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Donne: Francesca Turlà


La storia avviene negli anni ottanta dei missili a Comiso e della mafia che raggiunge il ragusano, ma il racconto parte dalla nascita, a Modica nel 1934, della protagonista di questa "normale" vicenda siciliana, Francesca Garofalo, vedova Turlà.

Il padre di Francesca era proprietario di una piccola cava da cui si estraevano materiali per l'edilizia, alle sue dipendenze alcuni operai. Francesca a quattro anni comincia a frequentare il convento delle benedettine, poi le elementari a Sant'Anna. Il padre, spesso assente, è figura idolatrata. Dalle foto, dice Ongaro, vediamo un uomo "biondo, dal tratto fine, signorile, dal quale però traspare fermezza e decisione". (Figure di padri così sono sempre all'origine di figure di donne volitive e battagliere, la madre sarà invece quella che aiuterà materialmente Francesca fino ai suoi ultimi anni e agli ultimi sviluppi della vicenda). Voleva iscriversi al geometra ma poi si iscrisse alle Magistrali e non le finì a causa di "un professore col quale, al veglione di carnevale, si era rifiutata di ballare". Siamo nel 1951. Francesca non ha nessuna storia d'amore, pare. Aspetterà di avere 25 anni e di incontrare il direttore di banca Salvatore Turlà, di anni 55, per innamorarsi e poi sposarsi, il 31 ottobre 1960. La vicenda del matrimonio tra i due, per quanto possa apparire strana, è tipica di quell'ambiente della piccola borghesia siciliana legata alla terra dell'interno siciliano, di simili mia madre me ne raccontava diverse. E non so se le motivazioni riportate da Francesca e riferite dall'autore siano quelle vere. Il matrimonio avvenne alle due di notte e le foto furono scattate qualche settimana dopo per far contenti i suoceri, ma in assenza della figura del marito, che si vergognava della sua età e della sua obesità. I due fidanzati non erano mai usciti insieme. Ma lei lo amava così: "la sua età, la sua obesità, i suoi complessi". In realtà la storia di Francesca è simile a quella di molte altre donne dell'epoca, sposate non a chi volevano o incontravano, ma a chi i genitori ritenevano opportuno. Donne che sembrano, e forse sono, prive di sentimento, o precocemente soffocate nei sentimenti, dall'azione congiunta di genitori e suore, per non parlare di zii e nonni. Fatto sta che Salvatore, nel suo ruolo di marito-padre protegge Francesca, come allora i mariti proteggevano le loro donne: occupandosi interamente degli affari e del lavoro e delegando alla moglie solo ed esclusivamente l'educazione dei figli e la casa.

Nel 1962 nacque Elisa, e a distanza di un anno Bartolo. A metà giugno, ogni anno la famiglia partiva per il mare, prima a Pozzallo, poi a Sampieri. A fine agosto si passava alla campagna, soprattutto a partire dalla fine degli anni sessanta, quando Salvatore compra un azienda agricola in contrada Mortilla: trentuno ettari pianeggianti di uliveto attorno a una villa rustica. Francesca si innamora di questo posto perché la casa è la sua prima casa, quella che lei arreda e fa sua. E soprattutto quella che le ricorda l'infanzia, il monastero delle Benedettine, con le sue volte alte e i locali spaziosi. Il marito si occupava sia di Mortilla sia dell'altra azienda agricola, Gisira, più vicina a Modica, ereditata dai suoi. La famiglia Turlà è un altro capitolo interessante di questa storia. Se ne occupano anche gli storici Giuseppe Barone e Salvatore Lupo. Il primo in relazione alle proprietà e al territorio di Modica, il secondo in relazione al ruolo della famiglia, in particolare di un fratello di Salvatore, Giorgio, nella storia del fascismo.(in Atti del convegno storico sull'area degli Iblei fra le due guerre - Ragusa 13-14 marzo, Modica 15 Marzo 1986 a cura del centro studi F.Rossitto e dell'Istituto Gramsci siciliano, Ragusa 1987)

