Giuseppe Gatì e Peppino Basile: due uomini così distanti, due vite così vicine

mercoledì 16 settembre 2009, di giovanni d’agata

Questa considerazione, al di là delle grandi differenze, mi fa accomunare GIUSEPPE GATI’ a PEPPINO BASILE, e me li fa immaginare insieme, fianco a fianco, che anche nell’al di là continuano la loro battaglia per la giustizia.

Non ho mai conosciuto Giuseppe Gatì. Ho sentito parlare di lui sul web, dopo che un assurdo ed incredibile incidente aveva spento la sua giovane vita, aveva definitivamente messo a tacere la sua voce, che con tanta forza aveva tuonato contro la corruzione, contro il malaffare, contro la mafia.

Era uno studente siciliano che si dichiarava "nato ad Agrigento, residente a Campobello di Licata e cittadino libero", che aveva denominato il suo blog “La mia terra la difendo” e che da esso mandava segnali di incoraggiamento ai giovani siciliani, invitandoli a non abbassare mai la testa, ma a combattere, a non lasciare la loro terra alla ricerca di lavoro, ma a restare per cambiarla, la loro terra.

Era diventato famoso, Giuseppe Gatì, per un gesto eclatante, ripreso da tutte le televisioni: aveva pubblicamente contestato Vittorio Sgarbi, chissà come paracadutato a sindaco di Salemi, nel corso di una cerimonia ufficiale, ricordando a tutti che Sgarbi era un pregiudicato ed inneggiando a Caselli ed al Pool Antimafia.

Aveva pagato, per questo gesto: lo avevano spintonato e trascinato fuori, trattenendolo per “accertamenti”, come se ci fosse il rischio che si trattasse di un pericoloso sovversivo o di una spia di Bin Laden. Appena un mese dopo, l’incidente che poneva fine alla sua giovane vita e ci impediva di sapere come avrebbe portato avanti le sue battaglie per la legalità ed a difesa della sua terra.

Scrivo incidente così, in corsivo, perché sono intimamente convinto che la morte di Giuseppe non sia stata frutto di una tragica coincidenza, di uno scherzo del destino, ma sia stata una conseguenza del suo impegno, del suo coraggio, della sua incoscienza nel contrapporsi in maniera netta alle collusioni, al malaffare. Non voglio, però, alimentare polemiche sul caso: non sarebbe giusto, in primo luogo, proprio nei confronti di Giuseppe.

Resta il fatto, questo tragico fatto sul quale ci auguriamo sia fatta quanto prima chiarezza, e resta il coraggioso messaggio di incoraggiamento, la testimonianza di Giuseppe Gatì, giovane siciliano che non aveva paura di dire chiaramente quello che pensava, anche se, facendo così, poteva scontentare i potenti ed andare incontro a guai.

Peppino Basile, invece, lo conoscevo bene. A differenza di Gatì, Peppino non era giovane, era un uomo di mezza età le cui forze erano state intaccate da una vita difficile, piena di ostacoli ma sempre affrontata a testa alta, con fierezza e con entusiasmo, come se l’età, gli acciacchi, le preoccupazioni, i problemi non contassero nulla.

A differenza di Giuseppe, Peppino non aveva studiato, aveva iniziato a lavorare giovanissimo sui cantieri, un lavoro duro che spezza la schiena e non lascia il tempo ad occupazioni più nobili, quali l’arte e la letteratura. Ma Peppino non viveva la sua condizione come un handicap: la sua forza, la sua fierezza erano tali da non impedirgli di prendere la parola in pubblico, anche in consessi “elevati”, dicendo chiaro e forte, al di là della forma italiana, quello che pensava.

Di questo suo limite culturale, aveva fatto la sua bandiera ed il suo segno distintivo: era un figlio del popolo, comunicava come comunica il popolo ed esponeva i problemi e i drammi che il popolo vive quotidianamente.

Ma soprattutto, con la sua voce stentorea ed i suoi modi enfatici, Peppino non aveva paura di dire pubblicamente quello che pensava, sia che si trovasse nella piazza della sua Ugento sia che si trovasse nel Consiglio comunale di quella città, di cui faceva parte, sia che si trovasse in Consiglio Provinciale o in altra sede, informale od istituzionale.

E proprio questo coraggio, questa caratteristica di dire sempre e comunque quello che si pensa, mi ha fatto accomunare la figura di Basile a quella di Gatì, per tanti versi così lontane tra loro; me li ha fatti accomunare l’amore per la propria terra, che li ha portati a battersi contro le ingiustizie e per la legalità, contro il malaffare, nella consapevolezza che il rispetto della legge non poteva che migliorarla, quella terra, e che non vi erano scorciatoie, ma l’unica via da percorrere era la via più dritta, quella che comporta il rispetto delle regole e dei diritti di tutti.

Anche Peppino è morto all’improvviso e tragicamente: in una calda notte di giugno di un anno fa una mano purtroppo ancora anonima ha messo fine alla sua vita colpendolo con un numero incredibile di coltellate. Anche sulla sua fine si possono fare (e si sono fatte) mille illazioni, tanto più che ancora oggi, dopo oltre un anno dal fatto, il colpevole della sua morte non ha ancora un volto ed un nome.

Intimamente credo che la morte di Basile sia strettamente connessa con il suo impegno, con la sua spavalda partecipazione alla vita pubblica del suo paese, con la sua spudoratezza nel denunciare qualsiasi imbroglio venisse alla sua conoscenza. Ma questo, come per Giuseppe Gatì, non è il luogo né il tempo per seguire queste polemiche: lasciamo alla magistratura il compito di fare chiarezza, non senza sottolineare, però, come la tragica morte abbia rinvigorito il suo messaggio politico, che continua a vivere dopo di lui e chiama i cittadini onesti e vogliosi di giustizia a raccogliere il testimone di una attività improntata principalmente alla difesa dei diritti dei più deboli.

Come per Gatì, non è tanto importante sapere se la mano assassina fu mossa da interessi personali, da invidia, gelosia, ovvero da interessi politici, quanto è importante ricordare che Basile, un uomo del popolo che lottava per difendere la sua terra, non c’è più, ma resta il suo messaggio, la sua testimonianza di vita dedicata agli interessi degli altri.

Questa considerazione, al di là delle grandi differenze, mi fa accomunare GIUSEPPE GATI’ a PEPPINO BASILE, e me li fa immaginare insieme, fianco a fianco, che anche nell’al di là continuano la loro battaglia per la giustizia.

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