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Gennaio 1984 Giuseppe Fava veniva ammazzato per mano della
mafia, un bavaglio sulla bocca di un giornalista che sul giornale
da lui diretto, “I Siciliani”, faceva nomi e cognomi
degli imprenditori e cittadini della Catania bene, “onesti”
che con la mafia facevano affari negandone l’esistenza
ma impersonandola nei fatti. Oggi, a diciannove anni dall’assassinio
di fava i catanesi assistono impassibili ad un remake vecchio
stile che prova ad indossare nuove vesti e maschere diverse.
Maschere, appunto.
Sul fronte dell’informazione la situazione ci appare
pressoché immutata rispetto a diciannove anni fa,
l’impero dei media fa sempre capo a Mario Ciancio
Sanfilippo, l’editore unico di tutte le più
importanti radio e televisioni Siciliane nonchè proprietario
e direttore de “La Sicilia”, un network capace
di sopprimere qualsiasi pluralismo dell’informazione
in una città già tremendamente silenziosa,
specialmente in questi ultimi tempi.
“La mafia con la cravatta”
avanza: cambiano i nomi ma le modalità sono sempre
le stesse. Ai tempi di Fava erano le banche, adesso i panni
sporchi dei clan catanesi si lavano nei supermercati.
"Caso Catania" bisogna citarlo
necessariamente se vogliamo parlare di giustizia, nella
procura etnea ci sono magistrati che vengono isolati ed
emarginati per le loro inchieste sulla “Catania bene”
mentre aumentano i veti contrapposti tra magistrati che
bloccano di fatto numerose inchieste su personaggi politici
eccellenti e su numerosi esponenti della stessa magistratura.
Sul fronte politico i Catanesi plaudono silenziosi
alla rinascita della peggior Democrazia Cristiana che mai
ha governato nell’isola. La maggioranza in
città è retta nominalmente da Umberto Scapagnini,
farmacologo e medico personale di Silvio Berlusconi, ma
a tenere in mano le fila di tutta la baracca è indiscutibilmente
il democristiano Raffaele Lombardo, tra i protagonisti del
nuovo sacco di Catania in preparazione per i prossimi mesi,
quando saranno chiare tutte le destinazioni d’uso
e gli appalti delle zone più appetibili di Catania,
dal lungomare al vecchio quartiere di S.Berillo, in quest’ultimo
caso si tratta solo di portare a compimento l’opera.
In tutto questo marasma la sinistra istituzionale catanese,
o centro-sinistra, chiamatelo come vi pare, invece di proporre
soluzione alternative preferisce convivere e difendere gli
interessi di pochi baroni.
Oggi, a diciannove anni di distanza, le parole di Fava
appaiono ancora di una contemporaneità disarmante,
un sapere e un'esperienza che dovrebbe essere trasmessa
e veicolata ma a cui, ancora oggi, si cerca di mettere il
bavaglio. Fava non amava certamente le maschere ed anche
per questo è stato ammazzato. La sua memoria ci impone
di tracciare nuove strade e trovare maggiori convergenze,
abbiamo bisogno di voltarci verso il passato "...ma
guardando diritti al futuro" se vogliamo esserne i
protagonisti e se vogliamo tornare a vivere nuovamente le
nostre città.
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