La morte di una città

mercoledì 18 agosto 2004, di Redazione

Un articolo di Arundhati Roy parla di una "città invisibile". Sono i villaggi che le Grandi Dighe in India hanno spazzato via in nome di una strana concezione della modernizzazione.

I villaggi muoiono di notte. In silenzio. Le città muoiono di giorno, urlando quando se ne vanno. Dall’indipendenza, le Grandi Dighe hanno fatto sgomberare, solo in India, più di 35 milioni di persone.

Cosa dire della nostra comprensione dell’identità nazionale se si permette ai governi di soffocare il proprio stesso popolo con tanta impunità? Cosa dire della nostra comprensione del "progresso" e dell’"interesse nazionale", se si permette (si plaude) alla violazione dei diritti delle persone in scala così ampia, che intacca la trama della vita quotidiana e diventa praticamente invisibile?

Ma di tanto in tanto accade qualcosa che rende visibile l’invisibile, comprensibile l’incomprensibile.

Harsud è questo qualcosa. È letteratura. Teatro. Storia.

Harsud è una città, fondata 700 anni fa nel Madhya Pradesh, destinata ad essere sommersa dal lago artificiale della diga Narmada Sagar (talvolta denominata Indira Sagar). La stessa Harsud, dove nel 1989 30.000 attivisti provenienti da tutta l’India, circondarono in un girotondo mano nella mano la città e giurarono solennemente alla collettività di resistere alla distruzione mascherata da "sviluppo". Quindici anni dopo, mentre Harsud aspetta di annegare, quel sogno resiste ancorato a fragili ormeggi.

La Narmada Sagar. Alta 92 metri (262 metri sul livello del mare, che è il livello sulla cui base si misurano le altezze delle dighe) è, per altezza, la seconda delle molte grandi dighe sul Narmada. La più alta è Sardar Samovar nel Gujarat. Si prevede che il lago artificiale del Narmada Sagar sarà il più grande dell’India. Per irrigare 123.000 ettari di terra, ne sommergeranno 91.000! Questi comprendono 41.000 ettari di foreste, 249 villaggi e la città di Harsud. Secondo il progetto dettagliato, 30.000 ettari della terra, che sarà irrigata dalla Narmada Sagar, erano già irrigati nel 1982.

Non si direbbe che è una matematica un po’ stramba? Coloro che hanno studiato il progetto della Narmada Sagar -Ashish Kothari of Kalpvriksh, Claude Alvarez and Ramesh Billorey- ci hammo avvertiti da anni che, fra tutte le alte dighe sul Narmada, la Narmada Sagar sarebbe stata la più distruttiva. L’Istituto Indiano della Scienza di Bangalore ha calcolato che più del 40% dell’insieme delle aree irrigate dalla Omkareshwar e dalla Narmada Sagar potrebbero venire sommerse. In una nota preparata nel 1993 per il comitato di controllo, il ministro dell’Ambiente e delle Foreste stimava a 339,23 miliardi di rupie il valore delle terre che sarebbero state sommerse. Proseguiva, dicendo che, se questo costo fosse stato compreso nei costi generali, avrebbe reso il progetto irrealizzabile. Il Wildlife Institute of India, di Daharadun, metteva in guardia dalla perdita di un gran bacino di biodiversità, di fauna e flora selvatica e di rare piante medicinali. Nel 1994, il suo rapporto al ministero dell’ambiente sulla stima dell’impatto diceva: "L’indennizzo degli effetti negativi combinati dei progetti Narmada Sagar e Omkareshwar non è possibile né consigliabile. Questi dovranno essere calcolati come il prezzo per il vantaggio socio-economico percepibile".

Come sempre, tutti gli avvertimenti sono stati ignorati.

La costruzione della diga iniziò nel 1985. Per pochi anni, all’inizio, andò avanti lentamente. Si scontrava contro la preoccupazione finanziaria e l’acquisizione della terra. Nel 1999, dopo uno sciopero della fame degli attivisti del Narmada Bachao Andolan, i lavori furono completamente sospesi.

Il 16 maggio 2000, a sostegno della spinta del governo centrale a privatizzare il settore energetico e ad aprire alla finanza globale, il governo del Madhya Pradesh firmò un Mo U (un "Memorandum of Understanding", cioè un compromesso contrattuale) con il governo indiano per "affermare l’impegno delle due parti a riformare il settore energetico nel Madhya Pradesh". Le "riforme" riguardavano la "razionalizzazione" delle tariffe energetiche e il taglio dei sussidi incrociati, che avrebbero provocato (e provocarono) inevitabilmente una tensione politica.

Lo stesso Mo U prometteva il sostegno del governo centrale per le dighe Narmada Sagar e Omkareshwar, avviando una joint venture con la National Hydro-Electric Power Corporation (NHPC). Questo contratto fu firmato lo stesso giorno, il 16 maggio 2000. Entrambi gli accordi porteranno inevitabilmente all’impoverimento e alla spogliazione del popolo dello stato. La NHPC vanta che la Narmada Sagar alla fine provvederà alle "necessità energetiche" dello stato. Questa non è un’affermazione, che regge a un esame accurato.

La capacità installata della Narmada Sagar è di 1.000 MW. Vuol dire che si deve intendere che il generatore, che vi è stato installato, è in grado di produrre 1.000 MW di elettricità.

Quanto viene prodotto -di potenza sicura- dipende dai flussi effettivi di acqua disponibile. (Una lussuosa Ferrari può arrivare a fare 300 km l’ora. Ma cosa farebbe senza carburante?) Il progetto dettagliato colloca la potenza sicura effettiva a 212 MW, che scenderà a 147 MW, quando i canali d’irrigazione diventeranno operativi.

Secondo la stessa pubblicità della NHPC, il costo dell’energia alla produzione è di 4,59 rupie per unità. Il che significa che, al consumo, costerà circa 9 rupie. Chi se lo può permettere? È persino più alto del costo dell’energia della Enron a Dabhol!

