Università unita - Moratti

sabato 5 marzo 2005, di Antonio Vesco

Ci stiamo abituando perfino a questo: le diverse componenti dell’università in una mobilitazione paradossalmente unita e unanime contro il ddl Moratti. Rettori, studenti, docenti e personale didattico in protesta contro l’università-azienda.

L’università si ferma e propone alternative (davvero facile trovarle di fronte a questo disegno di legge). Fra gli atenei in protesta, per cambiare, quello di Siena. Allo sciopero indetto per la giornata di ieri hanno aderito in 356 fra docenti e ricercatori. Siena è un piccolo ateneo. In mattinata docenti, studenti e personale didattico, insieme, hanno occupato simbolicamente l’aula magna del rettorato per un’assemblea congiunta. Dalle finestre del rettorato pendono striscioni che parlano di "saldi" e di "liquidazione totale ricercatori". La mozione prodotta è un’alternativa al ddl Moratti, e un’alternativa alla stessa Moratti, dal momento che ne sono state chieste le dimissioni.

La discussione sull’università interessa i media fino ad un certo punto, e in fondo pochi, fuori dagli atenei, sono convinti della piena legittimità di questa protesta. La visione macchiettistica che media e senso comune le attribuiscono (non sempre sbagliata) vuole un’università imbalsamata, rigida, chiusa e gerarchizzata. Verrebbe allora da pensare a una guerra fra poteri. E di fatto lo è. Solo che da un lato stanno le tendenze a privatizzare la ricerca e la docenza, sottoponendole a logiche di mercato -l’ormai abusato concetto di università-azienda-, tendenze che in nesun modo contribuirebbero a cancellare i difetti di questa università. Dall’altro, appunto, l’università pubblica, con i suoi limiti, ma con il suo ruolo democratico di garanzia della ricerca libera, di garanzia della mobilità sociale e di accesso ad un’offerta di conoscenza che includa tutti senza distinzioni. Retorica, e però mai utile come in questo momento. In assemblea ci si è trovati unanimi quasi su tutto, ma soprattutto sulla necessità di divenire visibili e svegliare i media su una questione che, ovviamente, non riguarda l’istruzione e basta.

Gli interventi degli studenti hanno messo al centro della discussione i contenuti dell’università, e dunque la gestione della didattica. La legge 270 inserisce un nuovo ordinamento sul già nuovo ordinamento non ancora assestato; la stessa legge crea poi uno scollamento fra lauree triennali e specialistiche (producendo un 3+2=6, cioè sei anni come tempo minimo per conseguire una laurea specialistica, dal momento che l’accesso alle specialistiche prevede un recupero di crediti non indifferente). Si è poi fatto riferimento ai sempre maggiori incentivi alla costituzione di scuole d’eccellenza (master), inutili se l’università di base rimane a livelli bassi.

Un punto importante, e forse l’unico che ha trovato un’adeguata ribalta, riguarda poi i progressivi finanziamenti alle università private -che matematicamente sottraggono fondi alle pubbliche- nonchè l’aumento selvaggio delle tasse universitarie, che mettono in discussione il diritto allo studio, delineando sempre più chiaramente la concezione elitaria che questo governo ha dell’istruzione. E la precarietà? Nelle università italiane il personale di ruolo è solo il 40%, quello precario il 60. La flessibilità, quella della legge 30, prevede che le università adottino la certificazione del contratto di lavoro, e decidano, cioè, preventivamente il tempo e le clausole dei contratti del personale. Come si può stabilire entro quanto tempo un’attività di ricerca potrà dare risultati? L’università deve gran parte del suo operato ai ricercatori, che con il ddl Moratti vengono chiusi in un ruolo ad esaurimento. Una volta finita la loro attività nessun altro entrerà a lavorare in un ateneo come ricercatore. Cessare l’immissione di nuovo personale per la ricerca significa rompere il lavoro delle università, dunque un enorme spreco di denaro pubblico impiegato per le ricerche in corso e poi bloccate per sempre. Quindi, checché ne dica Antonio Polito (ospite in una trasmissione di raitre), il problema università riguarda la didattica e riguarda la ricerca e non è "solo un problema sindacale".

Gli altri punti della protesta riguardano più da vicino i docenti, ma toccano aspetti della riforma che non abbandonano le logiche di mercato. Coerenti, insomma. La distinzione fra tempo pieno e tempo definito è un regalo alle libere professioni e mortifica la scelta di chi aveva deciso di dedicare tutto il proprio tempo a un servizio pubblico e non a una qualunque attività da libero professionista. Per finire-si fa per dire- ci si batte per una riforma dei concorsi: si chiede una distinzione fra reclutamento e avanzamento di carriera, che preveda un periodo di prova per i neo-selezionati, ma che non sia un periodo infinito e garantisca loro qualche certezza. A proposito di controlli, si richiede un sistema nazionale che permetta gli avanzamenti di fascia per meriti e non per anzianità. Questo, forse, contribuirebbe davvero a superare parte dei limiti di questa università.

Questi i punti della mozione presentata da Siena, che difficilmente differirà dalle proposte degli altri atenei. Intanto, il dieci di marzo il ministro Moratti sarà a Lucca per inaugurare la scuola degli "Alti Studi", un istituto privato che gestisce corsi post-universitari a costi non esattamente accessibili a tutti. La mobilitazione degli studenti degli atenei toscani -e non solo- proseguirà in quella sede. E’ prevista una grande manifestazione. Questa mobilitazione studentesca, però, non deve illudere. Per ogni studente consapevole dell’importanza di questa protesta, ne troverete un centinaio che non si chiede nemmeno perchè. Capita di sentire, da parte di studenti iscritti a facoltà che più di altre si fondano sulla ricerca, lamentele per il blocco della didattica e lo sciopero dei ricercatori. Succede anche questo.

Antonio Vesco


Antonio Vesco

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