segnali dalle città invisibili
  Giro93 Movimento
"L'orgoglio di non doversi vergognare"

intervista a Helena Velena a cura di angelo luca pattavina. foto di giacomo alessandro fangano

Helena Velena, transgender, hackeratrice, agitatrice televisiva, polemista irrefrenabile. E’ autrice di libri come: “Culture contro”, “Dal cybersex al transgender” e “Il popolo di Seattle”.

Allo stato attuale qual’è la situazione del movimento GLBT (Gay-Lesbo-Bisex-Transessuale)?
E’ in uno stato di impasse pericolosissimo. E’ in corso una rottura interna molto pesante tra chi attribuisce all’appartenenza a questa scena una valenza politica chiaramente di sinistra (anche se il concetto di sinistra, è giusto precisarlo, non si riferisce ai partiti, nè a Rifondazione nè tantomeno ai DS, ma una sinistra intesa come militanza che presta attenzione alla lotta per i diritti civili, che si muove e che in generale rispecchiail sentire del movimento no-global) e chi, invece, rivendicala de-politicizzazione di tutto questo e che vuole vivere il Pride come un semplice momento di festa, una giornata di carnevale, in cui semplicemente ci si diverte, una posizione che però non fa altro che scadere nella banalizzazione della logica del divertimento e richiamare poi tutta una serie di parole d’ordine come “imprenditoria”, “mercato”, etc...

Ed è proprio contro questa logica della “mercificazione” del movimento che chi appartiene al tuo ordine di idee vuole opporsi?
Sì. Succede, però, che saltano fuori imprenditori, tanto per cambiare, come uno di Milano proprietario di 14 locali tra discoteche, pub, bar, frequentati da omosessuali, che a un certo punto dice che se il Pride di Milano diventa troppo radicale in termini simbolici, troppo orientato a sinistra, lui toglie il patrocinio, e quindi 14 locali che si tirano fuori per chi organizza il Pride è un problema. Capirai allora che all’interno di un movimento che si pone il problema di dover affrontare la situazione in maniera politica e si ritrova invece a dover gestire l’economia interna ad un livello strettamente economico, allora diventa una cosa tragica. Per anni e anni abbiamo fatto tutto senza bisogno di sponsor, non si capisce perchè improvvisamente adesso sia diventato necessario. Penso ad un’esperienza come quella di Radio Onda Rossa che adesso sta facendo degli spot pubblicitari in cui dice: “esistiamo dal 1977 e non abbiamo mai trasmesso pubblicità”. L’unico spot che trasmettono è quello in cui si dice: “noi non facciamo spot dal ‘77”. Nonostante questo però, qualitativamente Radio Onda Rossa è una radio valida ed avanzata, in cui si può ascoltare Drum ‘n Bass, musica sperimentale, Death Metal, le nuove frontiere dell’elettronica, dove puoi ascoltare Loredana Bertè. Radio Onda Rossa è capace di darti tutto questo, e va avanti senza pubblicità.
A Roma, invece, il concerto del Pride era in forse perchè era stata chiusa la Mucca (la Mucca Assassina è la serata di autofinanziamento) ma gli organizzatori invece di dire: “adesso ci cerchiamo un grosso sponsor e facciamo una cosa megagalattica”, hanno deciso, o di non farlo affatto, che può sembrare una perdita ma che ha una sua dignità e coerenza politica, o di cercare un compromesso dove tutti partecipano riducendo i costi. Sono state fatte due serate di autofinanziamento che hanno permesso di raccogliere i fondi necessari per fare un gran concerto gratuito, riuscendo quindi a gestire i livelli economici della situazione essenzialmente con un lavoro militante.

Purtroppo la “commercializzazione” è un fatto connaturale a tutte le situazioni che tendono verso una maggiore visibilità. Più si esce allo scoperto più si cade in pasto al mercato.
Sì, lo so. Il vero problema è che quando nasce il “germe” insano di darsi in pasto al mercato automaticamente si comincia a pensare che le regole siano quelle e che tutte debbano essere accettate in toto. Io, invece, sto cercando di percorrere una strada diversa che è quella di dire: “ho deciso consapevolmente di andare incontro al mercato, però io voglio portare in quel mercato un discorso politicamente destabilizzante, profondo, intenso, con dei contenuti”. Il fatto è che spesso tendiamo a polarizzare le cose, mettendo da un lato i “puri” e dall’altro “quelli-che-si-sono-dati-completamente”. Io invece sto cercando di fare questa strada mediana che però non è un compromesso.

