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Ciao Dino


Eravamo in tante e tanti a saperlo, ad aspettarcelo. Il male maledetto che
aveva colpito Dino Frisullo era l'unica cosa che poteva fermarlo. L'altro
ieri sera anche il suo cuore immenso si è fermato. Da tempo ricoverato a
Perugia, non aveva smesso di battersi contro un verdetto che non accettava:
c'erano troppe cose da fare, c'era la quotidiana battaglia a fianco dei
diritti dei migranti, c'era il popolo kurdo di cui Dino si è da sempre
sentito parte.
Chi andava a trovarlo, prima che le sue condizioni peggiorassero, si trovava
di fronte una persona arrabbiata, come di fronte ad un contrattempo
insignificante che pregiudicava il fluire delle cose. Fiaccato nel fisico,
continuava a fare da terminale alle mille chiamate e alle mille iniziative
che l'incedere degli eventi imponeva. Lo ha fatto fino a quando ha potuto e
forse anche oltre.

Lavorarci a fianco non è stato mai facile: decisioni, scelte improvvise e a
volte anche improvvide, erano parte integrante della sua generosità e allora
erano discussioni che proseguivano fino a notte inoltrata, accanite e
appassionate. Chi ha avuto la fortuna di condividere almeno parte dei suoi
percorsi non ha potuto far altro che provare per lui affetto, un affetto di
quelli che raramente la politica permette e procura.

Forse perché passione e ragione trovavano nel suo impegno costante una
definitiva commistione, forse perché più che il leader o peggio ancora
l'eroe, Dino era colui che fungeva da esempio vivente di come si poteva
coniugare in maniera diversa l'agire politico. O forse più semplicemente
perché, nella totale dedizione impiegata, era impossibile non restare
catturati da una profonda coerenza morale, un rigore senza alternative che
non lasciava scampo. «Ci sarebbe da partire domani per la Turchia dove i
detenuti fanno lo sciopero della fame». Una telefonata che arrivava durante
le feste natalizie, che faceva saltare le vite e i programmi di chi le
riceveva ma a dire di no, si restava col senso di colpa proprio di chi
poteva e non ha agito.

Dino ha fondato tanti gruppi e associazioni che portavano il marchio della
sua presenza sin dalla scelta del nome. "Al Ard" (La terra) a fianco del
popolo palestinese, "Azad" (Libertà) per un Kurdistan di cui la geopolitica
non ammette l'esistenza, ma presente in carne e ossa in tante nelle nostre
città e poi "Senza Confine": due parole per sintetizzare la condizione
soggettiva dell'essere migrante.

Terra, libertà, senza confine: non si tratta di un orizzonte romantico e
idealista ma dell'utopia per cui vale la pena restare in piedi. Un'utopia
fatta di pace, di diritti condivisi, di popoli e uomini e donne liberi di
scegliere della propria esistenza e del proprio futuro. Un vero e proprio
orizzonte politico a cui l'immiserimento di questo termine a volte ci ha
disabituato, ma anche una concezione razionale del mondo, di come è, di come
potrebbe essere, di quali siano i meccanismi che ne impediscono il
mutamento. Forse perché oltre che parlare, scrivere, lottare, è necessario
amare profondamente le persone e le cause per cui si agisce. Forse perché la
vera politica, quella capace di mutare lo stato di cose esistenti, deve
mantenere al suo interno questo nervo scoperto e totalizzante.

Al ritmo della tastiera arrivano telefonate, messaggi e mail: autorità e
compagne e compagni di strada del passato e del presente. Affiorano ricordi,
più spesso si cade nei silenzi pieni di domande e un dolore feroce passa
attraverso i fili. E piano piano ci si rende conto di come il suo lavoro
abbia sedimentato. Non si tratta di una interpretazione consolatrice, di cui
pure abbiamo bisogno, quanto del percepire una sensazione che forse a Dino
sarebbe piaciuta. Se a Dino Frisullo verrà dedicato il programma di
iniziative che il Comune di Roma ha definito. D'intesa con il tavolo
cittadino per i rifugiati e richiedenti asilo, come ha affermato l'Assessore
alle Politiche Sociali, Raffaella Milano, se da tutto il paese uomini e
donne conservano il ricordo anche flebile di una sua presenza, ciò non è
ascrivibile all'inevitabile retorica che segue ogni morte collettivamente
significativa. Forse significa che una parte viva e dolente del nostro mondo
riesce, anche nel dolore, a riconoscersi, ad avere voglia di stringersi e
farsi forza, perché non si rassegna.

Le impronte lasciate non vanno abbandonate, i tanti dannati per cui Dino si
è battuto non debbono sentirsi lasciati soli. Se oggi, a partire dalle 17,
nell'aula messa a disposizione dalla terza Università, di Roma, in Piazza
Giustiniani, alla fine di via Galvani (ex-Mattatoio), fino a domani
pomeriggio, saranno in tante e in tanti ad andarlo a salutare è perché,
della strada che Dino ha percorso, faranno, faremo, sempre parte.

Stefano Galieni (da liberazione)

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