Viaggio nell’isola dove il vento è cambiato

giovedì 14 ottobre 2004, di Antonio Vesco

Un articolo tratto da "Il Manifesto" di fine Giugno, appena terminate le elezioni europee. Rileggendolo sembra più attuale che mai.

Viaggio nell’isola dove il vento è cambiato. Ma forse è solo un’apparenza In Sicilia il cavaliere scende di sella. Ma chi ne gode?

Nonostante il risultato elettorale che ha punito Berlusconi, nella Palermo di sinistra regna ancora il pessimismo: quella che spinge è la vecchia Dc, senza dimenticare la mafia, che quando sta bene non ha bisogno di sparare...

VALENTINO PARLATO INVIATO A PALERMO

Palermo è sempre una città bellissima e carica di suggestioni; senti insieme la nostalgia e la presenza di Leonardo Sciascia. Ritrovi vecchi amici e compagni, ancora impegnati, ma amarissimi e pessimisti. Certo le ultime elezioni europee hanno segnato una sconfitta di Berlusconi, il cappotto del 61 su 61 (i seggi del parlamento regionale conquistati dalla destra nelle ultime amministrative) appartiene alla memoria del passato. Il vento è cambiato, mi dice uno scatenato Leoluca Orlando, pronto a rientrare nella lotta politica, dalla quale si era piuttosto allontanato, ma - aggiunge - ora bisogna costruire l’aquilone. Già, ma quale aquilone? e come lo si costruirà?

Anche sul vento cambiato, del resto, viene qualche dubbio. Ho l’impressione che per ora si tratti soprattutto di delusione e rabbia per le promesse che Berlusconi non ha mantenuto o non ha potuto mantenere. Nei quartieri popolari, salvo allo Zen, c’è stato un crollo del Cavaliere e degli uomini di Miccichè: lo slogan dominante nelle scritte sui muri era «Cornuti i patri, di chi vota Forza Italia». E così allo stadio di Palermo la grande scritta: «Non avete abolito il 41 bis». Viene il dubbio che se il Cavaliere fosse riuscito a realizzare tutto quel che di cattivo aveva promesso, sarebbe stato confermato; ma forse questo è un eccesso di pessimismo.

Rinascimento culturale in pezzi

Palermo è sempre una bella e grande città, ma il suo decantato rinascimento culturale sta andando in pezzi: la grande biblioteca continua a rimanere chiusa nonostante gli appelli di tanti intellettuali; i Cantieri culturali della Zisa sono praticamente in abbandono; resta solo l’Istituto Gramsci con la sua ricca biblioteca, e i compagni che ci lavorano mi dicono che ormai sono diventati i custodi della Zisa. Analogo discorso per i due grandi teatri, il Massimo e il Biondo, affidati a uomini di Totò Cuffaro.

Elvira Sellerio, che di Sciascia è forse la più diretta erede, è desolata. La incontro nei bei locali della sua casa editrice, un punto di forza della cultura siciliana, ma oggi è assolutamente pessimista: «Viviamo in una situazione nella quale la parola è diventata volgare. Qui c’era una cultura che è stata mortificata e annientata da questa modernizzazione siciliana fatta di subalternità e corruzione. Oramai questi libri, a volerli fare, si potrebbero fare anche lontano da Palermo».

Né slancio né ottimismo

Il dato di fatto, che qui a Palermo si impone, è che la sconfitta elettorale e politica di Forza Italia non ha prodotto slancio e ottimismo neanche in chi continuamente si batte contro il sistema Sicilia. Il vecchio e caro amico Nicola Cipolla, che con il suo Cepes continua a studiare la società siciliana e che è l’anima di progetti, anche un po’ avveniristici, sulle energie rinnovabili e sulle straordinarie possibilità di sviluppo compatibile della Sicilia, neppure lui mi pare particolarmente ottimista. Quando gli dico che tutto sommato da un po’ di tempo non ci sono più stragi di mafia, mi sorride e mi risponde: «Per forza: la mafia con Cuffaro sta in un letto di rose. E’ dappertutto dove si governa, dal palazzo della regione fino all’ultimo posto dove si decide dei lavoratori socialmente utili, forma estrema e nominalmente democratica del precariato. Qualcuno dice che c’è stato un cambio di strategia, da Riina a Provenzano, ma il fatto è che la mafia, se non è aggredita e messa in difficoltà, non ha bisogno di sparare. Dopo queste ultime elezioni è incerta tra l’Udc e la Margherita, ma forse pensa di servirsi di entrambi. Ricordati che Totò Cuffaro ha detto che come la crisi della Dc cominciò in Sicilia, così sempre in Sicilia si è avviata la sua rinascita».

