Mi dissero, forse... no, non l’ho letto.

venerdì 11 ottobre 2013, di Sergej


Così, siamo gli ultimi... per "comprensione linguistica". Uno dei tanti analisi/sondaggi statistici sullo stato degli Italiani che riempiono le pagine dei giornali e che ci provengono dall’estero - di solito dall’Europa, perché si sa che in Italia non siamo capaci di elaborare alcun tipo di statistica che possa essere presentata con un minimo di attendibilità. Meglio se una organizzazione tipo ONU (la favola sul "patrimonio culturale" che l’Italia possederebbe e che tanto farebbe per il turismo se solo...) o interplanetaria, giusto per farcirci d’orgoglio.

Tra i tanti link possibili, scelgo questo. Così tanto per capirsi il titolo di questo post.

E un articolo dal sito de LaVoce.info

In realtà analisi come quello dell’OCSE non arrivano all’improvviso. Ogni anno ricicciano sulle pagine dei giornali, ogni anno si ha la buona dosa di stupore / riprovazione / meraviglia ecc. e poi tutto torna nell’anamorfosi dormiveglia di sempre e, soprattutto, tutto viene debitamente dimenticato. Perché noi viviamo l’oggi nell’immediatezza dell’evento, consumiamo notizie che durano lo spazio di una giornata. Questa sull’ignoranza degli italici, ovvero sulla loro / nostra inadeguatezza rispetto agli standard internazionali è una cosa che ci trasciniamo da una ventina d’anni. Toh ma guardacaso è giusto il periodo che è trascorso da quando non si fece la riforma delle coscienze e delle classi politiche italiani nel 1994 con tangentopoli. Quando si preferì bloccare tutta la società italiana, terrorizzati da qualsiasi forma di cambiamento.

Solo che poi in questi anni le cose sono comunque andate avanti. Secondo il trend che era quello che era stato deciso con la fine del Muro di Berlino, nel 1989. L’abbattimento della classe media e del welfare di cui le classi al potere non sentono più la necessità.

Se gli italici sono analfabeti non è un caso. Semplicemente, non c’è bisogno che i pezzenti (cioè tutti noi) dobbiamo imparare a leggere e scrivere. Non ne ha bisogno lo Stato che sta smantellando gli impiegati pubblici, giacché dell’apparato burocratico degli anni Sessanta e Settanta non c’è più bisogno (niente welfare, niente apparato statale). Non ne ha bisogno l’industria, che ha come obiettivo quello di pagare i propri salariati con stipendi che debbono essere 1/3 di quelli dei tedeschi o dei francesi. L’industria non ha bisogno di ingegneri, ma di operai che debbono essere pagati 1200 euro al mese. Se tu paghi 1200 euro al mese un operaio, vuol dire che dài questo valore a quello che l’operaio deve produrre. Gli operai italiani debbono produrre materiali che sicuramente si collocano al di sotto di quelli prodotti in Germania o Francia. L’industria italiana, che in questo momento non conosce crisi e continua a esportare abbondantemente (cioè c’è qualcuno che in Italia continua ad aumentare le proprie ricchezze guadagnate con la vendita di prodotti all’estero) non investe da vent’anni in macchinari - gli unici che aumentano la produttività del lavoro, perché anche i bambini alle elementari sanno che la produttività non dipende dal costo del salario ma dalla potenza delle macchine. Se avesse dovuto investire in nuovo macchinario, avrebbe dovuto formare operai in grado di far muovere i nuovi macchinari, ovvero avrebbe dovuto investire (o far investire) in istruzione.

Sui dati dell’export italiano, può essere utile l’articolo de LaVoce.info.

Per il resto, si sa, c’è Mastercard.


Sergej

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