Quaderno 2. Una sera di Chico Mendes

domenica 10 aprile 2005, di Peppe Sini

"Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho serbato la fede"

Corso di educazione alla pace presso il liceo scientifico di Orte, anno scolastico 2004-2005

Materiali per la riflessione. 2

UNA SERA DI CHICO MENDES

ed altri testi estratti da "La nonviolenza è in cammino"

*

Premessa

I testi seguenti sono estratti dal notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza è in cammino", edito dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo. Essi vengono proposti come materiali utili alla riflessione sui temi della pace, della dignità umana, dell’accostamento alla nonviolenza. Ogni testo è preceduto dal numero del fascicolo del notiziario in cui è apparso e dal titolo (abbiamo omesso il nome dell’autore poiché è sempre lo stesso: Benito D’Ippolito, uno dei principali collaboratori de "La nonviolenza è in cammino"). Nel notiziario ogni testo era preceduto anche da una breve nota informativa utile per la contestualizzazione, in cui si riferiva dell’occasione del testo e si fornivano succinte notizie biografiche e bibliografiche sulle persone cui i testi sono dedicati. Chi volesse leggere queste notizie può rintracciarle in internet attraverso un motore di ricerca, digitando autore, titolo e testata, o anche semplicemente la testata e il numero del fascicolo. Potrà comunque forse essere utile qui segnalare che nel testo intitolato "Ad alcuni amici suoi di Catania" si parla di Pippo Fava, e che nel testo intitolato "Cantata per Danilo" si parla di Danilo Dolci. Per contattare il Centro di ricerca per la pace di Viterbo: recapito postale: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo; recapito telefonico: 0761353532; recapito di posta elettronica: nbawac@tin.it Il responsabile del centro, e direttore responsabile del notiziario da cui sono estratti i testi di seguito presentati, è il coordinatore del corso di educazione alla pace che si svolge presso il liceo scientifico di Orte.

Orte, 3 dicembre 2004

*

Da "La nonviolenza è in cammino" n. 464

UNA SERA DI CHICO MENDES

"Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho serbato la fede" (2 Tm 4, 7)

La selva e nella selva l’altra selva
quella nei laghi neri del cuore
quella ove incontri lupe, leoni, lonze
e i killer prezzolati dai padroni.

La selva e nella selva vivi gli alberi
e sotto la corteccia il sangue loro
ed è mestieri di cavarne stille,
fratelli alberi, abbiamo fame anche noi.

La selva e nella selva gli abitanti
della selva. Ed ecco stabiliamo
un patto nuovo tra noi della foresta,
fratelli umani che dopo noi vivrete.

La selva e noi, le donne antiche e gli uomini
antichi e gli uomini e le donne che eccoci.
Stringiamo un patto, sorelle piante, ci diciamo
parole di rispetto e di dolore, fratelli alberi
abbiamo fame anche noi, hanno fame anche altri, tutti
vogliamo vivere.

La selva e nella selva io Chico Mendes
e tre proiettili che passo dopo passo
di ramo in ramo di talento in talento
dal portafogli e dalla scrivania
fino alla tasca e alla cintura e alla fondina
è tanto che mi cercano, e cercano me
Chico Mendes, il sindacalista
l’amico della foresta, l’amico della nonviolenza.

Ed è già questo ventidue dicembre
del mille novecento ottantotto
questa è la porta di casa mia, sono
le cinque e tre quarti. E mi sotterreranno
nel giorno di Natale antica festa.
Piangono nella selva lente lacrime
di caucciù le piante, piange l’indio
piange Ilzamar, Sandino ed Elenira
piangono e piangono i compagni tutti,
il sindacato piange e piange il cielo
in questa sera senza luce e senza scampo.

Mentre mi accascio guardo ancora il mondo
che possa vivere
ho fatto la mia parte.

*

Da "La nonviolenza è in cammino" n. 466 AD ALCUNI AMICI SUOI DI CATANIA

Degli infiniti mondi questo era
dei ciarlatani il mondo.
E dei mafiosi.

E delle oppresse e degli oppressi in lotta
per il riscatto e per la dignità.

