Your mother's son-in-law...
Un piccolo libricino di buona fattura editoriale, edito
dalla bresciana Edizioni
dell'Obliquo in 500 esemplari, 120 dei quali con acquaforte
di Luciano Pea.
Pulizia tipografica del libro, color verde pisello della
copertina. Una brossura
solida, con i fogli fascicolati e tenuti a filo. Il cartoncino
spesso della
copertina.
What a little
moonlight can do...
Un libro di poesie, con una premessa di alcune pagine di
Silvana La Spina. Le
poesie sono di una persona che conosco, Renato Pennisi.
These foolish
things...
Silvana La Spina parla di "grazia", riferita alla
poesia di Renato: "l'estasi del
piccolo, del quotidiano, assume il passo di una cerimonia,
passo lento cauto e
digradante verso la perdita". E lo descrive come uno
"di quei rari siciliani che
tacciono quando vorrebbero urlare per le ingiustizie, che
hanno pazienza, che
sono tenaci, sensibili e ostinati nell'amicizia, fino al
personale tracollo" (p. 7).
I cried for you...
Le poesie sono divise in tre sezioni: La passione (che reca
una didascalia di
Juan R. Jiménz: "Vino, primero, pura / vestida
de inocencia. / Y la amé como
un niño"), I volti a me tutti cari (con dedica:
"a C. e a G."), Da domani (con
dedica: "Ad Anna"). Indizi: Caterina e Giacomo
sono i figli, Anna la moglie
di Renato. Jiménez è Jiménez. Le Note
finali servono per precisare e chiarire
al lettore, specie non siciliano, di alcuni luoghi geografici
e riferite a persone
(con)segnate nel testo: Fontanarossa, Piazza Stesicoro,
Tardaria (vicino
Pedara), il Biviere, i poeti Fiore Torrisi, Salvo Basso.
Leggiamo.
Summertime...
La vicenda del leggere è sempre un'attività
alquanto strana. E il "genere"
condiziona il modo della lettura. Con la poesia cosiddetta
accade più
facilmente che con altri generi - il romanzo, la raccolta
di racconti ecc. -
quello che Daniel Pennac prescrive costituisca il piacere
della lettura: la
possibilità. Possibilità di poter leggere
"tutto d'un fiato", ma anche di poter
riprendere dopo una interruzione, poter cominciare dalla
fine o da metà del
libro, poter lasciare la lettura. La frammentazione che
ha subito la stessa
struttura formale della poesia, nella sua fuga novecentesca
dalla retorica, la
sua sottrazione all'offesa dell'interesse (economico, politico...),
ha consegnato
al genere la libertà delle piccole dosi. Noi abbiamo
letto "Mai più e ancora",
assaporandone la linea unitaria, e poi saltando qua e là,
rileggendo - che è il
piacere più intimo della lettura -. Quando un testo
suggerisce la rilettura, vuol
dire che il testo continua a parlarti, e che senti il bisogno
di reincontrare quel
testo, quella voce. "La vita scende le scale con passi
/ a dirotto, la pioggia fine
/ e noi sotto l'arco, stretti / è la scrittura che
torna" (p. 13), avverte il poeta.
Segni premonitori della vita che il poeta trascrive, piccoli
accadimenti, brevi
frasi illuminanti. Il poeta novecentesco non può
consegnare all'umanità senso
né grandi parole d'ordine. Ma attraverso la vita
quotidiana, il senso di ciò che
si vive, l'incontro, l'emozione che ha un valore intimo
e non può essere
svenduta nella declamazione esibita. Il raccoglimento del
poeta nella scrittura
è la voce che difende l'essenziale contro la profusione
del consumo e del
moderno e dei suoi non-luoghi televisivi e marketingheschi.
Qui, nella
scrittura, il poeta conquista il suo luogo. "Abbasso
le palpebre ma non ho
sonno, / gli occhi voglio che riposino / e in quel buio
affiori, irraggiungibile, /
torni nell'ora di cedere, e non cedo, / figura che lenta
ti cancelli, / di te non è
scomparso che lo sguardo" (p. 21). Lo sguardo miope
del poeta - il tema del
vedere, gli occhi, le palpebre sono tra le parole chiavi
del libro - accarezza del
mondo quello che importa, e proprio per questo le cose tornano
dall'indifferenza a risuonare cariche di emozioni: "per
ogni oggetto esiste una
parola" (p. 38, la poesia dedicata "A Sebastiano
Addamo", poeta che per
molti di noi è stato maestro). La consapevolezza
della morte, di quel "mai
più" che costituisce il rintocco funebre della
prima parte del titolo del libro, e
che "non terminerà mai la pioggia, / non terminerà
mai" (p. 46).
