Il rapporto di Antigone: 4 detenuti su 10 inutilmente in carcere

martedì 26 ottobre 2010, di Adriano Todaro

Una fotografia impietosa delle nostre carceri. Ne esce uno spaccato sconcertante con più suicidi, sporcizia, sofraffollamento. Un carcere classista ed inutile che serve solo ad incattivire e non recupera i detenuti

E’ diventata, ormai, un’abitudine registrare le morti, i suicidi in carcere. Un’abitudine che faremmo volentieri a meno se non fosse che quei morti, spesso senza nome, spesso stranieri, con il loro gesto estremo non ci raccomandino di continuare a denunciare questa vergogna nazionale, di non stancarci nel denunciare cosa c’è nelle carceri, come si vive e si muore, cosa avviene.

Non sempre questo è possibile. Le carceri sono impenetrabili come le alte mura che le circondano. Le notizie difficilmente filtrano dalle sbarre. E in più c’è una sorta di fastidio nel leggere queste vicende, argomenti che non sembrano interessare i “liberi”, quelli che si preoccupano del tempo che farà domani, ma non di cosa accade oggi all’interno dei 206 istituti di detenzione nel nostro Paese.

Simone L., 35 anni, è l’ultimo suicida in ordine di tempo. Forse il nome completo non lo sapremo mai come non sapremo con certezza del perché era in prigione. Si è impiccato nel carcere di Pistoia il 14 ottobre scorso. Scarne notizie che presto si dimenticheranno come si sono dimenticate le vicende dei 55 suicidi dall’inizio dell’anno e delle 136 morti da accertare. Spesso sono anch’essi tentativi di suicidio, ma la normativa prevede che se un detenuto che ha tentato il suicidio muore durante il trasporto in ospedale o in ospedale, questa morte non va ascritta come suicidio.

Ora arriva una conferma in più di tutte le cose che, periodicamente, denunciamo sulle carceri. E’ stato presentato il VII Rapporto di Antigone sulle carceri italiane e le cifre, nella loro immediatezza, dimostrano come il problema delle carceri non sia per nulla osservato con attenzione da parte dei vari governi che si sono succeduti nel nostro Paese. Una politica indifferente a questo problema (come del resto a tutti i problemi che riguardano la vita delle persone) ma molto attenta ai desiderata del presidente del Consiglio.

La radiografia di Antigone delle carceri è impietosa. Mancano agenti, educatori, assistenti sociali, psicologi. C’è un operatore ogni 60 detenuti; 15 mila sono in attesa di giudizio, 5 detenuti su 10 non hanno precedenti penali, solo 7.800 usufruiscono dell’affidamento in prova, 4.692 le detenzioni domiciliari. A questo bisogna aggiungere che i posti disponibili sono 44.568 mentre i detenuti sono poco inferiori alle 70 mila. Insomma, un disastro. Un disastro che colpisce le persone, le vite delle persone. Non smetteremo mai di denunciare che non si può costruire nulla quando si ammassano decine di persone in pochi metri quadri, quando bisogna dormire per terra, quando non sempre è possibile stare tutti in piedi. In cento posti-branda sono ammassati 152 persone. Questa è la media. Ma a Caltagirone i posti sono 75 e i detenuti 302. Ci sono celle con letti a castello che arrivano a tre, quattro piani. Quello più in alto di tutti è a 50 centimetri dal soffitto.

E poi docce che non funzionano, acqua calda che non viene erogata, manutenzione che non viene effettuata, umidità, infiltrazioni di acqua piovana, detenuti che cucinano su fornelletti a pochi centimetri dal bugliolo, topi, puzza, disperazione, violenze.

E’ questo il carcere. E lo dovrebbero sapere anche coloro che sono molto preoccupati di un’eventuale liberazione di detenuti, quelli che hanno da scontare ancora un anno di prigione. Si dovrebbero preoccupare, invece, proprio di come vivono i detenuti. Perché quando si vive in sette in una cella di tre metri per quattro, allora non c’è nessuna possibilità di recupero. Anzi, quando si esce si è incattiviti. La vulgata popolare recita che in galera ci stanno i criminali. Certo. Ma non in termini assoluti. Volete sapere quanti camorristi e appartenenti alle altre mafie ci sono in carcere? Una goccia: 267 camorristi, 210 esponenti di Cosa nostra, 114 affiliati alla ‘ndrangheta. Questi sono quelli che scontano il famoso 41 bis. In tutto i malavitosi non arrivano a 6 mila unità.