Ti offrivano casse di vini pregiati e sorridendo
ti dicevano di smettere, ma chi te lo fa fare, pensa
alla salute.

Ministri e cavalieri, stallieri e magnati
ti guardavano come una sfinge, cosa poteva volere
quella faccia di greco antico
che certo amava la vita.

Amava la vita ed amava la Sicilia
che è la vita quando la vita è insieme felice e amara.
Amava la Sicilia che è la Grecia
di Empedocle e il mondo quando tutto
era colmo di dei e di dee. Amava
la Sicilia che non si arrende, la Sicilia
dei contadini e degli zolfatari,
degli emigranti e delle magre donne
forti come la roccia.

Era uno come Diderot: fece più che delle opere
fece delle persone.
Trovò compagni e suscitò la lotta, quando
tutti tacevano e lui levò la voce, e così quando
sarebbe stato facile cedere in una smorfia,
in un ammiccare ironico e lieve, e invece lui
levò la voce.

Lo avevano avvisato, non dite di no. Avvisato
lo avevano, ma lui
niente
e con quel sorriso e con quel cercare grane
sempre d’attorno andando col fiuto e con la tigna.
Lo avevano avvisato ma lui niente
testa dura che voleva spianare le montagne.

Poiché non lo fermarono i sorrisi
poiché non lo fermavano gli avvisi
poiché cresceva intorno a lui, tramite lui
quella cosa che si chiama Resistenza
e puoi dirla solamente in lieve soffio,
mandarono a fermarlo infine i killer.

Sono passati anni e a quella notte
tante altre fredde notti di dolore
si sono aggiunte tale che s’incrina
il mondo sotto il peso della mole.

Sono passati anni e Pippo Fava
è ancora qui, compagni, e vive ancora
e vivrà ancora finché tu non cedi.

*

Da "La nonviolenza è in cammino" n. 487 DELLA MEMORIA DEL DOLORE E DEL DOLORE DELLA MEMORIA

I.

Quando ricordi il dolore
aggiungi un dolore ancora. E la memoria
del dolore infinito è infinito
protrarsi del dolore. Tutto ne geme,
ne scricchiola il mondo, e l’anima.

Quando ricordi il dolore
un nuovo dolore sopporti
ma non dissemini nuovo dolore
il vecchio cerchi d’addomesticare
che meno ti graffi lo sguardo
t’incrini meno la voce, il cuore
nel raccontare un poco si disserri.

Ma quando ricordi quel dolore
frutto del male innominabile, quel male
ancora ti strazia e smarrisce.
Non puoi dartene ragione, non puoi
domesticarlo, no, non puoi.
Cosa ti accade allora?

II.

Si può raccontare l’inenarrabile?
e si può razionalizzare ciò che sfugge
alla ragione? e si può
fare memoria di ciò che dovrebbe
per sempre sprofondare nel pozzo dell’oblio?

Ma quel dolore resta e ancor più resta
quel male se non trovi chi ti ascolta
quel male se non trovi le parole
atte ad espellerlo dacché giù in fondo all’anima
forte a calcarlo ebbero i torturatori.

Dire l’indicibile.
Lottare ancora.
Convocare l’intera umanità
al cospetto dell’unica, la duplice
Shoah.
Lottare ancora
dire l’indicibile
salvare le vittime future.

Pesante assai fardello di scorpioni
e di frustate che sul dosso grava
troppo perché lo possa sostenere
persona.

E tuttavia recare testimonio
e dire l’indicibile e lottare
ancora, ancora salvare
le vittime, l’umanità intera.

III.

Non accadde in una notte di tempesta
non accadde tra capanne e dentro grotte
non accadde in terre barbare e deserte.

Fu nel cuore colto e vivo dell’Europa
conficcato come stocco fino all’elsa.

Non accadde in tempi oscuri e remotissimi
ma nel secolo ricco e portentoso
della tecnica, la crescita, il progresso.

Nel cuore colto e vivo dell’Europa
nero chiodo che trapassa e infetta l’albero.

IV.

Mi chiedo quali ricordi io ricordi
e di quali ricordi io parlo in questi giorni
ai miei ragazzi, qui, seduti in cerchio.