Quando/se il progetto sarà completamente realizzato, la NHPC dice che produrrà annualmente in media 1.950 milioni di unità di potenza. Per semplificare la discussione, accettiamo questa cifra. Il Madhya Pradesh oggi perde il 44,2% della sua elettricità - 12.000 milioni di unità all’anno- in perdite di trasmissione e di distribuzione. Questo è l’equivalente di SEI Narnada Sagar. Se il governo del Madhya Pradesh fosse in grado di lavorare per risparmiare appena la metà delle sue perdite di trasmissione e di distribuzione, potrebbe produrre energia, pari a tre progetti Narmada Sagar, a un terzo del costo, senza nessuna devastazione sociale ed ecologica.

Ma, al contrario, avremo ancora una volta una Grande Diga con vantaggi discutibili e con costi indiscutibilmente crudeli e impossibili.

Dopo che il Mo U per la Narmada Sagar è stato sottoscritto, la NHPC si è messa al lavoro con la solita insensibilità.

Il muro della diga è cominciato a crescere ad un passo allarmante. Alla conferenza stampa del 9 marzo 2004 (dopo che il BJP ha vinto le elezioni per l’Assemblea e Uma Bharati è diventata primo ministro del Madhya Pradesh), Yogendra Prasad, presidente e amministratore delegato della NHPC, si è vantato che il progetto è in anticipo di 8-10 mesi. Ha detto che, a causa della gestione migliore, i costi del progetto sarebbero stati sostanzialmente più bassi. Alla richiesta di commentare le obiezioni sollevate dal Narmada Bachao Andolan (NBA) sulla ricollocazione. Ha detto che erano irrilevanti.

La "gestione migliore" ora viene fuori che è un eufemismo per frodare migliaia di poveri.

Yogendra Prasad, Digvijay Singh e Uma Barati sono dei criminali e in qualsiasi società, in cui il potere debba rispondere a qualcuno, si ritroverebbero in prigione. Il fatto che la NHPC sia un ente appartenente al governo centrale rende colpevole anche il governo dell’Unione (indiana). Hanno intenzionalmente violato i termini del loro Mo U, che li obbliga legalmente a conformarsi ai principi fissati dal lodo del Narmada Water Disputes Tribunal ( il Tribunale per le Dispute sull’Acqua di Narmada). Il lodo specifica che in nessun caso l’allagamento può precedere la ricollocazione. (Che è di per sé evidente, come dire che abusare di un bambino è un crimine). Sono venuti meno agli indirizzi politici per la ricollocazione del governo del Madhya Pradesh. Sono venuti meno ai vincoli ambientali e forestali. Hanno violato i termini di diverse convenzioni internazionali, che l’India ha sottoscritto: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la Convenzione Internazionale dei Diritti Civili, Economici e Politici e la Convenzione Internazionale dell’Organizzazione del Lavoro. La Corte Suprema sostiene che ogni trattato internazionale firmato dall’India diventa parte della nostra legislazione nazionale e municipale. Neanche una sola famiglia è stata ricollocata conformemente al lodo del Tribunale per le Dispute sull’Acqua del Narmada o alla politica di ricollocazione del governo del Madhya Pradesh.

Non c’è alcuna scusa, nessuna attenuante, per l’orrore cui hanno dato la stura.

La strada da Khandwa a Harsud è una strada a pedaggio. Una nuova, autostrada privata, ben asfaltata, disseminata dalle carcasse di camion, motociclette e automobili, i cui guidatori non erano evidentemente abituati a un tale lusso. Alla periferia di Harsud si passa fianco a fianco di catapecchie di latta ondulata. Tetti di latta, muri di latta, finestre di latta. Così brillanti da accecare all’esterno, quanto ciecamente buie all’interno. Un cartello dice ’Baad Raahat Kendra’ (Centro di soccorso per l’inondazione). È per lo più vuoto se si fa eccezione dei bulldozers, le jeeps, i funzionari governativi e di polizia, che se ne vanno in giro senza fretta, gonfi dell’indolente arroganza che viene dal potere. Il centro di soccorso per l’inondazione è stato costruito, dove solo poche settimane fa c’era il college statale. E poi, sotto il cielo pesante, tempestoso, Harsud…come una scena tratta da un romanzo di Marquez. Il primo a riceverci è stato un vecchio bufalo, cieco, gli occhi verdi con la cataratta. Ancor prima che entrassim o in città, abbiamo sentito l’annuncio ripetuto più volte dagli altoparlanti attaccati a un van Matador in giro per la città: "Per cortesia, legate il vostro bestiame e i vostri animali. Per cortesia non lasciateli vagare liberi. Il governo prenderà provvedimenti per trasportarli. " (Dove?). Partono persone senza posto dove andare. Hanno perso il loro bestiame sulle strade in rovina di Harsud. E il governo non vuole che il bestiame affoghi nelle sue mani. Dietro al bufalo cieco, controluce, le nude ossa di una città distrutta. Una città rivoltata, la sua privacy devastata, le sue interiora messe in mostra. Effetti personali, letti, armadi, vestiti, fotografie, batterie da cucina sono sparsi per strada. In parecchie case, parrocchetti in gabbia pendono da travi rotti. Un neonato fasciato col sari dondola dolcemente in una culla, addormentato di un sonno profondo sotto il vano di una porta che si apre in un muro ancora in piedi. Un varco che porta da nessuna parte verso nessuna parte. Cavi elettrici sotto tensione penzolano come pericolose radici aeree. Gli interni delle case sono messi volgarmente in mostra. È strano vedere come una città, bianca e senza colori al suo esterno, fosse palpitante al suo interno, i muri tutti un po’ turchese, smeraldo, lavanda, fucsia.

