Transumanze cinesi

martedì 5 gennaio 2010, di Piero Buscemi

Villa Rosa, Martinsicuro, Alba Adriatica, Giulianova. Una riviera adriatica che con il turismo prova da anni a sentirsi Riviera Romagnola.

La riviera romagnola finisce in Abruzzo. Dopo, un pezzetto di Molise annuncia l’approssimarsi della Puglia. E’ sempre Adriatico, ma gli uliveti invadono il paesaggio e si percepisce un non remoto barocco, che apre le porte all’Oriente.

L’Abruzzo è sempre stata una regione a metà. Né Nord, né Sud. E forse, neanche Centro. Il recente terremoto lo ha dimostrato. Nei decenni, ha provato a crearsi una nuova immagine, provando ad identificarsi con i paradisi turistici delle regioni confinanti, più a nord. In un certo senso, ci è anche riuscita.

I pastori hanno lasciato i versi dannunziani per colonizzare il mare. Qualche decennio fa era tutta sterpaglia, che nascondeva il mare, confondendosi con il suo colore ovattato. Mai del tutto azzurro. Sono scesi sul litorale, perché la campagna era già vittima di quel boom economico, votato all’industrializzazione.

Ma che l’Abruzzo potesse rappresentare una logica continuazione della riviera romagnola, lo avevano capito in molti. E non solo gli abruzzesi. Qui è d’opinione comune che anche i clan della criminalità organizzata delle regioni vicine avessero annusato l’affare da tempo. Poco più di due ore di macchina e sei già in Campania.

Le autorità locali parlano di una lenta invasione delle cosche in questi territori. Un’invasione cominciata ancora prima delle avvisaglie lanciate dal procuratore Piero Grasso, già un mese dopo il terremoto, sulla reale possibilità di infiltrazioni della camorra e della mafia nei progetti di ricostruzione.

Lo scorso gennaio, tre mesi prima del terremoto, i Ros avevano condotto un’ampia operazione atta a frenare il dilagante commercio di stupefacenti provenienti da Spagna e Olanda, gestito dalle cosche campane, siciliane e pugliesi. Le indagini portarono gli inquirenti ad inoltrarsi in territorio abruzzese e durante questa operazione, furono coinvolti alcuni pregiudicati residenti tra Pescara, Teramo e Sulmona.

Le autorità locali ci hanno confermato che l’Abruzzo si presta favorevolmente al riciclaggio di denaro sporco da parte della malavita organizzata. Lo spaccio e consumo di droghe fa concorrenza a lidi più rinomati. E non solo turistici.

La presenza di ville faraoniche che, ignorando le più semplici regole di abusivismo edilizio, sono state costruite direttamente sulla spiaggia, lascia notevoli dubbi sulla trasparenza delle concessioni edilizie.

Ma sui litorali d’Abruzzo non si vive di solo turismo. Una fonte, più o meno regolare, di sfruttamento economico del territorio è dato dagli opifici tessili che utilizzano la pelle per confezionare borse di moda.

Fino a qualche decennio fa, nella zona erano presenti un centinaio di piccole fabbriche che dedicandosi alla lavorazione delle pelli, davano lavoro a molti operai della zona che, nel periodo di magra turistica che va dall’inizio dell’autunno fino alla riapertura primaverile delle strutture ricettive, riuscivano a completare l’anno lavorativo.

Oggi, di queste fabbriche, se ne contano una cinquantina. Non operano tutto l’anno perché la crisi ha colpito anche questo settore. Quella che non è mutata è la gestione di questo campo dell’artigianato.

I titolari assumono decine di operai che svolgono solo il compito di tagliare le pelli, utilizzando modelli preconfezionati. Il prodotto semilavorato viene affidato a ditte parallele, gestite dai cinesi che, mettendo a disposizione la loro maestria ed instancabile operosità, cuciono i ritagli di pelle per riconsegnarli assemblati e pronti alla vendita.

Il prodotto finito viene completato in fabbrica con l’apposizione del marchio della ditta che lo metterà in commercio. Sono sempre ditte del Nord Italia che esportano all’estero, prevalentemente in Russia ed altri paesi dell’est europeo.

All’apparenza un’ottima espressione di economia multietnica. Nella realtà, gli acquirenti non pagano mai in contanti. Le commesse vengono saldate anche dopo sei mesi dalla consegna. S’innesca un circolo vizioso al massacro. La società distributrice milanese non pagherà la fabbrica abruzzese, se non dopo aver incassato il dovuto dai compratori europei. I titolari degli opifici locali sospendono per diversi mesi all’anno l’attività, denunciando la loro crisi nel far fronte alle legittime richieste dei fornitori.

Chi paga lo scotto di queste rigide leggi di mercato, ovviamente, sono i lavoratori. Costretti a rinunciare alla paga per diversi mesi, si ritrovano schiacciati da una legittima esigenza di sopravvivenza e l’indecisione se rivolgersi ai sindacati per imbastire una vertenza nei confronti del datore di lavoro, per rivendicare i propri diritti.

La sentenza 269 del 2002 della Corte Costituzionale concede il diritto al lavoratore, che si dimette per mancato pagamento della retribuzione e che manifesta la sua volontà a difendersi in giudizio, della disoccupazione ordinaria, a condizione del possesso dei requisiti previsti per legge.

La scelta di questi operai è molto combattuta perché, se da un lato hanno la facoltà di poter recuperare parte dei compensi con gli ammortizzatori sociali, per una durata di 8 mesi se hanno meno di 50 anni, e di 12 se li hanno già compiuti, l’obbligo di costituirsi in giudizio comporta la sicura frattura definitiva del loro rapporto di lavoro nella zona. Chi assumerebbe nel futuro un lavoratore che ha citato in giudizio un padrone?

L’alternativa è aspettare i tempi tecnici del datore di lavoro e sperare nel recupero delle mensilità precedenti. Nel frattempo, come molti di loro ammettono, si rivolgono al lavoro nero per sbarcare il lunario, aggiungendo altra illegalità a questa assurda situazione.

Su questo argomento, i cinesi, sembra, abbiano meno pazienza degli operai italiani. Non sono rare le occasioni di esplicite minacce nei confronti dei titolari delle ditte che difficilmente hanno la possibilità di rispettare i tempi di pagamento, non così veloci come la consegna del prodotto finito da parte della manovalanza cinese.


Piero Buscemi

:.: Città invisibili

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