E cosa coli e filtri tra parole
nelle anime loro che non voglio insozzare
ridicendo dell’inferno di Auschwitz.

Questo dovere di fedeltà
ai maestri più grandi che ho avuto
e questa paura di essere strumento
inconsapevole e nolente ancora
alla propagazione dell’orrore
col solo dirne.

E in lacrime ogni volta ancor rompendo.

V.

Mi chiedo questa voce che qui scrive
di cosa testimoni e donde trovi
la forza di levarsi voce ancora.

Mi dico non sei tu non sei non sei
tu in diritto di parlar di questo
solo potrebbero coloro che son morti
o pochi vecchi che i giorni del male
tutte le notti devono tornare
ad affrontare in buio e solitudine.

Cosa ne sai, non eri lì, non puoi
dar la tua voce alle parole altrui
ed al silenzio altrui, e non vi sono
parole che possano dire la cosa
che con la parola Shoah tentiamo invano
di esorcizzare, di stornar dal mondo.

VI.

Mi dico: pure devo ricordare
che questo è stato e ricordare ad altri
di ricordare che ciò che già è stato
ancora può tornare se non veglia
quella ragione che contende ai mostri.

Mi dico, trattieni del ploro
l’impulso e dei singulti
e parla con voce chiara e piana
racconta di Primo Levi, racconta di Vittorio
Emanuele Giuntella, racconta
quel che da loro hai imparato e tramanda
la verità, l’appello e anche il fardello.

Mi perdonino i giovani cui parlo
alla cui innocenza m’inchino
mi perdonino se l’eco dell’orrore
reco alle loro orecchie, se traggo
penoso un carico e lo consegno loro
di angoscia inestinguibile.

VII.

Ma ricordate che questo è stato
ma ricordate che all’inumano
occorre resistere, ma ricordate
che ogni persona è fragile, e difendila
tu.
Ricordati che tu devi salvarlo
il mondo tutto, la vita di ciascuno.

*

Da "La nonviolenza è in cammino" n. 534 UNA CANZONE PER MARIANELLA GARCIA. NEL VENTESIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE

Ay Marianella, Marianella Garcia
potevi fare la vita dei signori
i tuoi buoni studi, il tuo seggio in parlamento
ma tu scegliesti di stare con noi poveri.
Ay Marianella che pioggia di sangue.

Era Marianella sorella di noi morti
perché amava la vita e che la vita
fosse degna di essere vissuta.
Ay Marianella si spensero le stelle.

Era intrepida e vestita di umiltà
sapeva che i fascisti la cercavano
e ti raggiunse la furia dei fascisti.
Ay Marianella la furia dei fascisti.

Parlava la lingua dei contadini e degli angeli
sapeva le parole che guariscono
parole di luce e di pane.
Ay Marianella la terra nera e rossa.

Sapeva tutte le cose e anche le cose
che tutti sanno e è difficile dire
e lei le diceva con voce di uccellino.
Ay Marianella che fredda è la notte.

Ti ammazzarono come hanno ammazzato
i morti che cercavi e che il tuo sguardo
resuscitava nel cuore del popolo.
Ay Marianella che pianto infinito.

Così dura è la nostra dura vita
che anche nella gioia noi piangiamo
ma mentre ti piangiamo ricordiamo
con gioia che sei stata e resti viva.
Ay Marianella, Marianella Garcia.

*

Da "La nonviolenza è in cammino" n. 538 EPIGRAFE PER IL RESISTENTE JOSEF MAYR-NUSSER

Almeno io ti voglio ricordare, e ringraziare ancora,
Josef Mayr-Nusser che fosti arruolato
a forza nelle SS e che dicesti no.

Sul treno per Dachau, nel vagone bestiame
moristi da resistente, non da carnefice.

Avessero molti fatto la tua scelta
non avrebbero inondato il mondo
quanto dolore, quante lacrime, quanto sangue.

Almeno io qui ti ringrazio ancora
Josef Mayr-Nusser che dicesti no.

*

Da "La nonviolenza è in cammino" n. 542 NEL CHIASSO

Nel chiasso in cui tutti hanno ragione
resto in silenzio e il mio silenzio dica
la colpa che io sento e che non sentono
tutti coloro che di ciancia colmano
il vuoto nel mondo lasciato dagli uccisi.