Appollaiati sulle ossature di calcestruzzo degli edifici distrutti, uomini, simili a uccelli incapaci di volare, lavorano col martello e con la sega, fumano, parlano. Se non si fosse saputo quello che stava accadendo, si sarebbe potuto perdonare il fatto di pensare che Harsud veniva costruita, non distrutta. Che era stata colpita da un terremoto e che i suoi cittadini la ricostruivano. Ma poi ci si accorge che i vecchi, grandi, alberi, il mahua, il neem, il peepul, il jamun, sono ancora in piedi. E all’esterno di ogni casa, nel caos, si vede l’ordine. Le cornici delle porte accatastate insieme. Le inferriate impilate da una parte. Le lamine di latta impilate da un’altra. Mattoni ancora chiazzati di intonaco colorato ammassati insieme in un mucchio. Lamine di stagno, insegne di negozi, appoggiate contro i lampioni. "Ambula Gioiellieri", "Salone di Bellezza", "Shantiniketan Dharamshala", "Qui Esami del Sangue e dell’Urina". Su più di una casa ci sono cartelli follemente ottimistici:"Questa casa è in vendita". Una casa su tre ha un numero di codice. Solo le persone non hanno numero di codice. Il vignettista locale mostra il suo lavoro dall’alto di una pila di pietre. Ogni vignetta è su come il governo ha truffato e raggirato il popolo. Un gruppo di spettatori discute in dettaglio dei loschi affari, che fioriscono in città: dalle offerte per i laminati di stagno alle capanne di lamiera, agli altoparlanti sul Matador, alle bustarelle che vengono richieste ai genitori per i certificati di trasferimento scolastico a una scuola inesistente in un inesistente sito di ricollocazione. I genitori sono fuori di sé per la rabbia e i bambini sono felicissimi, perché il loro edificio scolastico è stato buttato giù. Molti bambini perderanno un intero anno di scuola. I più poveri smetteranno di andare a scuola.

Gli abitanti di Harsud stanno radendo al suolo la sua città. Loro stessi. Giovanissimi e vecchissimi siedono su cumuli di mattoni rotti. Quelli sani sono freneticamente occupati. Fanno a pezzi le loro case, le loro vite, il loro passato, le loro storie. Portano via le rovine su camion, trattori e carri tirati da buoi. Harsud è agitata. Come una città della frontiera ai tempi della Corsa all’Oro. Il decesso di una città è un affare lucroso. Dalle città vicine è arrivata gente. Camion, trattori, commercianti di rottami di ferro, di legno e di plastica vecchia affollano le strade, abbassando i prezzi, mercanteggiando duramente al ribasso, sfruttando in maniera spietata i saldi della sofferenza. Sono venuti da Jhabua e dai villaggi intorno a Omkareshwar, rimossi dalle altre grandi dighe sul Narmada, la Sardar Samovar e la Omkareshwar.

Ad Harsud conviene assumere mano d’opera. Una squadra di demolizione rigorosamente malnutrita. E il circolo vizioso di un implacabile impoverimento si chiude su se stesso.

In mezzo alle macerie la vita va avanti. Le cose private ora sono pubbliche. La gente cucina, fa il bagno, chiacchiera e, sì, piange nelle sue case senza muri. Lo jalebis di un arancione iridescente e il pakoras color sabbia sono fritti in cucine circondate da mucchi di detriti. Il barbiere ha uno specchio rotto, appeso a un muro rotto: forse l’uomo che sta radendo ha un cuore rotto. L’uomo, che demolisce la moschea, cerca di salvare i vetri colorati. Due uomini cercano di rimuovere lo Shivling da un piccolo reliquiario senza romperlo. Nella demolizione non c’è un criterio. Nessuna precauzione per la sicurezza. Un martellare folle. Una casa crolla su tre manovali. Quando vengono tirati fuori, uno di loro è privo di conoscenza ed ha un’asticella d’acciaio piantata nella tempia. Ma sono solo degli adivasis. Non contano. Lo spettacolo deve andare avanti.

C’è un misterioso, fragile, stordimento di fronte al trambusto. Maschera la spietatezza del governo e la disperazione del popolo. Tutti sanno che qui vicino, nell’affluente Kalimachak, l’acqua è salita. Il ponte sulla strada per Badkeshawar è già sotto l’acqua.

Non ci sono stime precise di quanti villaggi saranno sommersi nel lago artificiale della Narmada Sagar, quando/se nella valle del Narmada arriverà il monsone. Il sito web dell’Autorità di Controllo del Narmada utilizza cifre che risalgono al censimento del 1981! Negli articoli dei giornali, i funzionari governativi valutano che sommergerà più di cento villaggi e la città di Harsud. Moltissime stime fanno intendere che quest’anno saranno cacciate dalle loro case 30.000 famiglie. Di queste, 5.600 famiglie (22.000 persone) sono di Harsud. Tenete conto che sono cifre del 1981.

Quando, nel 1989, il lago artificiale della prima diga del Narmada -la diga Bargi- si riempì, sommerse il triplo del territorio, che gli ingegneri del governo avevano previsto. Allora, si prevedeva che sarebbero stati sommersi 101 villaggi, ma col monsone del 1989, quando furono chiuse le saracinesche e il lago fu riempito, furono sommersi 162 villaggi, compresi alcuni siti scelti dal governo per la ricollocazione. Non ci fu alcuna ricollocazione. Decine di migliaia di persone caddero nell’indigenza e nella più nera povertà. Oggi, a quindici anni di distanza, non sono stati ancora costruiti i canali d’irrigazione, Così la diga Bargi irriga meno terra di quella che ha sommerso e solo il 6% della terra, che i suoi progettisti pretendevano che avrebbe irrigato. Tutti gli indicatori suggeriscono che Narmada Sagar potrebbe essere un disastro ancora più grande. Ai contadini, che di solito pregano per la pioggia, intrappolati come sono ora fra la siccità e l’alluvione, è cresciuta la paura del monsone. Stranamente, dopo la manifestazione del 1989, quando il movimento contro le dighe raggiunse il suo livello più alto, la città di Harsud non è diventata sede di lotte sempre più grosse. La gente ha optato per la politica convenzionale, istituzionale, e si è divisa aspramente fra il Congresso e il BJP. Come moltissimi, credevano che le dighe non erano di per sé un male, a condizione che la gente sfollata fosse ricollocata. Così non si sono opposti alla Diga, sperando che i loro mentori politici avrebbero provveduto affinché ricevessero il giusto indennizzo. I villaggi della zona da inondare hanno provato ad organizzare la resistenza, ma sono stati facilmente repressi in maniera brutale. Si sono appellati più volte al Narmada Bachao Andolan (NBA), che si trovava più a valle per lottare contro le dighe Sardar Samovar e Maheshwar, perché li aiutasse. Il NBA, assurdamente sovraccarico di lavoro e con risorse insufficienti, ha fatto degli interventi sporadici, ma non è stato capace di estendere la sua zona d’influenza fino alla Narmada Sagar.

