Le Caporetto di nostra vita

mercoledì 3 dicembre 2014, di Sergej

Il 2014 è stato l’occasione per ricordare i cento anni dallo scoppio della Grande Guerra. L’evento che insanguinò l’Europa tra il 1914 e il 1918 è stato ricordato attraverso cerimonie, incontri, e pubblicazioni.

"Caporetto : una battaglia e un enigma" di Mario Silvestri è l’VIII volume di una serie di pubblicazioni uscite, distruibuite in edicola, in occasione del centenario della Grande Guerra. Un’operazione meritoria, quella del Corriere della Sera (assieme alla Gazzetta dello Sport, e alla RCS MediaGroup di cui fanno parte) che ha messo a disposizione dei lettori curiosi alcune buone monografie a prezzi accessibili (9,90 euro ognuna). Silvestri indaga su uno dei momenti cardine di quella vicenda, la disfatta delle forze militari sul fronte italiano a Caporetto tra ottobre e novembre 1917 - quella che sarà poi chiamata "la XII battaglia dell’Isonzo", "disfatta di Caporetto" - e che entrerà nell’uso colloquiale quotidiano. Il libro di Silvestri è ben documentato e centrato sulle vicende militari, con un capitolo finale che prende la tangente e prova a utilizzare la metafora di Caporetto per parlare di qualcosa che sembra essere ricorrente nelle vicende politiche e sociali italiane: le periodiche disfatte che sorprendono un Paese sul punto di crollare, e che inspiegabilmente dopo pochi mesi trova il coraggio e la forza per riprendersi e resistere. La metafora / Caporetto si accompagna così con la metafora / Piave ("il Piave mormorò / non passa lo straniero" della canzone), il momento in cui l’esercito di massa ritrovò improvvisamente dignità e speranza, unione e forza d’animo per fermare "il nemico" e risorgere dalle ceneri. Silvestri documenta quello che accadde allora, e analogizza gli altri episodi di storia nazionale, le altre "caporetto" e gli altri "piave". Per uno storico è il massimo che si può fare: registrare come certi fenomeni avvengono, senza riuscire a comprendere appieno perché possano essere avvenuti. O meglio: riuscire a comprendere i perché e i come della disfatta, ma non il perché del riscatto. Intuendo che è proprio questo il punto focale: perché riuscire a capire cosa fa sì che un Paese come l’Italia riesca (almeno fino ad ora) a resistere e riacquistare dignità dopo la più ignominosa delle disfatte è un "enigma", l’enigma che Silvestri sfiora nella sua documentata analisi storica. E ciò vale a maggior ragione nei tempi che viviamo, in cui la crisi economica e sociale che ci attraversa è simile a quella di una "caporetto" della società italiana intera - solo che per ora non intravediamo uscite.

