Bologna: morale della favola

mercoledì 6 maggio 2009, di Franco Bifo Berardi

"Quando ho deciso di partecipare a questa campagna sapevo già tutto quello che oggi posso confermare con certezza: sapevo che la democrazia rappresentativa è un inganno, sapevo che il cinismo governa la comunicazione politica, sapevo che in questa gara vince chi ha più soldi. Non sono un ingenuo..."

E’ la prima volta in vita mia che partecipo a una campagna elettorale. Non lo avevo mai fatto, pur avendo iniziato a occuparmi di comunicazione politica in età molto precoce (all’età di sedici anni ero segretario degli studenti medi della federazione giovanile comunista, all’età di diciassette sono stato espulso da quel partito e all’età di diciotto, correndo l’anno 1968, partecipavo al movimento studentesco). Non ho mai partecipato alle elezioni nel ruolo di candidato né in altri ruoli, e spesso mi sono anche astenuto dal votare, perché credo che la democrazia rappresentativa sia un inganno, illusione di una libertà politica inesistente entro le condizioni dell’economia di profitto.

Questa volta ho deciso di presentarmi alle elezioni amministrative bolognesi nelle liste di Bologna città libera, e di sostenere Valerio Monteventi come candidato sindaco al Comune e Tiziano Loreti alla Provincia, pur non avendo assolutamente cambiato idea sulla democrazia rappresentativa. Anzi, proprio il fatto di partecipare in prima persona a questa esperienza mi conferma l’idea che la democrazia rappresentativa entro le condizioni economiche esistenti è un inganno ai danni dei lavoratori, i quali vengono indotti a credere di poter scegliere qualcosa del loro futuro, mentre le scelte fondamentali che governano la vita collettiva le compiono organismi economici e finanziari internazionali indifferenti alla decisione democratica, ad esempio la Banca Centrale Europea. Partecipare in prima persona a una campagna elettorale mi ha permesso inoltre di verificare una cosa che già sapevo: le condizioni in cui si svolge il dibattito e la competizione non sono assolutamente paritarie, e la gara è truccata in partenza. Il risultato elettorale è determinato dal volume della voce dei concorrenti, dalla quantità di danaro che essi possono investire nella comunicazione, e dal cinismo del loro messaggio.

Si guardi la campagna elettorale bolognese. I rappresentanti degli interessi economici dominanti sparano il loro messaggio a tutto volume insozzando con le loro facce il nostro spazio visivo. Le parole degli impostori sono evidentemente vuote di significato. Quanto meno significato tanto più facile la circolazione del messaggio. I candidati potenti sembrano convinti di aver a che fare con un pubblico di idioti (e forse è proprio così, ma lo vedremo soltanto il 6 giugno). Raccontano barzellette: Amore e competenza dice l’uno c’è Delbono a Bologna dice l’altro, il sindaco del fare aggiunge il terzo. L’esperienza dimostra che chi tratta gli elettori come imbecilli generalmente vince. Perché gli elettori sono nutriti con il veleno televisivo e pubblicitario.

Quando ho deciso di partecipare a questa campagna sapevo già tutto quello che oggi posso confermare con certezza: sapevo che la democrazia rappresentativa è un inganno, sapevo che il cinismo governa la comunicazione politica, sapevo che in questa gara vince chi ha più soldi. Non sono un ingenuo, ho sessant’anni e ho letto qualche libro. Dunque, si potrà chiedermi perché lo hai fatto? Perché hai deciso di partecipare a una gara truccata che sai esser truccata? Ecco qui la risposta. Tre considerazioni mi hanno indotto a partecipare a questa gara truccata.

La prima è Cofferati. L’indegnità umana e politica di questo individuo mi hanno a tal punto turbato che sarei stato disposto a qualsiasi cosa pur di battermi contro di lui e contro chi l’ha sostenuto. La seconda è la catastrofe economica che si sta preparando nell’indifferenza ignorante del ceto politico italiano: questo mi ha indotto a credere che qualcosa di gigantesco si prepara nelle viscere della società mondiale e che occorre avviare la creazione di zone di resistenza umana per far fronte alla barbarie che si diffonde e che dilagherà.

La terza è Bologna. Mi sono detto (vedremo a giugno se mi sono sbagliato): Bologna è la città da cui può partire la riscossa dell’intelligenza contro l’ignoranza, dell’etica e della bellezza contro il cinismo. Se c’è un luogo in cui il voto d’opinione dovrebbe esprimersi con intelligenza e con indipendenza di giudizio, se c’è un luogo in cui la colonizzazione televisiva della mente non dovrebbe produrre effetti definitivi, quella città è Bologna, per ragioni che riguardano la sua storia, la sua composizione sociale e culturale, e perfino il suo sentimento di sé. Perciò ho deciso di partecipare.

Nel corso di questa campagna elettorale Bologna città libera ha parlato di lavoro e di salario, di laicità e di testamento biologico, di prospettive geopolitiche internazionali e di violenza sulle donne, di graffitismo e di sanità. La pagina cittadina de La Repubblica non se n’è accorta. Ha sparato a tutta pagina sondaggi falsificati (come io posso testimoniare per esperienza diretta), ha attribuito ad altri le iniziative di BCL e così via. Poi BCL ha deciso di compiere un’azione cinica, di quelle che si compiono abitualmente quando si fa politica. Abbiamo reso pubblica una denuncia anonima. Abbiamo detto che un candidato il cui nome comincia per C e finisce per A è un evasore fiscale perseguito e patteggiato per questo. Abbiamo fatto una cosa che non mi piace. Ma debbo chiedere ai direttori dei giornali cittadini: perché non avete mai detto che il signor Cazzola è un evasore fiscale?

E’ sorprendente come i giornali normalmente silenti si accendano solo quando c’è un po’ di liquame, mentre nulla gli importa di progetti e programmi sociali.

I miei amici a cui voglio bene mi telefonano per dirmi che schifo non dovevamo farlo, lo stile è la sostanza del nostro essere, non possiamo accettare di diventare come quelli là.

E’ vero, abbiamo fatto una cosa brutta. Però debbo dire che la gente mi ferma per strada e mi dice: cazzo, avete fatto bene. Io so che questa mossa è un po’ cinica (un cinismo,sia ben chiaro, mille volte inferiore a quello di chi lorda i giornali i cartelloni e le tivu). Ma credo che ci farà guadagnare un bel gruzzoletto di voti. Prima di tutto perché quello che abbiamo detto è vero, e qualcuno doveva pur dirlo, anche se il metodo usato per dirlo non mi piace. In secondo luogo perché per la prima volta La Repubblica ha dovuto citare Bologna città libera. Per insultarla, d’accordo, ma è meglio che niente, e dal punto di vista elettorale è una gran pubblicità. Il pubblico che legge La Repubblica infatti si divide in due: ci sono quelli che tengono famiglia e hanno già deciso di votare per il PD o per Cazzola, e quelli mi importano poco.

Poi ci sono gli altri, quelli che leggono i giornali detestandoli e tendono a fare il contrario di ciò che la stampa gli consiglia di fare. Gli insulti della stampa ci ingrassano certamente più del silenzio. Morale della favola (amara): avevo ragione quando pensavo che la comunicazione politica funziona tanto più quanto più è immorale.


Franco Bifo Berardi

:.: Città invisibili

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