Bartolomeo Turlà, il padre di Salvatore, era "tipico esponente di quella borghesia agraria che, anche nel Sud, aveva visto nel fascismo lo strumento della propria affermazione". Ma ad aderire in maniera convinta fu il figlio Giorgio sul finire del 1923, al ritorno da Napoli dove aveva frequentato la facoltà di ingegneria. "Su insistenza del figlio anche il padre si era allora iscritto al partito, restando tuttavia piuttosto defilato e soltanto interessato a costruirsi una sicura posizione economica, che si concretò nella seconda metà degli anni venti con l'acquisto di Crocefia e di Gisira, di immobili in città e di una partecipazione nella società del mulino-pastificio Guerrieri. Tra Guerrieri e Turlà si stabilì poi anche un rapporto di parentela: l'avvocato Emanuele Guerrieri sposò Elisabetta Turlà, figlia di Bartolomeo. La forza mica della famiglia Turà dda un lato supportò l'ascesa politica di Giorgio, dall'altro ricevette impulso per crescere e articolarsi proprio dal potere da lui acquisito. Infatti nel 1928 Giorgio Turlà fu chiamato dal federale di Ragusa Franz Turchi a reggere il fascio di Modica in qualità di commissario. In tale ruolo cominciò a dimostrare una certa spregiudicatezza politica: ne approfittò per manomettere i registri del fascio retrodatando la propria iscrizione al partito dal 15 dicembre 1923 al 21 aprile 1921 per ottenere l'ambito brevetto della Marcia su Roma e la qualifica di squadrista della prima ora.[…] appoggiandosi alla cordata vincente del fascismo ragusano, quella di Filippo Pennavaria, "padre fondatore" della provincia di Ragusa, divenne presidente della provincia nei primi anni Trenta, poté ottenere finanziamenti per Gisira, l'azienda agricola di famiglia, ebbe poi la direzione della agenzia di Modica della banca Agricola Popolare di Ragusa. Quando nel 1937 Giorgio Turlà fu designato a ricoprire la carica di federale del partito fascista a Ragusa volle che gli subentrasse, come direttore dell'agenzia di Modica, il fratello Salvatore", che allora aveva 37 anni e non aveva mai lavorato né in quella banca né in altre banche. "Nell'ambito delle lotte "faziose" tipiche della fascistizzazione, antagonista in questo caso la famiglia Vindigni, Giorgio Turlà nel 1940 dovette rinunciare alla prestigiosa e redditizia carica di federale della provincia ragusana. la sua forza economico-politica ne impedì tuttavia l'uscita di scena: passò a presiedere la Confederazione provinciale degli agricoltori.[…] All'arrivo degli Alleati a Modica, il 23 luglio 1943, Salvatore Turlà fu da essi prelevato, in assenza del più noto fratello Giorgio. La gente li seguì, come in un corteo, da Modica alta alla caserma dei carabinieri nella città bassa. Il comandante alleato interpretò come una "manifestazione d'affetto" al Turlà l'atteggiamento della popolazione e quindi lo rilasciò affidandogli poi , attraverso la banca, la distribuzione di sussidi assistenziali [un bell'esempio di continuità]. Dal suo ufficio di direttore di banca Salvatore rafforzò, anche con l'appoggio di aderenze politiche familiari,(il cognato Emanuele Guerrieri eletto alla Costituente per la democrazia cristiana e artefice, da sottosegretario ai lavori pubblici, del ponte di Modica, costruito nel 1967) la sua posizione economica. Potenziò l'investimento a Gisira e poi, nel 1967, l'acquisto di Mortilla. "La loro era una vita agiata e ai figli offrirono le più varie opportunità: lezioni di musica, di danza, di lingua straniera". Nel 1974, a settant'anni, Salvatore lasciò la banca. Subito dopo la malattia. Morì nel 1976. Elisa aveva 13 anni, Bartolo 12.