*

Da "La nonviolenza è in cammino" n. 558 PER OSCAR ROMERO

Prima di essere Romero Romero
non era ancora Romero. Tutti
dobbiamo divenire ciò che siamo
e che non siamo finché non ci troviamo
a quell’antico bivio della scelta.

Era Romero uomo di fede
ma la sua fede non era ancora
la fede di Romero, prima occorse
che quella fede nella fede lo trovasse
gliela recasse un popolo piagato.

Così dall’astratto al concreto
dicono certi antichi dottori
muovesi il mondo, il mondo vecchio e stanco
così si mosse anche Oscar Romero
muovendo incontro a verità e martirio.

Dicono: cosa si può fare? Nulla.
E dicono anche: cosa
si può fare? Tutto.
E non è vero. Ma quel che è da fare
tu fallo, e cosi’ sia.

Sotto lo sguardo degli assassinati
Oscar Romero incontrò se stesso
sotto lo sguardo degli assassini
incontrò se stesso Oscar Romero.

Viene sempre quell’ora inesorabile
in cui devi levare la tua voce.
Tu non vorresti, vorresti restare
nel silenzio che sa molte lusinghe
molti segreti, e molti pregi reca.
Ma viene sempre l’ora della voce.

Venne quell’ora per Oscar Romero
a rivelargli il volto e il nome suo
venne quell’ora recata dal silenzio
degli assassinati e recata dal silenzio
degli assassini, e giungi al paragone.

Prese ad un tempo la parola e la croce
e messosi alla scuola degli scalzi
ne fu più che avvocato, compagno.
Sapeva anche lui dove quella portava
strada, sapeva anche lui quale suono
avrebbe spento un giorno la sua voce.

Come chiodi che secco un martello
nel legno batte e conficca, il colpo
della pallottola irruppe nel suo corpo
fatto legno, fatto vino, fatto croce
fatto pane, fatto luce, per sempre
raggiunse Romero Romero, ormai voce
per sempre dell’intera umanità.

*

Da "La nonviolenza è in cammino" n. 561 ANCORA UNA CANTATA DEI MORTI INVANO

E noi siamo i soliti morti
i soliti morti invano
quelli come sempre poco furbi
che non sapevano guardar lontano
e quelli come sempre troppo furbi
che non sapevano guardar vicino.
Adesso siamo qui, presi all’uncino
nello sheol infrante estinte spoglie
morti per sempre come tutti i morti,
e come tutti i morti morti invano.

E noi anche avevamo attese e voglie
e vite personali e aspetto umano
di femmine e di maschi, e come foglie
discerpaci ed invola un vento vano.
E i sogni alati e le gioie e le doglie
tutto disparve qual miraggio arcano
quando al lume dei giorni e al buon cammino
per sempre ci strappò il colpo assassino.

E voi che questa voce che si spegne
avete cuore di ascoltare ancora
sappiate che anche le nostre eran degne
di essere vissute vite, e l’ora
che ce le tolse - ed erano ancor pregne
di luce e di beltà che t’innamora -
non fu di caso o fato il cupo frutto:
furono uomini a rapirci tutto.

E tu che ancora senti e ancora vedi
a te affidiamo un’ultima parola:
ferma la guerra, con le mani e i piedi;
ferma la guerra e bruciati la gola
a forza di gridarlo; e se non cedi
vi è speme che s’inceppi questa mola
e cessi questa storia di orchi e brace
e possa venir l’ora della pace.

Ma noi siamo solo i soliti morti
i soliti morti invano
quelli come sempre poco furbi
che non sapevano guardar lontano
e quelli come sempre troppo furbi
che non sapevano guardar vicino.
Adesso siamo qui, presi all’uncino
nello sheol infrante estinte spoglie
morti per sempre come tutti i morti,
e come tutti i morti morti invano.

*

Da "La nonviolenza è in cammino" n. 562 IN MEMORIA DI DIETRICH BONHOEFFER

I.

Quando impiccarono Dietrich Bonhoeffer
dal cielo si sentì come un sospiro
profondo.
Il buon Signore aveva perso un forte
e buon compagno, e ne gemeva triste.

