Giro99
Siamo tutti sovversivi
Lettera aperta del portavoce disobbediente Francesco
Caruso dal carcere di Viterbo
Ai fratelli e alle sorelle
del movimento dei movimenti
Alla società civile
Alle moltitudini in cammino
per un altro mondo possibile
Un milione di persone sono tante.
Un milione di persone, di uomini e donne a Firenze
ha detto, ribadito e
gridato a gran voce che un altro mondo è
possibile e necessario, un mondo
senza guerre e bombardamenti 'umanitari', un mondo
nel quale le guerre si
evitano semplicemente non facendole, un mondo
nel quale la casa, il lavoro,
il reddito, l'acqua, la terra sono diritti di
tutti e non privilegi per
alcuni.
Un milione di persone che dicono
e rivendicano queste cose sono molte. Per
qualcuno, nei palazzi di potere, sono anche troppe.
Firenze è stata un'ulteriore
tappa delle moltitudini in movimento che da
Seattle a Genova, da Napoli a Praga hanno rilanciato
a livello mondiale le
rivendicazioni degli indios zapatisti, elementari
ma al tempo stesso
rivoluzionarie: Democrazia, Giustizia, Dignità.
Da questa cella piena di sbarre,
democrazia giustizia e dignità sono parole
vuote, concetti e valori impercettibili.
In questa discarica umana, in questo
carcere pieno di disperazione e disagio
sociale, la dignità umana non è
calpestata, ma semplicemente non esiste.
Come movimento siano sempre stati
dalla parte degli ultimi, degli esclusi,
delle vittime della selvaggia globalizzazione
neoliberista.
Dalle periferie degradate di Napoli
ai campi profughi in Palestina, dalle
zone terremotate in Molise a Sarajevo sotto i
bombardamenti, abbiamo sempre
messo in gioco i nostri corpi e impegnato le nostre
energie per conoscere,
comprendere e combattere le tante contraddizioni
e ingiustizie del nostro
tempo.
Dovrò paradossalmente ringraziare
i magistrati di Cosenza e i loro teoremi
per avermi dato la possibilità di attraversare
l'infernale girone dantesco
delle carceri: Trani, Viterbo, migliaia di persone
rinchiuse come polli in
batteria, dove anche il minimo, elementare diritto
diventa un favore da
implorare.
Qui dentro ci sono solo i soggetti
deboli e marginali, per i quali troppo
spesso l'illegalità non è una scelta
ma una strada obbligata dai perversi
meccanismi di un sistema sociale incentrato sul
profitto.
Qui democrazia, giustizia e dignità
si possono tradurre in un sola parola:
AMNISTIA, subito e per tutti.
Come movimento dobbiamo urgentemente
farci carico di questa battaglia, per
ridare un senso a questi valori anche qui dentro,
per smascherare le
chiacchiere e le false promesse dei palazzi di
potere.
Democrazia, Giustizia, Dignità.
Ma si può parlare di democrazia,
di giustizia e di dignità in un paese nel
quale si perseguitano gli oppositori politici'
Non è questo forse il
discrimine, la linea di confine tra democrazia
e autoritarismo, la spia di
un'involuzione democratica'
Allora l'urgenza di mobilitarsi
al grido di 'Siamo tutti sovversivi' non è
un'impellenza esclusiva dei ribelli, degli attivisti
dei movimenti, ma anche
e soprattutto della società civile, dei
sinceri democratici, di coloro i
quali credono e sperano di vivere in una democrazia
matura: in gioco non vi
è solo la nostra scarcerazione (che è
ora una variabile secondaria) ma
piuttosto l'agibilità politica e democratica
dell'opposizione sociale nel
nostro paese.
Se passa il teorema di Cosenza,
ogni attivista dei movimenti, ogni persona
che si è mobilitata in questi anni per
un 'altro mondo possibile', chiunque
sia sceso in piazza a Napoli, Genova, Firenze,
potrà essere perseguitato
come pericoloso e violento sovversivo.
La pericolosità sociale
e politica di quest'inchiesta è sotto gli
occhi di
tutti.
Dietro l'ambiguo e inconsistente
impianto accusatorio, si cela il maldestro
tentativo di ridurre la ricchezza e la vitalità
dei movimenti ad un mero
problema di ordine pubblico.
Alla base di queste assurde congetture
c'è un delirante pregiudizio
ideologico sul rapporto tra democrazia, mobilitazione
e conflitto sociale.
Se a livello mondiale, grazie all'esperienza
di Porto Alegre e all'attivismo
dei movimenti, è entrata nell'agenda politica
la sperimentazione di forme
inedite di democrazia partecipativa, che pongono
al centro delle
determinazioni sociali e politiche la partecipazione,
la mobilitazione ed il
conflitto sociale, permane nella società
e soprattutto nel mondo politico
una diffidenza a riconoscere il conflitto e la
mobilitazione sociale come
linfa della democrazia.
Ma c'è anche di peggio:
soprattutto nell'establishment politico, economico
e
culturale, nei piani alti dei palazzi di potere,
c'è chi vede i movimenti
sociali come pericolosi virus da debellare, il
male da sconfiggere, il
disordine da reprimere, per ristabilire Ordine
e Disciplina e preservare il
proprio potere.