Senza nessuna NBA con cui fare i conti, rafforzati dai giudizi ostili della Corte Suprema sulle dighe Saedar Samovar e Tehri, il governo del Madhya Pradesh e i suoi partner, la NHPC, hanno imperversato per la regione con una spietatezza, che susciterebbe l’indignazione persino di un cinico inveterato.

La bugia della ricollocazione è stata smontata una volta per tutte. I progettisti, che la diffondono, lo fanno per le più crudeli ed opportunistiche ragioni. Gli dà una copertura. Sembra ragionevole. In assenza di una resistenza organizzata i media del Madhya Pradesh hanno fatto un lavoro magnifico.

I giornalisti locali hanno caparbiamente descritto la nefandezza per quello che è. Gli editori hanno dato alla storia lo spazio che merita. Sahara Samay ha la il suo studio mobile parcheggiato ad Harsud. I giornali e i canali televisivi ogni giorno riferiscono storie orrende. Un pubblico normalmente anestetizzato e imperturbabile, si è infiammato di rabbia. Ogni giorno, gruppi di persone arrivano, per vedere da sole cosa sta accadendo. E per esprimere la propria solidarietà. Il governo dello stato e la NHPC restano impassibili. Forse è stata presa una decisione per esacerbare la tragedia e attendono l’arrivo della tempesta una volta per tutte. Forse puntano sull’instabilità della memoria pubblica e sul bisogno di una svolta da parte dei media. Ma un crimine di questa proporzione non sarà dimenticato tanto facilmente. Se rimane impunito, non può che danneggiare l’immagine dell’India, come destinataria privilegiata dell’interesse della Finanza Internazionale: migliaia di persone, strappate dalle loro case senza nessun posto dove andare. E non si tratta di guerra. E’ politica.

Può essere veramente che 30.000 famiglie non abbiano un posto dove andare? Può essere che un’intera città non abbia un posto dove andare? Ministri e funzionari di governo assicurano alla stampa che vicino a Chhanera, a 12 chilometri di distanza, è stata costruita una città interamente nuova, Nuova Harsud. Il 12 luglio nella presentazione del bilancio, il ministro del bilancio del Madhya Pradesh, Shri Raghavji, ha annunciato: "La ricollocazione della città di Harsud, che si aspettava da anni, è stata completata in sei mesi".

Bugie.

Nuova Harsud non è null’altro che miglia dopo miglia di terra pietrosa ed arida, in mezzo a un posto che non c’è. Poche centinaia di famiglie poverissime di Harsud sono state trasferite là sotto teloni cerati e lamiere. (Gli altri si sono sistemati in balia dei parenti nelle città vicine o adoperano il loro magro indennizzo in un alloggio in affitto). A Nuova Harsud non c’è acqua, non c’è sistema fognario, non c’è nessun ricovero, nessuna scuola, nessun ospedale. Le piante della città sono state tracciate come le celle di una prigione, con strade fangose che si incrociano ad angolo retto. Prendono l’acqua da un’autocisterna. Talvolta no. Non ci sono gabinetti, lì vicino non c’è un albero o un cespuglio, per pisciarci e cagarci dietro. Quando si alza il vento, porta via con se le lamiere. Quando piove, gli scorpioni escono fuori dalla terra bagnata. E, cosa più importante di tutte, a Nuova Harsud non c’è lavoro. Nessun mezzo per ricavare di che vivere.

La gente non può lasciare, quanto possiede, all’aperto e andar via in cerca di lavoro. Così il poco denaro, che gli è stato pagato, diminuisce. Naturalmente, l’indennizzo in contanti viene dato solamente al capo famiglia, cioè agli uomini. Che farsa per le migliaia di donne, che sono duramente colpite dalla violenza dello spostamento.

A Chhanera, i negozi di liquori fanno affari in fretta.

Quando verrà meno l’attenzioni dei media, verranno meno anche le autocisterne dell’acqua. La gente sarà lasciata in un deserto di pietre senza nessuna possibilità, se non di fuggire. Nuovamente.

Questo è quello, che vien fatto alla gente di una città.

Non c’è bisogno di essere uno scienziato missilistico, per immaginarsi cosa succede ai villaggi.

In circostanze come queste come fa un governo a costringere le persone a non muoversi, ma ad umiliare se stesse, facendo a pezzi le proprie esistenze? Con le proprie mani? Ad Harsud finora, non c’è stata nessuna intimidazione, nessuno sparo da parte della polizia, nessuna coercizione. Solo una fredda, brillante, strategia.

Gli abitanti di Harsud sapevano da anni che la loro città era nella zona di inondazione della diga Narmada Sagar. Come a tutti gli "sfollati" di tutte le dighe, gli era stato promesso l’indennizzo e la ricollocazione. Non c’è alcun segno di nessuna delle due cose. Ed ora, mentre le esistenze delle persone vengono devastate, Uma Barati e Digvijay Singh si accusano l’un l’altro di negligenza criminale. Diamo un’occhiata ad alcuni fatti fondamentali.

