi erano state le violenze al Global forum di Napoli e quelle denunciate nel carcere di San Sebastiano a Sassari. Tre anni prima, ovvero nel luglio 1998, l’Italia solennemente aveva firmato lo Statuto della Corte Penale Internazionale che avrebbe dovuto giudicare su scala globale i gravi crimini contro l’umanità, tra cui per l’appunto la tortura. Tredici anni prima, nel 1988, l’Italia aveva firmato e ratificato la Convenzione Onu contro la tortura che all’articolo 1 definiva il crimine e agli articoli successivi impegnava tutti i Paesi a punirlo in modo adeguato ed efficace. In Italia la tortura invece non è un reato. A Strasburgo se ne sono accorti e così è arrivata la condanna per quanto accaduto alla Diaz.
La parola chiave di questa storia è «scandalo».
La pietra dello scandalo non è la tortura praticata, in quanto essa non è mai purtroppo una sorpresa, neanche nelle più consolidate delle democrazie.
Chi si sorprende della tortura fa sempre il gioco dei torturatori È uno scandalo il fatto che per 25 anni la classe dirigente di questo paese non ha avuto alcuno slancio nel nome dei diritti umani. La storia parlamentare ci rimanda a inerzie, meline, opposizioni nel nome ora della ragion di stato, ora dello spirito di corpo, ora delle mani libere.
Una storia politica dove è difficile capire chi non sia responsabile. Dal 1988 si sono succeduti governi della prima e della seconda Repubblica, governi di centrodestra e di centrosinistra, eppure la tortura non è mai stata criminalizzata per quel che è, ovvero un delitto proprio del pubblico ufficiale.
Nei prossimi giorni riparte il dibattito alla Camera. La Commissione Giustizia ha modificato il testo – imperfetto e incoerente rispetto al dettato Onu – approvato in Senato. Per cui riprenderà il ping pong parlamentare che nelle scorse legislature ha decretato la morte delle varie proposte di legge pendenti.
In tutti questi anni, abbiamo sentito parlamentari chiedere che non fosse punita la sofferenza psichica prodotta dalla tortura altrimenti alcuni pubblici ministeri avrebbero rischiato l’incriminazione o altri deputati evocare la punizione solo per chi tortura almeno due volte. Nel frattempo la cronaca ci ha ricordato che la tortura non è un crimine da terzo mondo, ma anche del secondo e del primo.
Tre anni fa un giudice ad Asti non ha potuto punire due agenti di polizia penitenziaria in quanto, come lui stesso ha scritto nella sentenza, «in Italia manca il delitto di tortura» e le condotte dei due agenti coincidevano con la descrizione del crimine presente nel Trattato delle Nazioni Unite.
Sappiamo – grazie a Voltaire — che il meglio è nemico del bene. Sappiamo anche che abbiamo bisogno di una legge che non perpetui l’impunità dei torturatori.
* Presidente di Antigone
Girodivite, n° 75, luglio 2001, editoriale
Cronache da un Paese Normale - "Cari amici ascoltatori è un momento tragico, i telefoni sono isolati, speriamo che le comunicazioni continuano a funzionare, chiamiamo tutti, chiamiamo l’Ansa: la polizia è nel cortile! Sono qui, dentro al media center. Cerchiamo di non perdere il controllo: stanno assaltando il media center di via Cesare Battisti qui a Genova, stanno cercando di sfondare la porta dietro la quale ci siamo barricati, siamo come topi in trappola. (...) Io non me ne vado dal mixer finché non mi ci trascinano via. E’ una scena cilena, stanno sfondando la nostra porta. Resistenza passiva, ragazzi! Uno sgombero in diretta. Manteniamo la calma. Calma, seduti e con le mani alzate, ok, tutti, tutti, leviamo quel tavolo, non abbiamo nulla da nascondere (...) Non ci devono fare niente, non abbiano fatto nulla, stiamo solo facendo informazione. Continueremo a farla. Continuiamo a denunciare quello che sta facendo questo stato criminale e questa polizia fascista. Che è entrata nella sede di una radio, manganelli in mano il casco sulla testa..." Questi gli ultimi tre minuti di trasmissione di Radiogap prima dell’irruzione della polizia nel media center del Gsf dove gli speaker sono acquartierati insieme ai legali e agli attivisti dell’Independent Media Center. Più tardi spediranno in giro per il mondo un file audio che a trent’anni di distanza racconta la stessa storia della chiusura di Radio Alice di Bologna (www.dyne.org/antig8).
Il 21 luglio 2001 un ragazzo a Genova è morto. Nel luglio 1960 altri ragazzi venivano uccisi in Italia,paese "normale"
Speciale G8: Genova per noi popolo della sinistra pacifista da oggi significa qualcosa di nuovo. E’ un punto di svolta, sia per il movimento che per la democrazia nel "paese normale" chiamato Italia. Girodivite dedicato lo Speciale G8 raccogliendo le foto della manifestazione svoltasi a Catania all’indomani dei "fattacci" di Genova. Girodivite è "in cammino" insieme a tutto il popolo della pace.
Link alle pagine originarie di Girodivite 2001.