Era consuetudine, dalle nostre parti, che appena una donna rimaneva vedova e in possesso di qualche bene, il bene in questione fosse destinato alla spoliazione - parenti, conoscenti, compaesani - o all'abbandono: le donne non si occupano di terre. In questo caso però le cose si complicano. Tutto inizia nel 1981, quando i Turlà, la madre e il figlio, decidono di ricorrere a un finanziamento per investire in attrezzature. Si rivolgono al Banco di Sicilia, che nega il finanziamento. Non solo, i funzionari a cui si rivolgono consigliano di vendere e cominciano ad arrivare velate minacce. Il fatto è che Mortilla si trova nel territorio di Comiso dove si stanno per avventare le speculazioni in relazione alla costruzione della base missilistica. Nel 1982 i Turlà chiedono all'assessorato regionale un contributo per infittimento e irrigazione di Mortilla. Nulla. Poi un nuovo finanziamento al Banco di Sicilia. Nulla. Anzi negano ai Turlà la richiesta di proroga di due precedenti prestiti agrari. In banca le suggeriscono di fare altri prestiti per pagare i primi. Nell'aprile 1983 si rivolgono all'ESA e il funzionario consiglia di vendere, mentre cominciano le telefonate anonime, che ingiungevano di vendere. Nel maggio del 1983 viene erogato un acconto sul prestito che servirà solo a pagare il geometra, perché il funzionario di banca, La Terra, pretende la copertura totale di quanto esposto nel conto corrente per capitali e interessi. Nell'estate 1984 il prestito viene chiesto alla Banca Agricola popolare di Ragusa (150 milioni). Viene chiesta la garanzia ipotecaria su tutti i loro beni(circa due miliardi) "Sarebbe presto risultato chiaro che aver vincolato con un'ipoteca di primo grado le aziende per un'erogazione proporzionalmente irrisoria costituiva un grosso freno per ogni tipo di operazione finanziaria" di lì a poco infatti la richiresta di un altro mutuo fu respinta a causa delle ipoteche. Nell'estate del 1984 cominciarono i danneggiamenti all'irrigazione. Nello stesso anno i Turlà decidono di denunciare quanto loro successo, dalla banca in poi. Il Ministro Martinazzoli non risponde, si rivolgonpo al vescovo di Noto, Salvatore Nicolosi e al parroco di San Giorgio, i quali consigliano di vendere. I Turlà cominciano a dubitare anche degli amici ecclesiastici. Il presidente del consiglio Craxi invece risponde e incarica il prefetto che risponde che tutto era andato nella norma, solo difficoltà di ordine burocratico. A quel punto decidono di vendere ma i guai non sono finiti. Interessato a Mortilla è don Gelmini, per conto degli enti assistenziali. Ma dopo un po' si scopre che a Gelmini sono stati ritirati gli appoggi. Bartolo chiede udienza al vescovo: (di Ragusa, Rizzo) che "gli ricordò che il cristiano deve pensare allo spirito e distaccarsi dai beni materiali". Alla fine vendono , con un compromesso-capestro, alle famiglie Drago e Alessandrello. Nel frattempo Elisa torna da Napoli e si interessa finalmente anche lei dell'azienda, ma ora anche Gisira soffre della mancanza di liquidità. Ne fanno un locale di ristorazione ma i boicottaggi continuano. Oggi, [1993, data di pubblicazione del libro che racconta questa storia, di Ercole Ongaro Una storia per resistere. La terra, una donna, la mafia "La Meridiana" , collana paceinsieme] è in corso il processo per cambiali, prestiti, vendita di Mortilla. Non si sa ancora come finirà. Ma Francesca dice : "Anche se perdo tutto non mi sento sconfitta: la mia lotta non è stata una lotta per non perdere il terreno[…] La mia è una vittoria anche per aver trasmesso questa volontà di resistere ai miei figli. E poi il fatto che ero sola: sarebbe stato facile rassegnarmi, rinunciare a lottare: aver voluto lottare, questa è una vittoria".

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