E gli altri che ci sono in carcere? Il provveditore regionale milanese, Luigi Pagano, uno dei più preparati ed efficienti dirigenti dell’Amministrazione penitenziaria, cita i casi di San Vittore e Brescia e sottolinea che “la percentuale dei detenuti che esce nel giro di una settimana varia dal cinquanta al sessanta per cento. A volte arriva uno alle 12 e alle 14 esce”. Intanto, però, sono restati in carcere. Hanno avuto la vita sconvolta, sono stati perquisiti, denudati, visitati senza troppi scrupoli, messi in celle di pochi metri quadri con chi, magari, in carcere c’è da anni e anni. E, spesso, qualcuno ha subìto violenze.

Nelle carceri arriva anche chi ha inveito contro i vigili per una multa, a suo parere ingiusta, chi ha buttato la segatura nei cassonetti (è successo a due falegnami di Bagheria), chi non si ferma subito all’alt dei carabinieri, chi ruba una lattina di birra (è avvenuto a Reggio Emilia). Casi estremi? Non proprio. E’ stato calcolato che 4 persone su 10, la cui fedina penale era pulita, se la potevano benissimo cavare con una denuncia a piede libero. In carceri ci finiscono giovani ed anziani: 463 gli ultrasettantenni e 7.311 i detenuti con meno di 25 anni.

A questo proposito non dimentichiamo mai che i suicidi avvengono soprattutto fra le persone giovani e, soprattutto, nei primi giorni o mesi di detenzione. D’altronde quando sei solo e ti portano in cella, se non sei un incallito e recidivo detenuto, il mondo ti crolla addosso. Non vedi via d’uscita, non hai speranze. Non riesce neppure a parlare con l’assistente sociale o l’educatore perché, fisicamente, non c’è. Un operatore ogni 60 detenuti significa non riuscire mai a parlare con loro.

Mancano anche i magistrati di sorveglianza, altra figura importantissima. Ce ne sono 178 ed ognuno di loro dovrebbe occuparsi di quasi 400 detenuti. Tenendo conto, dice ancora Antigone, che ogni detenuto presenta, in media, dieci domande l’anno (tra misure alternative, reclami, liberazioni anticipate e ricoveri), ogni giudice si trova a smaltire circa 4 mila procedimenti per un totale ipotetico di 10 al giorno, festivi compresi.

Di quanto ci costa ogni detenuto, i lettori di Girodivite lo sanno benissimo perché lo scriviamo in continuazione. Comunque spendiamo esattamente 113,04 euro al giorno. Antigone però ha fatto anche un altro calcolo. Se nelle carceri ci fossero “soltanto” 44 mila detenuti (i posti effettivi), si risparmierebbero 1,5 miliardi di euro.

All’interno delle carceri ci sono anche 3 mila donne e un terzo dei detenuti non sono italiani, spesso portati in prigione a seguito della legge Fini-Bossi perché trovati senza un pezzo di carta in tasca; ben il 30 per cento dei detenuti è consumatore di droga, molti malati di epatite o Aids che dovrebbero stare in comunità ma anche lì non c’è posto, grazie alla legge Fini-Giovanardi. I bambini che vivono nelle carceri con le madri, sotto i tre anni di età, sono 57, gli ergastolani, 1.437.

C’è poi un dato che sbugiarda in modo preciso i soloni della “certezza della pena” del “pugno duro”. Solo una persona su 500 commette reato quando sono in misura alternativa al carcere, esattamente lo 0,23 per cento!

Ultimo dato importantissimo è il livello d’istruzione dei detenuti: 930 sono analfabeti, 2.342 privi di titolo di studio, 9.197 hanno finito solo la scuola elementare. I laureati sono 595.

Ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, da questa fotografia traspare che il carcere è la discarica sociale per antonomasia. Eppure tanti dal carcere e dai detenuti s’ingrassano. E’ il caso, già denunciato nel passato, della Cassa delle Ammende cioè quell’istituto dove affluiscono le ammende pagati dai condannati in giudizio. Ebbene questi soldi dovrebbero servire per il reinserimento dei detenuti. Non sempre, però. Qualche volta prendono altre vie. In questo caso la via siciliana. Cinque milioni di euro sono andati all’Agenzia nazionale reinserimento al lavoro, voluta dal ministro Alfano e promossa dalla “Fondazione Monsignor Di Vincenzo” di Enna e data in gestione al “Movimento del Rinnovamento dello Spirito Santo” che – come sottolinea Antigone – è un movimento sconosciuto e che ha inserito solo 12 detenuti. C’è poi il progetto “Luce e libertà” proposto dall’Usl 5 di Messina che ha preso ben 4 milioni di euro. Per fare cosa?

Comunque sia, lo Spirito Santo e la Luce e la Libertà ringraziano di cuore Angelino Alfano, casualmente siciliano.


Adriano Todaro

:.: Città invisibili

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