Da un punto di vista artistico, come metti in azione questi principi?
Attraverso la musica per esempio. Adesso sto suonando della thecno, ho già preparato quattro pezzi: uno anticlericale, uno sulle modificazioni del corpo in chiave sessuale, uno sulla mancanza di comunicazione in termini sessuali e sull’esaltazione della masturbazione, un altro sull’uso delle droghe in termini positivi.
Se si pensa che la thecno è quasi tutta musica strumentale e che viene consumata praticamente come ritmica per ballare, e che ora come ora anche il fenomeno dei cantautori tanto in voga negli anni ‘70 e ‘80 è tramontato completamente e le parole in musica non ci sono più, i testi della nuova musica leggera italiana sono improponibili, sono solo parole e basta, non c’è nessun tentativo di andare a comunicare delle situazioni, allora anche qui non sto facendo nessun compromesso, ma sto mischiando gli ingredienti in una forma diversa cercando di coniugare una musica che sia fortemente ballabile, che in questo momento è quella che va per la maggiore, ma con dei testi, rigorosamente in italiano, molto pregnanti e molto aggressivi e che facciano ragionare, pensare e prendere posizione. Quello che io vorrei ottenere come risultato è che si cominci a pensare che c’è una forma di forte opposizione culturale che si esprime sia attraverso la musica sia attraverso altre forme d’arte.

Quanti cortei sono previsti in questi giorni in tutta Italia?
Ci sono quattro Pride principali, che sono quelli di Padova e Milano che sono già stati fatti, adesso c’è quello di Catania e poi il giorno dopo a Roma. Forse anche Genova riuscirà ad organizzarne uno dopo.

Chi tipo di partecipazione pensi che ci sarà domani a Catania?
Io ho partecipato a quello dell’anno scorso a Catania ed è stato bellissimo. Il Pride stà diventando non più solo un momento per gay ma un momento di lotta per riuscire a rivendicare tutta una serie di diritti, anche politici, su temi come la fecondazione, le coppie di fatto, le problematiche del lavoro nel mondo della globalizzazione, ecc.
Mi auspico che quest’anno ci siano di nuovo tutti i partecipanti dell’anno scorso, i Centri Sociali, Rifondazione, gli anarchici, e tutta una serie di altre realtà, e spero che il movimento cresca. Con la preoccupazione però di una progressiva ma sempre più netta esclusione di una parte della realtà GLBT che invece sostiene che questa sia una cosa controproducente e che non si debba più fare, spingendola sempre di più in direzione di una logica che vuole invece solo che si organizzino delle feste, come in Inghilterra dove il Pride si è scisso in due, e in cui quelli più radicali lo organizzano così come è sempre stato rifacendosi allo Stonewall, mentre quelli più depoliticizzati e legati ad un processo più imprenditoriale fanno una sorta di carnevale giamaicano senza contenuto.

Questo tipo di cortei hanno lo scopo di provocare ma soprattutto di dare maggiore visibilità ad una realtà come quella omosessuale. Non pensi però che così come poi si sviluppano non facciano altro che rafforzare un certo tipo di stereotipo degli omosessuali piuttosto che dare visibilità alle rivendicazioni che con questi cortei si vogliono ottenere?
In realtà il corteo è solo un momento, ed ha uno scopo preciso, cioè quello di affermare la propria visibilità. Per assurdo però quello che succede è che la partecipazione di molti gay e lesbiche catanesi non ci sarà perchè temono di esporsi troppo nell’ambito della propria città. Allora cosa succede il corteo in se stesso serve anche a vincere questo timore, ribadendo il proprio orgoglio omosessuale, l’orgoglio di non doversi vergognare nell’ammettere la propria omosessualità, un orgoglio che è anche una presa di posizione politica rispetto alle discriminazioni che questa realtà è costretta ancora subire. Ed ogni anno è un passo avanti rispetto al passato.
Da circa un anno sto cercando di portare avanti una proposta, nata anche dai miei viaggi in Sicilia dopo aver verificato certe dinamiche sociali, certe feste popolari che sono dei veri e propri riti pagani che riescono a creare un senso di coinvolgimento di grande intensità; io sto cercando di proporre un secondo appuntamento annuale, in una data diversa da quella del pride, che sia un momento di festa privata del proprio orgoglio individuale, e non collettivo come per il pride, una giornata in cui si celebrino i matrimoni omosessuali, una giornata in cui i travestiti escano con abiti femminili e le donne usino abiti maschili, un giorno in cui le persone che stanno cominciando un percorso transessuale lo comunichino a parenti ed amici, e che tutte le persone facciano il loro “coming-out”, un giorno per organizzare delle feste in casa da vivere come un momento di gioia da condividere con chi ci vive vicino. Un momento più intimo e discreto che va dall’interno verso l’esterno, dalla sfera privata alla sfera pubblica.
E’ un momento anche che vuole servire a rafforzare la consapevolezza che quello che uno vive non è un problema, e se riusciamo noi per primi a non viverlo come un problema allora sarà molto più semplice per chi ci vive accanto accettarlo e non porselo a sua volta come problema.
La strada da seguire è questa: la moltiplicazione dei Pride e la creazione di questo secondo momento di rafforzamento del proprio orgoglio omosessuale.

 

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