Strange fruit...
C'è stato un tempo in cui i poeti venivano esaltati
e si auto-esaltavano nella
retorica della "Poesia". E' poi venuto il tempo
dell'annullamento, i poeti sono
stati spazzati via dall'industria editoriale e si sono vergognati:
di chiamarsi
"poeta", e di scrivere persino, di esistere. Nel
raccoglimento che ne è seguito,
la ridefinizione di ruolo e di produzione, i poeti hanno
continuato a persistere
nella clandestinità di un mestiere che non aveva
più risvolti (né cariche)
socializzati o socializzanti. La "gratuità"
della poesia, la verità del dono. Il
poeta torna a riappropriarsi della propria identità:
"farò il poeta, correrò per il
mondo / rimanendo qui ogni ora / della mia vita" (p.
52). In un mondo che
torna a interrogarsi sulle questioni dell'indentità
- Zygmunt Bauman parla di
"identità liquida" a proposito dei tempi
che viviamo -, affermarsi poeta e
(soprattutto) scrivere poesia assume un aspetto particolare.
E' l'aspetto della
resistenza, il nocciolo duro che gli acidi inquinanti della
modernità non
riescono a sciogliere. Ciò che l'individuo oppone
al mondo e alla morte, il
diritto di dire: "preferirei di no". L' "ancora"
del libro di Pennisi sta
probabilmente qui, l'affermazione al diritto di vivere e
di amare. Di ricordare.
"Ho molto dentro di me da cancellare, / i sacri obblighi,
le devozioni, / il
sonno che dall'antistaminico / si scioglie nei tessuti /
anche quando alte /
vorrei le palpebre luttuose, / e sulla vita punto / le caviglie
e cancello /
soltando risparmiando / il mignolo rimasto a metà
libro" (p. 39).
Yesterdays...
E' nella sezione brevissima, ma densa, "I volti a me
tutti cari" che Pennisi
compie un distacco anche stilistico e di tono rispetto al
resto della raccolta. E'
la parte migliore del libro. Il tono intimo, teso a cogliere
il senso simbolico
delle cose, la voce monologante e assorta che accomuna in
fondo il resto delle
poesie di Pennisi alla (migliore) produzione poetica contemporanea,
qui
subisce uno scarto. La voce conquista un interlocutore ben
preciso, e
soprattutto conquista il gioco, e l'ironia del gioco. "Sapete,
avere due bimbi
due / come voi significa / avere per casa un solo profumo:
/ di cacca" (p. 28).
Non è più "il poeta" che parla,
ma il padre poeta che umanizzandosi si rivolge
ai propri figli. All'identità del poeta si sovrappone
quella del padre, e la voce
cambia. "Il tempo se ne va, / ingrigio, / ridente commenta
l'amico. / Ma il
tempo dove va? / domanda Caterina." (p. 29). Sono bellissime
pagine. "Con te
per mano non ho paura, / con lei a destra, lui a sinistra,
/ un imperatore
romano / addirittura" (p. 29). Nel giro di pochissime
righe Renato Pennisi
compie il miracolo più vero, l'equilibrio tra ciò
che si ama e il sorriso: "Il
muso dispettoso a tu per tu, / il muso tutto rosso di ragù"
(p. 29). Pennisi
narratore di fiabe (il Libro dell'amore profondo, La prigione
di ghiaccio) narra
ai propri figli la fiaba di se stesso, del proprio essere
padre ("Il altro tempo in
altro luogo / accadeva che papà vostro..." p.
27) e nel tentare risposte alle loro
domande ("Quando finisce la morte, papà?..."
p. 28) ridefinisce il proprio
ruolo poetico e la propria voce, il proprio senso ("ciò
che temo è l'inutile
attesa. / Inventare scuse / alle vostre dimenticanze",
p. 30).
Ps. Abbiamo letto
il libro di Renato Pennisi con in sottofondo la voce di
Billie
Holiday. Incontri casuali che si rivelano alla fine meno
casuali del caso. Lo
swing blues della grande Lady elegante dolce straziante,
la poesia ferma e
raccolta di Pennisi. Non male.