Nel settembre del 2003, poco prima delle elezioni dell’assemblea, il governo di Digvijay Singh ha garantito alla NHPC il permesso di alzare la diga fino a 245 metri. Alle 10 del mattino del 18 novembre 2003, il tubo di scolo fu chiuso e l’acqua ha cominciato a essere raccolta nel bacino. A valle, il fiume si è seccato, il pesce è morto e per giorni l’alveo è rimasto a secco. A metà dicembre, quando Uma Bharati ha assunto la carica di primo ministro, l’altezza della diga era già di 238 metri. Desiderosa di entrare a far parte del novero di quelli cui "si deve qualcosa" per la [costruzione della] Narmada Sagar, senza preoccuparsi di verificare come andava avanti la ricollocazione, ha permesso che l’altezza della diga fosse portata da 238 a 245 metri. Nel gennaio 2004 si è congratulata con la NHPC per le sue "realizzazioni". Nell’aprile 2004 la NHPC ha cominciato a installare alla sommità della diga le chiuse radiali, che porteranno la diga ad un’altezza complessiva di 262 metri. Quattro delle venti barriere sono a posto. La NHPC ha annunciato che il progetto sarà completato nel dicembre 2004.

La responsabilità di periziare la zona ai fini dell’indennizzo e della ricollocazione è stata trasferita alla NHPC. La responsabilità per l’acquisizione effettiva della terra e la ricollocazione rimane ancora nelle mani del governo. La NHPC detiene il 51% del capitale netto del progetto. Fra le due "parti interessate" c’è una gran fretta di finire il lavoro e di abbattere i costi. Uno dei maggiori capitoli di spesa è l’indennizzo. Il primo, mortale, gioco di prestigio riguarda la definizione di chi è considerato come Interessato dal Progetto. Quelli, che nei villaggi sono in maniera assoluta i più poveri, a questo punto vengono messi da parte. Essenzialmente quelli, che sono senza terra -i pescatori, i barcaioli, i cavatori di sabbia, i salariati a giornata e quelli che sono considerati "invasori", non vengono classificati come interessati al progetto e vengono eliminati. In alcuni casi interi villaggi sono caduti preda di questo processo. Ad esempio, nel 1982, il rapporto dettagliato sul progetto afferma 255 villaggi saranno sommersi dal lago artificiale. Per strada, sei di quei villaggi sono stati depennati e il numero è sceso a 249. L’Autorità di Controllo del Narmada ora sostiene che solo 211 villaggi hanno diritto all’indennizzo. Qualcosa come 38 villaggi sono stati definiti "invasori" e non hanno diritto all’indennizzo.

Il successivo colpo letale è, quando saranno definite le quote di indennizzo. I fortunati, che sono classificati effettivamente come interessati al progetto, hanno chiesto, del tutto ragionevolmente, di essere compensati per la loro terra, sulla base dei prezzi prevalenti della terra nei villaggi nell’area, che saranno irrigati dalla diga. Hanno avuto esattamente appena la metà: 40.000 rupie per un acro di terra non irrigata e 60.000 rupie per un acro di terra irrigata. Il prezzo di mercato per la terra irrigata è superiore alle 100.000 rupie per acro. Come risultato i contadini che avevano 10 acri di terra a mala pena ne lavoreranno cinque. I piccoli proprietari con un paio d’acri diventano lavoratori senza terra. I ricchi diventano poveri. I poveri diventano indigenti. Viene chiamata una Gestione Migliore. Peggio ancora. Patwaris e ispettori fiscali sono piombati su Harsud e i villaggi "notificati" come un virus sterminatore. Tengono nelle loro avide mani il futuro di migliaia di persone.

Ogni singola persona con cui abbiamo parlato, ogni contadino, ogni bracciante, ogni abitante di villaggio, ogni cittadino di Harsud, ricco o povero, uomo o donna, ha raccontato la stessa storia.

La tecnica, che hanno descritto, è tanto diabolica quanto è semplice. Essenzialmente patwaris e ispettori fiscali hanno sottostimato ogni cosa. La terra irrigata veniva registrata come non irrigata. Case "pucca" venivano descritte come case "kuccha". Una fattoria di cinque ettari diventava di quattro. E così via. Si faceva questo in maniera indiscriminata, nei confronti dei poveri, come nei confronti dei ricchi. La gente aveva la possibilità di contestare la stima di fronte a un tribunale civile (e di spendere in spese legali di più del compenso che sperava di ricevere). L’altra possibilità era di corrompere i patwaris e gli ispettori fiscali. I poveri semplicemente non avevano il denaro liquido per pagare la tariffa corrente: "Hum feelgood nahin kar paaye." Così sono finiti fuori del paniere. Quelli che riuscivano a fare in modo che i patwaris "feelgood" (si sentissero bene), sono riusciti a far classificare persino le stalle come abitazioni residenziali e a ottenere, per esse, un considerevole indennizzo (di centinaia di migliaia di rupie). Naturalmente, molto di questo faceva ritorno nelle tasche dei funzionari perché "feelgood" (si sentissero meglio) ancor di più.

Anche questo indennizzo promesso, iniquo e assurdo, non è stato interamente sborsato. Così nei villaggi ed a Harsud migliaia di persone rimangono avvinghiati alle loro case.

Il 14 maggio, Uma Barati ha annunciato un assegno di un minimo di 25.000 rupie (o del 10% dell’indennizzo assegnato fino a un massimo di mezzo milione di rupie) alle persone, che avessero distrutto la loro casa e fossero usciti dalla città entro il 30 giugno. La gente non si è ancora mossa.

L’8 giugno, due deputati del Sangharsh Morchia hanno inoltrato all’Alta Corte di Jabalpur una petizione, che richiede che l’acqua non sia immessa nel bacino, finché non sia stato pagato un indennizzo appropriato e non sia stata completata la ricollocazione. Sono stati allegati alla petizione documenti, accuratamente compilati, che dimostrano l’ampiezza dell’illecito atto criminale, che è stato commesso ad Harsud. Le speranze degli abitanti della città sono appuntate con uno spillo alla risposta della Corte. Alla prima udienza, gli avvocati del governo hanno avvertito il giudice che non c’è nulla che qualcuno possa fare, a proposito dell’innalzamento del livello dell’acqua, e che la situazione potrebbe diventare pericolosa. Si è avvisato il giudice che se la Corte fosse intervenuta, si sarebbe potuta trovare fra le mani un disastro.