Pessimismo alla Sciascia

Cipolla ha più di 80 anni e può capirsi, ma anche un giovane come Francesco Forgione in sostanza è sulla sua stessa lunghezza d’onda. Forgione è giovane, è da parecchi anni il combattivo capogruppo di Rifondazione comunista a Palazzo dei Normanni e non è affatto un parlamentare seduto. Tuttavia. Tuttavia le conclusioni del suo bel libro sulla Sicilia, dal titolo «Amici come prima», tornano al pessimismo di Sciascia e alla «irredimibilità» del Principe di Lampedusa.

Vado all’Uditore, il convento dei Redentoristi, a trovare un’altra antica conoscenza, padre Nino Fasullo, che da trent’anni dirige e pubblica la rivista mensile Segno. «Qui - mi dice - solo i giudici si sono battuti contro la mafia, e sono rimasti soli. Qui - continua - domina la cultura mafiosa; padre Puglisi, quello ammazzato dalla mafia, da molti era considerato il pazzo, se non lo scemo, del villaggio. Il siciliano, prosegue l’amico don Nino, è un credente senza religione, ma senza religione non c’è rivoluzione».

Forse don Nino, che cita anche la lettera di san Paolo ai Filippesi, ha una qualche ragione, ma a me viene da aggiungere che Napoleone quando scese in Italia con le bandiere della repubblica del 1789, in Sicilia non riuscì ad arrivarci. In Sicilia i baroni rimasero: e l’unità nazionale, con la gloriosa impresa di Garibaldi e dei Mille, ne rafforzò il potere e la cultura. Non bisogna neppure dimenticare Nino Bixio che spara sui contadini della Ducea di Bronte.

Certo ci sono la mafia e la sua cultura, ci sono il Gattopardo, la sicilitudine e quant’altro, ma al fondo di tutto (sarò un vecchio marxista) c’è la questione del lavoro. C’è la disoccupazione e la subordinazione di tutti coloro che per avere un lavoro debbono chiedere o fare un favore: c’è la mancanza della libertà sostanziale.

Nella sede regionale della Cgil, dove incontro i compagni Santo Inguaggiato e Carmelo Diliberto, non c’è sicilitudine e c’è invece più attenzione ai fatti. In Sicilia, il 26 di marzo di quest’anno c’è stato uno sciopero generale contro lo stato presente delle cose, sintetizzabile in poche cifre: 350.000 disoccupati, 400.000 lavoratori in nero, 30.000 precari (lavoratori socialmente utili) che sono quelli più esposti al ricatto di chi comanda, quasi una sottomerce.

Questa sacca di lavoratori (definiti nobilmente «socialmente utili») sono puro precariato, che può essere pagato (poco) o non pagato, oppure pagato ma senza i contributi previdenziali; è una massa «corvéable à merci», dipendente dal favore dell’assessore o del portaborse dell’assessore o di un qualsiasi funzionario della regione. Di questi precari, 3.500 lavorano presso gli uffici centrali o periferici della regione e ben 2.700 di essi presso l’assessorato al lavoro.

Il padrone è la regione

In questa situazione la regione è il padrone che assume o non assume, che dà lavoro e fa ampare quelli che vuole far campare.

Fino a qualche tempo fa, quando la regione era titolare di imprese, c’era una specie di sovietismo mafioso: la cosa non è cambiata con le privatizzazioni e si estende anzi con la progressiva privatizzazione dei servizi sanitari. Non si sa come, ma in Sicilia un signore, l’ing. Aiello, che faceva l’imprenditore edile, è diventato il padrone di una delle più avanzate cliniche italiane (fa concorrenza al San Raffaele di Milano) per la cura dei tumori. Qualcuno parla di Provenzano, l’attuale fantasmatico leader della mafia.

«Mamma Regione» è il titolo di un capitolo del libro di Francesco Forgione che comincia in questo modo: «Il triplo della Lombardia. Quattro volte di più di quelli dell’Emilia Romagna o della Toscana. In Sicilia i dipendenti della Regione sono un vero e proprio esercito: oltre 20.000». I circa 700.000 abitanti di Palermo vivono in larga parte di questa economia regionale.

Palermo è ancora pavesata di grandi striscioni rosa-neri (ma il rosa si è stinto) con una grande A: celebrano il ritorno del Palermo in serie A: «panem (poco) et circenses», la festa continua.


articolo tratto da il manifesto del 29/06/04


Antonio Vesco

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