Tra i tanti contributi che abbiamo letto in queste settimane, molto bello - anche per via delle immagini - è il volume curato da Wlodek Goldkorn e Claudio Lindner "La Grande Guerra : raccontarla cent’anni dopo per capire l’Europa di oggi" pubblicata da L’Espresso, con prefazione di Bruno Manfellotto e introduzione di Giovanni De Luna. Ma tra le cose pubblicate non in occasione del centenario, vale sempre la pena leggere almeno "Il mondo di ieri : ricordi di un europeo" di Stefan Zweig (c’è l’edizione tradotta da Lavinia Mazzucchetti, Oscar Mondadori), e naturalmente "Niente di nuovo sul fronte occidentale" di Eric Maria Remarque (io ho l’edizione del 1981 tradotta da Stefano Jacini ed edita negli Oscar Mondadori): beh, questo è assolutamente fondamentale e va al di là dello specifico "prima guerra mondiale". Zweig prova a descrivere un mondo, quello antecedente la Grande Guerra, che davvero sembrava proiettato verso uno sviluppo di pace e di progresso: un mondo che fu fatto a pezzi, polverizzato nel giro di pochi mesi dalla guerra. L’Impero austro-ungarico è stato formalmente la vittima più illustre della guerra, con il suo mondo, la sua "civiltà". Mentre Remarque ci fa vedere "dal basso" cosa è la guerra, qualsiasi guerra, dando voce a chi in questa guerra non potè mai parlare. Perché in questa guerra per la prima volta in Europa, appaiono le masse (quelle su cui indagherà Elias Canetti in "Massa e potere") l’uso che di milioni di analfabeti e contadini la civiltà industriale della guerra fece per i suoi imperscrutabili motivi. Su questo, la cosa più interessante che abbiamo letto di recente è "Terra matta" di Vincenzo Rabito (Einaudi, 2007), dove lingua e a/moralità mettono il lettore borghese di fronte a se stesso e alla propria corporalità (l’episodio dello stupro da questo punto di vista butta alle ortiche decenni di retorica e "buoni sentimenti" ital-patriottici di tutte le correnti ideologiche e politiche, religiose e di genere). Niente fu come prima, per nessuno di quelli che andarono in guerra: non per il soldato Carlo Emilio Gadda, che scoprì probabilmente sul fronte l’esistenza di qualcosa che non era esattamente l’italiano dei libri - almeno noi crediamo che fu qui che nacque quella sua lingua pasticciata e modernissima che tanto appassionò Contini e i lettori degli anni Sessanta del Novecento -. Non per il soldato aristocratico Wittgenstein che vestiva una "divisa di altro colore" (per dirla con De André) che sul fronte russo meditava attorno al suo Tractatus, e persino neppure per uno come Max Born il futuro fisico e premio nobel che durante la prima guerra mondiale diede il suo contributo tecnico ("Credevo, come tutti gli altri, che la Germania fosse stata attaccata, che stesse combattendo per una nobile causa e che la sua esistenza fosse in pericolo", p. 242) non come Fritz Haber che diresse la guerra dei gas. Born (leggiamo nella sua biografia: "Autobiografia di un fisico", introduzione di Edoardo Amaldi, Editori Riuniti 1980) assistette come a uno spettacolo alla battaglia della Somme, più che altro impegnato a risolvere il problema matematico della determinazione delle provenienza del fuoco d’artiglieria attraverso le onde sonore. Ma l’esperienza fu sufficiente per lui per diventare nel dopoguerra un anti-militarista e poi un anti-nazista. Tra quei milioni di morti mandati al massacro Wilfred Owen, poeta diventato simbolo del massacro inutile degli inglesi sul fronte occidentale ("Poesie di guerra", a cura di Sergio Ruffini, edito da Einaudi), mentre Giuseppe Ungaretti, per nostra fortuna, riuscì a scamparla e a pubblicare le sue poesie, che diedero una svolta al modo che avevamo di scrivere e pensare ("si sta come gli alberi d’autunno le foglie"): ce lo ricorda Giampiero Mughini in un suo libro che c’entra poco con la prima guerra mondiale ma di più con l’amore dei libri ("La collezione : un bibliofolle racconta i più bei libri italiani del Novecento", Einaudi 2009). Sul fronte italico morì un fratello di mia nonna, che sempre sarà da lei ricordato. Il suo nome è probabilmente tra i tanti caduti della lapide che anche a Noto sarà stata dedicata ai morti della prima guerra mondiale - ce n’è una ogni città, ogni borgo d’Italia: la lapide più vecchia e scrostata è quella dei morti della Prima Guerra, a volte accanto c’è anche quella dedicata ai caduti di guerre successive, giacché la "prima" non fu l’ultima anche se nel 1918 tutti speravano ardentemente potesse essere ultima, dopo il bagno di sangue che c’era stato.

Per l’Europa dopo il 1914 niente fu come prima. Il massacro inutile e efferato della "prima guerra mondiale" derminò, oggi lo sappiamo, la fine dell’egemonia degli Stati europei, il passaggio del testimone a Stati Uniti e Russia che dominarono la seconda parte del XX secolo (fino al 1989 con la caduta del Muro di Berlino). Nel corso del 2014 la vecchia Europa ha compiuto il suo momento di riflessione su quel momento della storia, attraversata nell’oggi dalla crisi e da un’ennesima perdita: la crisi di questi anni è l’equivalente di una guerra persa, con il carico di disoccupati e di imprese ridotte sul lastrico. Lavoro e lavoratori bruciati. Un piccolo continente, quello europeo, che non riesce a pacificarsi né a trovare una unificazione sociale, con le mille tensioni che continuano a esistere nel confine tra l’Occidente e la Russia. Chi ha sperato, dopo la fine della prima guerra mondiale, in un mondo pacificato e senza guerre, si è ritrovato sistematicamente sconfitto.

Tornando indietro nella memoria storica, non possiamo non guardare con angoscia e pessimismo il percorso che si siamo lasciati alle spalle, e il nostro stesso presente. A cosa sono serviti i milioni di morti della prima, e poi della seconda guerra mondiale? Oggi "commemoriamo" ma abbiamo ben poco da stare allegri. Al massimo ci tocca l’ "allegria dei naufragi". Nient’altro.


Anche sul web il centenario è stata l’occasione per riverdire o migliorare una serie di siti e pagine, che sono molto utili per un primo orientamento e per approfondimenti per quanti sono interessati. Qui ci limitiamo a segnalare:

www.itinerarigrandeguerra.it

www.lagrandeguerra.net

www.grandeguerra.rai.it


La collana Biblioteca della Grande Guerra, di cui fa parte il volume di Mario Silvestri, edito dal Corriere della Sera, comprende i volumi: "La Grande guerra : una storia globale" di David Stevenson (2 volumi), "La grande guerra degli italiani" di Antonio Gibelli, "1913: L’anno prima della tempesta" di Florian Illies, "1914: come la luce si spense sul mondo di ieri" di Margaret McMillan (2 volumi), "Il prezzo della gloria: Verdun 1916" di Alistair Horne, "Caporetto" di Mario Silvestri che firma anche "Isonzo 1917", e "Il Piave" di Fortunato Minniti. Questi ultimi due volumi non sono ancora usciti in edicola.



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