Il governo sapeva che, se riusciva a stroncare Harsud, la disperazione e la rassegnazione si sarebbero diffuse nei villaggi. Stroncare Harsud una volta per tutte, assicurarsi che la gente non torni più indietro, neanche in mancanza del monsone e se la città non fosse completamente sommersa, significava distruggere fisicamente la città. Al fine di creare panico, hanno simulato un’inondazione, rilasciando acqua dal lago artificiale, più a monte, di Bargi. Il 23 giugno, l’acqua del Kalimachak è salita di un metro e mezzo. Tuttavia la gente non si è mossa. Il 27 giugno 300 poliziotti e forze paramilitari hanno messo in scena una parata nella città terrorizzata. Compagnie di polizia a cavallo, Forze di Azione Rapida , e corpi armati di poliziotti privati hanno sfilato lungo le vie della città.

Il 29 giugno, l’Alta Corte ha emanato un tiepido, cauto, ordine provvisorio. Ad Harsud il morale è venuto meno. Anche la scadenza del 30 è passata senza che accadesse nulla. Il mattino del 1° luglio, altoparlanti montate su automobili hanno attraversato in lungo e in largo la città annunciando che l’assegno di 25.000 rupie sarebbe stato dato solo a coloro, che avessero distrutto le loro case entro quella notte.

Harsud è stata stroncata.

Per tutta la notte la gente ha fatto a pezzi le proprie case con piedi di porco, martelli, spranghe di ferro…Al mattino sembrava di essere in un sobborgo della Baghdad di questi giorni.

Il panico si è esteso ai villaggi. Lontano dallo sguardo attento dei media, al posto dell’esca delle 25.000 rupie il governo ha risuscitato la buona vecchia repressione. Infatti, nei villaggi è da poco iniziata la repressione. Villaggio dopo villaggio - Amba Khaal, Bhawarli, Jetpur- la gente ci ha detto in maniera dettagliatamente precisa e straziante com’è stata truffata dai patwaris e dagli ispettori fiscali. Temendo quello, che si prepara per loro, molti avevano mandato i bambini e le loro scorte di grano ai parenti.

Famiglie, che hanno vissuto insieme per generazioni, non sapevano più quando mai più si sarebbero riviste. Un’intera, fragile economia aveva cominciato a disfarsi. Delle persone ci hanno raccontato come un drappello di poliziotti sia arrivato in un villaggio, avesse smontato le pompe a mano e tagliato i contatti elettrici. Quelli, che osavano resistere, sono stato picchiati. (Questa è la stessa tecnica, che il governo del Digvijay Singh ha utilizzato due anni fa nella zona di inondazione della diga Mann). In tutti i villaggi, che abbiamo visitato, le scuole erano state distrutte o erano occupate dalla polizia. Ad Amba Khaal, i bimbi seguivano le lezioni all’ombra di un albero di peepul, mentre la polizia stava nelle loro aule.

Come abbiamo proseguito il nostro viaggio all’interno, in direzione del lago, la strada è diventata peggiore e, talvolta, scompariva. A Malud c’era un’imbarcazione del Presidio della Polizia di Soccorso, che controllava una superficie rocciosa. Il poliziotto ha detto che aspettava l’Inondazione. Dopo Malud abbiamo attraversato villaggi fantasma, ridotti in rovine. Un ragazzo con due capre ci ha raccontato di 20 scimmie, che erano rimaste intrappolate in una macchia di alberi circondata dall’acqua. Abbiamo attraversato Gannaur, l’ultimo villaggio, dove un uomo da solo raccoglieva gli ultimi mattoni della sua casa su un trattore. Dopo Gannaur, la terra discende verso l’estremità del lago.

Appena siamo arrivati vicino all’acqua, ha cominciato a piovere. C’era silenzio,tranne i richiami allarmati delle pavoncelle impaurite. Nella mia immaginazione, l’uomo, che caricava lontano il suo trattore, era Noè, che costruiva la sua arca in attesa del diluvio. Il suono dell’acqua, che si frangeva contro la riva, era pieno di minaccia. La violenza di quello, che avevamo visto e udito, aveva privato le cose meravigliose della loro bellezza. Due libellule si accoppiavano in aria. Mi sono sorpresa a chiedermi se fosse uno stupro. C’era una linea di schiuma, che segnava il livello fino al quale l’acqua era salita, prima di ritirarsi, nel corso dell’inondazione del Bargi provocata dal governo. Su di essa c’era la scarpetta di un bimbo.

Al ritorno abbiamo preso un’altra strada.