All’ora nona si rirallegrava
il cielo tutto
ché Dietrich Bonhoeffer
compiuta la sua corsa era tornato
infine a casa.

II.

E voi miei cari a cui qui intorno al fuoco
in questa veglia io riracconto ancora
la storia vera e la vera leggenda
del buon Dietrich Bonhoeffer, resistete
come lui resistette.

E non crediate
che non ha senso questo nostro esistere
resistere, cercare, accarezzare
lottare per la vita e la giustizia.

*

Da "La nonviolenza è in cammino" n. 604 UOMINI E TIGRI

Tu chiudi uomini in gabbia,
ed essi diventano tigri.

*

Da "La nonviolenza è in cammino" n. 670 RUMINAZIONI DI UN VIANDANTE EUGUBINO

Ora sappiamo che il lupo siamo noi.
Che anche noi siamo nella pancia del lupo
che anche noi rechiamo il lupo nella pancia.

E questo sappiamo, che la nostra lotta
contro di noi dobbiamo cominciarla.
E questo è il deserto, e questa è la fame,
ed il nemico è specchio di quanto
di non risolto, di non ancora a luce
sgorgato, di non compreso ancora,
è in noi che soffre, in noi è, che ci sforza.

E anche questo sappiamo, che i pensieri migliori
si pensano coi piedi, camminando si pensano.
Si pensano andando e mentre si va
ci si dà voce e ascolto l’un l’altro,
si scopre che il meraviglioso dono
non è quando si arriva ma il viaggio,
la strada condivisa e la compresa compagnia,
e ciò che si ode e vede e si consente,
e l’incontro inatteso, e dire tu al mondo.

*

Da "La nonviolenza è in cammino" n. 672 AGLI AMICI DELLA RETE RADIE’ RESCH IN OCCASIONE DELLA DECIMA MARCIA PER LA GIUSTIZIA DA AGLIANA A QUARRATA

Lunga è la via che mena alla giustizia
che reca in dono comprensione e pace,
e questa è una buonissima ragione
per subito intraprenderla, gia l’ora
è tarda, presto giungerà la sera.

Ma questo viaggio reca incanti tali
che tutta sanno illuminar la stanca
vita, e recare rorido un ristoro
quando si apre il cuore e incontri il volto
dell’altro che è già qui e che ti attendeva.

*

Da "La nonviolenza è in cammino" n. 680 L’INTERPRETE

Mi informa compunta la televisione
che sulla strada tra Mossul e Tikrit
dei soldati americani hanno sparato
all’automobile di un diplomatico italiano
membro del governo di occupazione,
che si erano sbagliati e si sono dispiaciuti,
gli italiani sono buoni amici,
gli americani ragazzi un po’ irruenti.

Dell’interprete iracheno assassinato
perché parlarne? perché scusarsi?
Il suo volto e il suo nome non contano,
la sua vita neppure.

Messo in abisso
qualcosa di distorto e di profondo
vi è qui da interpretare, ma l’interprete
è per l’appunto morto.

*

Da "La nonviolenza è in cammino" n. 768 CANTATA PER DANILO

Giunse Danilo da molto lontano
in questo paese senza speranza
ma la speranza c’era, solo mancava
Danilo per trovarcela nel cuore.

Giunse Danilo armato di niente
per vincere i signori potentissimi
ma non così potenti erano poi,
solo occorreva che venisse Danilo.

Giunse Danilo e volle essere uno
di noi, come noi, senza apparecchi
ma ci voleva di essere Danilo
per averne la tenacia, che rompe la pietra.

Giunse Danilo e le conobbe tutte
le nostre sventure, la fame e la galera.
Ma fu così che Danilo ci raggiunse
e resuscitò in noi la nostra forza.

Giunse Danilo inventando cose nuove
che erano quelle che sempre erano nostre:
il digiuno, la pazienza, l’ascolto per consiglio
e dopo la verifica in comune, il comune deliberare e il fare.

Giunse Danilo, e più non se ne andò.
Quando morì restò con noi per sempre.

*


Peppe Sini

Nonviolenza in cammino, di Peppe Sini

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