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”IL POSTO DELL’ANIMA” di Lorenzo Misuraca


GLI OPERAI CI SONO, ANCHE SE NON SI VEDONO...

”Il posto dell’anima” è un film che ci parla di dignità. Della dignità del
lavoro. E, ancora più importante di questi tempi, ci parla di operai. Un bel
film. Senza fronzoli, ne concessioni alla retorica, ci racconta tre
generazioni di operai (Silvio Orlando, Michele Placido, e Claudio
Santamaria), che si trovano improvvisamente di fronte allo spettro della
cassa integrazione. La carair, la multinazionale che controlla la fabbrica
di pneumatici in cui lavorano i tre protagonisti, decide di chiudere lo
stabilimento del piccolo paese abruzzese in cui è ambientato il film.
Gli operai cominciano uno sciopero ad oltranza, intenzionati a non
arrendersi alla disoccupazione.
Ma se il sessantenne Placido affida tutte le speranze di riuscita all’unità
dell’azione, memore di una coscienza operaia, ormai irrimediabilmente persa,
e il quarantenne Orlando, più disincantato- si concentra nella protesta,
senza cedere ai “sentimentalismi di classe”, il giovane Santamaria dimostra
di non aver alcun attaccamento al suo lavoro, tentando alla prima occasione
di passare al mondo dell’imprenditoria privata.

Il Film si dipana così, nell’analisi delle diverse reazioni alla notizia dei
tagli occupazionali, durante la mobilitazione.
Al Problema, se ne aggiungono altri privati: la difficile relazione con
una ex-operaia della stessa fabbrica, emigrata a Milano per non morire
avvelenata (una convincente Paola Cortellesi) per Silvio Orlando; le
difficoltà economiche ed etiche del giovane Claudio Santamaria, che ha
appena avviato un mutuo per la casa nuova, con moglie e quattro figli a
carico; e un rapporto conflittuale con un figlio adolescente, così immerso
nella realtà post-industriale odierna da non riuscire a capire un padre che
ha accettato di farsi avvelenare e sfruttare per far campare la famiglia,
per Michele Placido.

Il regista Riccardo Milani, evita volontariamente di contestualizzare
politicamente la vicenda: non c’e mai un accenno al governo, e pure i
sindacati sembrano distanti dalla quotidianità della lotta degli operai.
Non è pressappochismo, o prudenza, piuttosto l’autore preferisce analizzare
la condizione universale di una classe sociale (gli operai) che, pur
sostenendo sulle proprie spalle e pagando con tumori e cancri- lo sviluppo
forsennato della società dei consumi, sembra esser scomparsa dalla faccia
della terra. Per questo appare un punto centrale del film, la sequenza in
cui Paola Cortellesi grida in faccia ad Orlando <<Non lo capisci che degli
operaia non gliene importa più a nessuno? Siete carne da macello>>.
S’introduce, quindi, oltre alla questione della perdita della stabilità
economica, il progressivo smarrimento identitario di una classe sociale,
fino a pochi anni fa ritenuta centrale nel confronto politico, sociale, ed
economico di uno stato.

Gli attori sono perfetti nel ruolo, soprattutto Orlando e Placido, che
restituiscono allo schermo con i loro volti consumati dalla stanchezza, la
dura vita dell’operaio.
Il ritmo da commedia evita i pietismi ricorrenti nella trattazione di questi
temi.
”Il posto dell’anima” è un film da vedere. Lo dobbiamo agli operai di
Termini Imerese che hanno condotto una lunga lotta per la loro dignità di
lavoratori. Lo dobbiamo ai lavoratori di Porto Marghera e di Gela morti di
cancro, avvelenati dalla fabbrica, che forse non avranno mai giustizia.
Lo dobbiamo a noi stessi, per non dimenticare che oltre alla borghesia media
e piccola, e ai poveracci esibizionisti che ci mostra la televisione, in
Italia esistono ancora gli operai,tuttora rappresentati da una triste,
quanto agghiacciante, battuta di Dario Fo: ci tocca crepare, per campare…


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