Con l'insorgere del movimento antiglobalizzazione,
determinati settori degli
apparati, della magistratura e delle forze dell'ordine,
proprio a partire
dal timore e dal terrore dell'attivismo dei movimenti
del loro potenziale di
trasformazione sociale e di messa in discussione
degli assetti di potere,
sostituiscono all'imparzialità degli atteggiamenti
e delle procedure,
un'ossessiva persecuzione politica che tocca il
suo culmine con le violenze
di Genova e l'omicidio di Carlo Giuliani.
Ora l'assurdo teorema di Cosenza:
con in prima fila, ancora una volta, i
Reparti Operativi Speciali dei Carabinieri (l'unico
corpo senza indagati per
i fatti di Genova) questa volta supportati da
alcuni solerti magistrati che
i ROS hanno trovato dopo estenuanti ricerche in
un anonimo tribunale del
profondo Sud.
Il desiderio perverso di costoro
è che dei movimenti, di questi giovani
'rumorosi e fastidiosi', se ne occupino proprio
e solo loro, coi loro metodi
e le loro strategie di sistematico annientamento
e repressione.
Che il movimento antiglobalizzazione
sia un'accozzaglia di criminali
sovversivi, violenti, cospiratori, da questa prospettiva
non è un'ipotesi da
dimostrare, ma una certezza da affermare.
Eppure, di fatto, bisogna andare
a ritroso fino al ventennio fascista per
ritrovare altri imputati per cospirazione politica
oppure ai romantici
carbonari dell'Ottocento: di certo, se qualcuno
paragona il nostro impegno
sociale e politico con quello dei nonni antifascisti
o dei bisnonni
carbonari, non fa che lusingarci.
In verità i pericolosi sovversivi,
i veri criminali sono dall'altra parte
della barricata, sono costoro che cercano di sospingere
il movimento sul
terreno dello scontro 'fisico', militare, anche
perché sanno bene che questo
è l'unico terreno dal quale usciremmo sconfitti.
La loro strategia è fin
troppo evidente e banale: nel momento in cui non
vogliono dare risposte concrete alle istanze ed
alle rivendicazioni dei
movimenti, sbrigliano i loro cani da guardia,
le loro meschine strategie di
criminalizzazione e repressione, nel tentativo
di zittire, stigmatizzare e
annientare il movimento.
Ma il movimento ha già dimostrato
a Genova e dopo Genova la maturità
politica capace di sfuggire a queste trappole:
tanto meno questa ridicola
inchiesta riuscirà a smentirla.
Non solo, ma - come l'esperienza
di Genova - anche quest'attacco politico
non produce arretramento, sconforto e smobilitazione,
ma anzi rafforza la
consapevolezza della necessità di rilanciare
le battaglie del movimento: si
scopre infatti chee in gioco non c'è solo
la possibilità di conquistare
nuovi diritti e garanzie sociali, ma anche la
tenuta democratica,
l'azzeramento delle strategie eversive e reazionarie
con le quali, negli
ultimi decenni, hanno pesantemente attaccato i
precedenti cicli di
mobilitazione sociale.
Per questo è importante
che il movimento si divincoli da questa tenaglia
in
cui si cerca di stritolarlo, da quel vortice repressione/lotta
alla
repressione che tarpa le ali alla dinamicità
ed ai processi di
trasformazione sociale.
Le giornate di Firenze hanno posto
domande e istanze politiche ben precise,
da cui nessuno può pensare di divincolarsi
grazie alle geniali intuizioni di
un zelante magistrato o di solerti carabinieri.
Per questo, ancora, a prescindere
dalla sacrosanta battaglia per denunciare
il carattere politico e persecutorio di quest'operazione,
è importante
continuare a rilanciare le pratiche ed i contenuti
del movimento, anche
perché è soprattutto attraverso
questo che è possibile dimostrare chi sono
i
veri criminali: se sono coloro che come noi si
autorganizzano dal basso,
coloro che partecipano ai movimenti, oppure se
sono coloro i quali si
rendono responsabili di guerre e bombardamenti,
di milioni di morti per fame
e carestie, della devastazione ambientale del
nostro pianeta.
Allo stesso tempo, è necessario
ribadire e rivendicare le pratiche della
disobbedienza civile come forme di mobilitazione
legittime e sacrosante,
dinanzi alle tante, troppe ingiustizie che attanagliano
il nostro mondo
globale.
Su questo nessuna inchiesta, nessun
magistrato potrà farci arretrare.
Possono incarcerare 20, 200 o 2000
di noi, dei nostri fratelli, ma non ci
piegheranno.
Noi con il cuore, ma tanti altri
fisicamente, saremo in questi giorni al
fianco degli sfrattati di Melito per il diritto
alla casa, dei disoccupati
che rivendicano un impiego o un reddito, dei lavoratori
FIAT in lotta per
difendere il posto di lavoro, degli immigrati
il 30 novembre a Torino contro
i centri-lager.
Con la violenza che si fa chiamare
giustizia, ci hanno rinchiuso nelle
carceri, tra mille sbarre e cancelli, ci hanno
privato di un bene
fondamentale, del bene primario per tutti gli
esseri umani: la libertà.
Non si rendono conto che è
tutto inutile, che perderanno anche
quest'ulteriore battaglia: perché noi siamo
un esercito di straccioni, ma
anche e soprattutto di sognatori.
Per questo siamo invincibili.
Francesco Caruso
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