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Giro96
Movimento
La mafia ama la modernità
di salvatore lupo: articolo
apparso su Repubblica
Palermo. ringraziamo giuseppe scano di scordiaonline
per averlo ridiffuso in rete.
Le questioni proposte da Giovanni
Fiandaca ai lettori di "Repubblica"
inquietano oggi tutti coloro che negli anni passati
si sono occupati di
mafia a titolo di magistrati, di politici, di
studiosi o, semplicemente, di
cittadini. Cos'è la mafiaCosa nostra dopo
il fallimento della fase
stragista? La mafia di oggi è più
o meno pericolosa di quella che negli anni
tra il 1979 e il 1992 si manifestava in sanguinosissime
guerre intestine,
che massacrava nelle strade poliziotti, magistrati,
uomini d'affari e uomini
politici nemici di sempre o amici del giorno prima?
Chi insiste a voler
mobilitare contro di essa istituzioni e coscienze
è vittima di una coazione
a ripetere, oppure si attrezza a combattere un
nemico più sfuggente, e
perciò più insidioso? Le inchieste
giudiziarie ci descrivono una mafia
"inabissata" nella clandestinità.
Se questo è il dato, evidentemente
l'allarme sociale non può che essere minore
rispetto a quello che si
registrava negli anni in cui la mafia era così
terribilmente visibile. La
stagione dei delitti eccellenti è terminata,
speriamo definitivamente.
Peraltro, è per ora terminata anche la
strage nelle guerre intestine. C'è
stato negli ultimi seisette anni un tracollo del
numero dei delitti di
sangue per cause di criminalità organizzata:
a Palermo si è arrivati quasi a
zero. Molti, e non a torto, attribuiscono questo
risultato a una scelta
mimetica dell'organizzazione. Ma evidentemente
sono proprio i successi
dell'antimafia a obbligare Cosa nostra a una simile
strategia. Vogliamo
dirlo che tanti sforzi, e tanti sacrifici - anche
sanguinosi - sono valsi a
qualcosa? Oppure dobbiamo crogiolarci nell'idea
di una mafia non solo
invincibile ma addirittura infrangibile? C'è
poi un altro aspetto: i delitti
di sangue sono calati nettamente non solo nel
Palermitano o nella Sicilia
occidentale ma anche in altre aree di criminalità
organizzata (Sicilia
orientale, Calabria) nelle quali l'influenza di
Cosa nostra è sempre stata
inferiore o minima. Non tutto dunque deriva dal
decreto di una
superorganizzazione. A partire dai primi anni
Novanta, con la crisi del
vecchio sistema politico, gli sforzi di gestire
adeguatamente l'ordine
pubblico e il governo delle città hanno
evidentemente dato anche questo, per
nulla disprezzabile risultato. Il Mezzogiorno
non era, come ci era stato
descritto, irredimibile. Bastava poco per aumentare
la qualità della nostra
vita e per indurre i facinorosi a comprendere
che il vicendevole scannamento
non era il miglior modo per vivere. Ovviamente,
questo ci dice poco sulla
vitalità dell'organizzazione. D'altronde,
prima dell'era corleonese i
delitti eccellenti non facevano parte dell'armamentario
mafioso; non c'è
alcuna ragione perché la mafia non possa
oggi e domani prosperare senza
ricorrere a essi. Diverso il discorso delle guerre
intestine, il cui
andamento è sempre stato ciclico e che
probabilmente prima o poi si
ripresenteranno se la mafia, come credo, continua
a seguire una sua
continuità. D'altronde, non è del
tutto indicativo neanche l'indicatore del
(maggiore o minore) coinvolgimento mafioso in
traffici grandi e lucrosi.
Infatti non sempre risulta conveniente o anche
possibile il controllo
monopolistico di certi mercati illeciti (quello
della droga, come in certi
casi quello dei tabacchi) da parte delle grandi
organizzazioni criminali.
Esse possono anche abbandonare del tutto settori
un tempo fruttuosi: si
pensi al caso classico degli alcolici dopo la
fine del proibizionismo
americano. Insomma, per gli affari illeciti, come
per quelli leciti, ci sono
congiunture positive e congiunture negative. La
mafiaCosa nostra è
sopravvissuta alle alterne vicende di un secolo
e mezzo di storia cogliendo
tali occasioni quando erano disponibili e facendo
altre scelte quando
difettavano. La continuità storica, il
radicamento sul territorio, la forza
dei legami interni e la ricchezza delle relazioni
esterne rappresentano per
essa una risorsa, e non certo un vincolo. Proprio
per questo, ascolto con
fastidio chi profetizza l'esaurimento del fenomeno
mafioso, descritto come
arcaico e incapace di sopravvivere nel mondo moderno.
Si tratta di una
pericolosa fola, già raccontata in diverse
occasioni, alla fine
dell'Ottocento come negli anni Sessanta del Novecento,
in Sicilia e in
America, generalmente prima di ogni rinnovata
escalation del nemico. La
mafia un giorno finirà, ma non per mano
della modernità, cui in genere essa
si è adattata benissimo. La mafia finirà
quando non funzionerà più, e quando
gli ambiziosi e i facinorosi dovranno prendere
atto che essa non funziona.
Dopo le discontinuità segnate dall'era
Falcone e dall'era Caselli, nonché
dal collasso della Prima Repubblica, sarà
il contesto esterno, e non tanto
la forza dell'organizzazione, a decidere del suo
futuro. È proprio qui che
le cose prendono una brutta piega. Depone molto
male la grande ostilità per
il concetto stesso del vincolo legale nutrita
da questo governo, e dai
gruppi politicoaffaristici che (insieme a un massiccio
flusso di opinione
pubblica) lo sostengono. Ho l'impressione che
qualcuno in quel settore senta
un grande bisogno di cose analoghe alla mafia:
certo non di stragi, ma di
gruppi che facciano girare gli affari, che lavorino
alla mediazione tra
affari e politica, che riabituino le istituzioni
e la società civile
all'idea che un "certo" tasso di illegalità
sia "necessario". Sul medio
periodo, questi apprendisti stregoni potrebbero
provocare risultati ben più
nefasti di quelli (già deteriori) che oggi
auspicano. L'antimafia ha
ottenuto grandi risultati; ma proprio per questo
è chiaro che l'attenuazione
dell'impegno collettivo in questa direzione rischia
di riportarci in mari
assai perigliosi. La nostra discussione, vorrei
dirlo con chiarezza, non è
scientifica, ma propriamente politica. Essa mira
a preparare l'opinione
pubblica agli eventi futuri.
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