Abbiamo percorso una strada di ghiaia rossa, costruita dal dipartimento forestale, e ci siamo addentrati nella foresta. Siamo arrivati ad un villaggio, che aveva l’aria di essere stato evacuato qualche anno fa. Le case distrutte erano state riprese dagli alberi e dai rettili. Una mandria di mucche selvatiche pascolava fra le rovine. Intorno non c’era nessuno, che ci dicesse il nome del villaggio: questo villaggio deve essere stato amato, in questo villaggio si è vissuto. Deve ancora essere amato e sognato da qualcuno. Appena abbiamo svoltato per andarcene, abbiamo visto venirci incontro un uomo. Il suo nome era Baalak Ram. Era un Banjara. Ci ha detto il nome del villaggio: Jamunia. Era stato sradicato due anni fa. La mia amica Chittaroopa, del NBA, a sentir questo, è rimasta visibilmente turbata. Ricordava i trattori carichi di persone di Jamunia, venuti a sostenere le manifestazioni del NBA contro la diga Maheshwar. E ora se ne erano andati. Scomparsi da soli, più terribile che esser fatti scomparire dalla diga. Balaak Ram era un bracciante , che era stato rimandato indietro dai proprietari terrieri Patels di Jamunia, per cercare e raccogliere le loro mucche. Ma le mucche non volevano muoversi. "Mi pagano, ma non è facile, il bestiame si è inselvatichito. Si rifiutano di venire. Qui hanno erba ed acqua, il fiume e la foresta vicino. Perché dovrebbero muoversi?" Ci ha raccontato come le mucche e i cani erano ritornati a Juminia da posti lontani. Sembrava felice, solo nella foresta con le mucche semi-selvatiche. Gli abbiamo chiesto se si sentiva mai solo. "Questo è il mio villaggio", ha detto; e subito dopo, "solo qualche volta…quando penso: dove sono andati tutti? sono tutti morti?" È arrivato un ragazzo minuto. Scuro. Rubicondo. Si è avvinghiato alle gambe di Baalak Ram. Stringeva un mazzo di meravigliosi fiori selvatici. Gli abbiamo chiesto per chi fossero. "Khabsurat the". Erano meravigliosi. Benché meravigliosi erano qualcosa, che era morta da poco. In un’assemblea ad Harsud, la gente disperata ha discusso la possibilità di intentare una causa per Pubblico Interesse (CPI) di fronte alla Corte Suprema. Istituzione con l’idea della Giustizia. Potere, sì. Strategia, forse. Ma Giustizia? Come in un flash davanti alla mia mente sono balzate le frasi della sentenza dei Giudici A.S. Anand e B.N. Kirpal sulla Sardar Samovar: "Non si dovrebbe consentire che una Causa per Pubblico Interesse degeneri in una Causa per Interesse Pubblicitario o una Causa di Indiscrezione Privata" "Benché questi villaggi comprendano una quantità significativa di popolazione indigena e di settori poveri, tuttavia la maggioranza non sarà vittima della ricollocazione. Al contrario, dal cambiamento ci guadagneranno". "La ricollocazione degli indigeni o di altre persone di per sé non sarebbe in violazione dei loro diritti fondamentali o di altro tipo".

Allora, ad essere destinate all’indigenza, erano le migliaia di sfollati della diga Sarvar Samovar.

Mi è venuto in mente come lo stesso Giudice B.N.Kirpal, il giorno prima di lasciare la carica di Giudice in capo dell’India, mentre era giudice giudicante in altra causa, del tutto non collegata, ordinò al Governo indiano il Progetto di Collegamento Fluviale! Nell’impegnativa, presentata in risposta, il governo centrale dichiarò che il progetto, per essere terminato, avrebbe richiesto 43 anni e sarebbe costato 56.000 miliardi di rupie. Il giudice Kirpal non stette a sottilizzare sul costo, richiese solo che il progetto fosse portato a termine in 10 anni. E così, un progetto di proporzioni staliniste, potenzialmente più distruttivo di tutte le dighe dell’India messe insieme, ha ricevuto il timbro di autorizzazione da parte della Corte Suprema. Il Giudice Kirpal, in seguito, chiarì che non si trattava di un ordinanza, ma di un "suggerimento". Come si può alterare irreversibilmente in maniera così arbitraria l’ecologia di un intero subcontinente? Chi ha la giurisdizione per farlo? Come può un paese, che si autodefinisce una democrazia, funzionare così? (Oggi il Giudice Kirpal presiede il consiglio Ambientale indiano della Hindustan Coca-Cola Beverage Pvt Ltd. Tempo fa, quest’anno, ha pubblicamente criticato l’ordinanza dell’Alta Corte del Kerala, che si è rifiutata di riconoscere la sospensiva di una direttiva del governo del Kerala, che impediva alla Coca Cola di estrarre acqua freatica a Plachimada. Contro di lui è stata intentato un processo per oltraggio alla corte.)

Così. La gente di Harsud dovrebbe far ricorso ai tribunali? Non è una domanda facile, cui rispondere. Che cosa dovrebbe chiedere? Cosa potrebbe sperare di ottenere?

La sezione in calcestruzzo della diga Narmada Sagar è alta 245 metri. Le chiuse radiali alla sua sommità alzano il muro della diga fino a un’altezza totale di 262 metri. 13 metri. Secondo le stesse cifre dell’Autorità di Controllo del Narmada, gran parte dell’inondazione avverrà fra i 245 e i 262 metri. Possiamo puntare a che i Tribunali valutino la possibilità di far aprire le barriere delle chiuse (come è stato fatto nel caso della diga Mann), tenendole aperte finché il processo di ricollocazione non è stato completato, in base agli accordi NWDTA? Possiamo puntare a che i Tribunali ordinino di riaprire il tunnel di sfogo, di modo che l’acqua, durante questo monsone, non riempia il bacino? Possiamo puntare a che i Tribunali chiamino a rispondere tutti i politici, i burocrati e i dirigenti della NHPC, che sono stati implicati nell’azione criminale? Possiamo puntare a che i tribunali ordinino la rimozione delle quattro chiuse esistenti (e l’arresto della creazione delle altre) finché tutte le famiglie sfollate non saranno state ricollocate? I tribunali prenderanno in esame queste possibilità o ci daranno ancora la stessa risposta? Una pseudo-bacchettata sulle nocche del governo per la ricollocazione fatta male ("Fido, cattivone! cane birichino") e un timbro di approvazione del progetto sul progetto, che viola i diritti fondamentali degli esseri umani? Cosa ci dovremmo aspettare? La sciarada di un giudice non ancora in pensione, che istituisce ancora un’altra Autorità per la Riparazione dei Torti, cui consegnare le sofferenze di ancora un altro centinaio di migliaia di persone.

Se le cose stanno così, la domanda che ci dobbiamo porre è: "Nella nostra meravigliosa democrazia, quale istituzione è responsabile di fronte al popolo e non di fronte al potere? Cosa si suppone che faccia il popolo? È padrone di se stesso ora? È caduto dalla padella nella brace?"

