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Reti & Comunicazione

LA RAI: SERVIZIO PUBBLICO UN PO' PRIVATO
Ma cosa è un "servizio pubblico televisivo"? In genere si definisce servizio pubblico quel complesso di prestazioni/attività ritenute di rilevante interesse generale e collettivo, "di interesse pubblico"... 
di Valentina Arena Un acceso dibattito e feroci polemiche hanno travolto la Rai negli ultimi mesi. Nata negli anni 50 in pieno boom economico, inizia ad intrattenere gli italiani con programmi di grande successo come "Lascia o raddoppia", guidato dal giovane italoamericano Mike Bongiorno. Tutto viene trasmesso dalla prima e unica rete, ci vorranno almeno un paio di anni prima della nascita del secondo e del terzo canale. La Rai viene creata con l'obiettivo di istituire il "servizio pubblico televisivo" in Italia e portare avanti la sua missione introducendo nel palinsesto "Non è mai troppo tardi", un programma condotto dal maestro Alberto Manzi che, attraverso la Tv insegna agli italiani a leggere e a scrivere. Oggi la Tv pubblica ci appare molto cambiata.
Notiamo, alquanto perplessi, un allontanamento della Rai dal suo ruolo originario e assistiamo a episodi preoccupanti. Dimissioni significative, infatti, si sono verificate all'interno del Cda dell'azienda, ma l'argomento tutt'ora che tiene banco all'interno delle aule parlamentari è certamente l'enorme conflitto d'interessi che vede protagonista l'attuale primo ministro Silvio Berlusconi. Da Baldasarre a Gasparri, da parte di tutta la classe politica, da destra a sinistra, arrivano proposte di miglioramento qualitativo, per una Rai degna di essere chiamata "Tv di servizio pubblico".

Ma cosa è un "servizio pubblico televisivo"?
Dare una risposta a tale domanda è impossibile più che difficile, le definizioni di servizio pubblico mutano da Paese a Paese. In genere si definisce servizio pubblico quel complesso di prestazioni/attività ritenute di rilevante interesse generale e collettivo, "di interesse pubblico". Storicamente esistono quattro ragioni che hanno determinato l'esistenza di una televisione pubblica: la scarsità delle frequenze, la necessità di strumenti di formazione e arricchimento socio-culturale, la consapevolezza dell'imperfezione del settore radiotelevisivo e la volontà di contrapposizione rispetto alle dinamiche di mercato. L'equilibrio raggiunto a fatica dalle prime tv pubbliche, ben presto, viene spezzato dalla crisi dovuta all'introduzione del "mercato" come regolatore dell'area sociale, culturale e politica. Del tema del "servizio pubblico" si è interessata, in ambito istituzionale, la Commissione Europea che ha diffuso due documenti di notevole importanza: il Protocollo di Amsterdam (1997) e la Risoluzione del Consiglio dei Ministri (1999). Entrambi sottolineano che gli Stati membri devono provvedere al finanziamento del servizio pubblico di radiodiffusione e che quest'ultimo deve offrire programmi di massa e di qualità. Ma in realtà è così o c'è qualche piccola macchietta che fa della nostra mamma Rai una tv "deficiente"?

RAI: FREE O PAY?

Oltre al dubbio riguardante l'orientamento di servizio pubblico della Rai, un altro argomento scottante è rappresentato dal canone. In genere le alternative di finanziamento possibili per il "servizio pubblico televisivo" sono tre:

- Lo stato (indirettamente il cittadino);
- Il cittadino (canone o tasse imposte);
- L'utente pubblicitario.

In Italia, come ben sappiamo, esiste ancora il canone che però non copre le spese dei tre canali digitali satellitari gratuiti ( "all news", "educational" e "sport"). Pagando la modica cifra di 97,10 mamma Rai ci riempie di spazzatura, fictions e giochi a premio a rotazione infinita!
Ma il canone è giusto, è democratico?
La maggior parte degli italiani sostiene che è "un furto" mentre altri dicono che è "una spesa cui si è obbligati ingiustamente", e così che l'Italia si trova - almeno per una volta - ai primissimi posti nella classifica dei Paesi con il più alto tasso di evasione del canone (20%). Come se non bastasse, la Rai si posiziona tra i Paesi detti "pubblicentrici", cioè in cui il ruolo della pubblicità è fondamentale. Raggiunge, infatti, il 38% dei ricavi da pubblicità e sponsorizzazioni.
Una tv pubblica dovrebbe essere pluralista, critica e di qualità, mentre l'introduzione sempre più massiccia dello strumento pubblicitario trasforma - e in Italia lo ha già fatto in buona parte - la nostra Tv in un mero moltiplicatore consumistico. Sono finiti i tempi di Carosello, quando all'interno di uno spettacolo di soli 2 minuti e 15 secondi, vi era di norma un "codino pubblicitario" di 35 secondi. Fenomeno nato nel 1954 con una forte volontà antipubblicitaria, muore nel 1977, anno che coincide fatalmente con la nascita di tv e radio commerciali.
Nonostante tutti gli aspetti negativi apportati dall'introduzione della pubblicità nella Tv pubblica alcuni ricercatori individuano in questa un elemento che potrebbe garantirne l'indipendenza politica, sia dal Governo sia dal Parlamento. Se questa è la regola, direi che l'Italia è decisamente l'eccezione, non si spiegherebbe, infatti, l'espulsione forzata di giornalisti quali Biagi e Santoro dalla Rai!
Sicuramente la concorrenza tra tv pubblica e tv commerciale è stimolante e va alimentata al fine di un miglioramento. Ma fin quando le fonti di finanziamento della Tv pubblica saranno le stesse delle tv private e l'unico obiettivo sarà raggiungere l'audience maggiore, i programmi Rai saranno una duplicazione peggiorata di quelli passati dalle tv commerciali. Altro che "Rai di tutto, di più"!

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