Abbiamo lasciato Harsud al crepuscolo. Sulla via del ritorno ci siamo fermati alla Baad Raahat Kendra. Intorno c’è poca gente, sebbene due famiglie si siano trasferite nelle baracche di lamiera. Una delle porte di lamiera aveva un cartellino adesivo con su scritto "Qualità Esportazione". È stato difficile riuscire a vedere l’uomo che sedeva sul pavimento al buio. Ci ha detto il suo nome, Kallu l’Autista. Sono felice di conoscerlo. Era seduto sul pavimento. Si era tolta la gamba di legno. Era stato un autista, 15 anni fa ha perso una gamba in un incidente. Ad Harsud abitava da solo. Per distruggere la sua capanna di fango gli è stato dato un assegno di 25.000 rupie. Sua figlia incinta è venuta dal villaggio del marito per aiutarlo a muoversi. È stato a Chhanera tre volte, per provare a riscuotere il suo assegno. Non aveva un soldo per il biglietto dell’autobus. La quarta volta c’è andato a piedi. La banca lo ha mandato via e gli ha chiesto di ritornare dopo tre giorni. Ci ha fatto vedere come la sua gamba di legno sia consumata e sbrecciata. Ci ha detto che ogni notte i funzionari lo minacciavano e cercavano di farlo andare a Nuova Harsud. Gli hanno detto che Baad Raahat Kendra era solo per le emergenze. Kallu era fuori di sé per la collera: "Cosa farò nel deserto?", disse, "Come vivrò? Non c’è nulla". Un folla di persone si è raccolta intorno alla porta. La sua rabbia alimentava la loro.

Kallu, l’Autista, non ha bisogno di leggere nuovi rapporti, le impegnative di tribunale o scaltri editoriali (o inaffidabili filosofi che pretendono di essere dalla parte dei movimenti popolari), per sapere da che parte sta. Ogni volta che qualcuno ha fatto menzione a esponenti del governo, a Digvijay Singh o a Uma Barati, lui imprecava. Non faceva distinzioni di genere.

Maaderchod. Diceva. Figli di puttana.

Ignora le obiezioni femministe ai riferimenti sprezzanti nei confronti dei corpi delle donne.

La Banca Mondiale, comunque, non è d’accordo con Kallu, l’Autista. Ha lodato la NHPC. Nel dicembre 2003, un gruppo di funzionari dirigenti della Banca Mondiale ha fatto visita al progetto della Narmada Sagar. Fra di loro c’erano gli esperti per l’Acqua e la Ricollocazione dell’Asia meridionale. Nel suo Disegno Strategico per l’Assistenza al Paese, la Banca ha detto: "Mentre per molti anni il business idroelettrico ha avuto una scarsa considerazione, qualche importante soggetto (compresa la NHPC) ha cominciato a migliorare le sue pratiche ambientali e sociali". È interessante notare che è la terza volta in sei mesi che la Banca ha espresso le sue lodi alla NHPC dal gennaio 2004. Perché? Basta leggere la frase successiva: "Dato che…la Banca collaborerà col governo dell’India e i suoi produttori d’energia per individuare nuove possibili aree di aiuto di modesta scala per lo sviluppo del settore idroelettrico". Poi, nuovamente, il 15 febbraio 2004, in un articolo, che elogiava la NHPC per il "completamento di progetti, come Narmada Sagar, nei limiti prefissati di tempo e di budget", l’"Economic Times" citava un funzionario della Banca Mondiale: "La NHPC sta progredendo in direzione di standards globali di performance aziendale e sta migliorando la sua performance finanziaria. Abbiamo dato all’azienda la debita attenzione e siamo impressionati dal risultato".

Cosa rende così premurosa la Banca Mondiale? Le Riforme dell’Energia e dell’Acqua nei paesi in via di sviluppo sono la versione del Grande Gioco del XXI secolo. Tutti i soliti sospetti, a cominciare naturalmente dalla Banca Mondiale, dalle grandi banche private e dalle multinazionali, vanno in giro alla ricerca di accordi vantaggiosi. Ma la privatizzazione manifesta sulla sua rotta ha incontrato cattivo tempo. È sta largamente screditata e cerca [nuove] maniere per incarnarsi in una nuova divinità.

Negli ultimi anni la reputazione delle Grandi Dighe (pubbliche o private che siano) è stata maltrattata malamente. La Banca Mondiale è stata umiliata pubblicamente e costretta a ritirarsi dal Progetto della Sardar Sarovar. Ma, ora, incoraggiata dalle sentenze della Corte Suprema sulle dighe Sardar Sarovar e Tehri, è nuovamente in gara e cerca una porta di servizio per entrare nell’industria. Chi è migliore copertura del più grande soggetto dell’industria idroelettrica indiana, la NHPC? La NHPC, che mira a molti altri progetti di dighe (fra questi quello della diga Maheshawar) e punta ad installare 32.000 MW di potenza nei prossimi 13 anni. Vale a dire l’equivalente di 32 Narmada Sagar.

Ma la Banca Mondiale non è affatto l’unico squalo in acqua. C’è una lista di banche internazionali, che hanno finanziato i progetti della NHPC: ABN Amro, ANZ, Barclays, Emirates, Natwest, Standard Chartered, Sumitomo. E l’aiuta tutta una lista di agenzie finanziarie e di credito bilaterale alle esportazioni: la COFACE France, la EDA & CIDA,canadese, la NEXI & JBIC, giapponese, l’ex ODA (ora DFID), britannica, e la SIDA & AKN, svedese.

Cosa importa fra amici abusare un po’ dei diritti umani? Siamo nel pieno del Grande Gioco.

Sull’autostrada per Khandwa, al ritorno, è buio. Sorpassiamo TIR che trasportano legname non marchiato, illegale. TIR che portano via la foresta. Trattori che portano via la città. La notte che porta via i sogni di centinaia di migliaia di persone.

Sono d’accordo con Kallu, l’Autista. Anche se ho qualche problema con i riferimenti sprezzanti ai corpi delle donne.


Documento originale The Road to Harsud

Traduzione di Giancarlo Giovine

Fonte: http://www.zmag.org/Italy/roy-harsud.htm


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