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“Taglia-deficit”: patrimonio pubblico addio

di vanessa viscogliosi

Il danno è stato fatto. E non sono serviti gli appelli, le petizioni, le accese e colorite polemiche tra il “sottosegretario senza deleghe” Sbarbi e il suo diretto superiore, il ministro Urbani.
Il decreto salva-deficit (ma perdi-tutto il resto), presentato da Tremonti per rinsaldare le casse dello Stato, è stato convertito in legge dalla Camera lo scorso 14 giugno.
Secondo il ministro dell’Economia i conti pubblici saranno alleggeriti dai 730 milioni di euro che lo Stato riceverà grazie a questa operazione di “svendita”.
Ma cosa dice nello specifico il taglia-deficit di Tremonti? Ebbene il provvedimento prevede che il nostro patrimonio potrà essere ceduto totalmente a due società per azioni: «Patrimonio dello Stato Spa» e «Infrastrutture Spa».
La «Patrimonio dello Stato Spa» nasce “per la valorizzazione, gestione e alienazione del patrimonio dello Stato”. I beni immobili del patrimonio italiano possono finire quindi nelle sue grinfie, ma ancor peggio, con un ulteriore decreto Tremonti, possono passare di proprietà all’«Infrastrutture Spa», aperta anche al capitale privato.
Perfino i beni artistici e storici potranno essere venduti: l’importante è che il ministro dei Beni Culturali, ovvero Giuliano Urbani, sia d’accordo e faccia un autografo…
Non viene esclusa pertanto l’eventualità che un monumento o un bene ambientale di tipo pubblico possa essere venduto al migliore offerente, come hanno ipotizzato l’opposizione e le 13 associazioni italiane a difesa dell’ambiente e dei beni culturali (Legambiente, Fai, ItaliaNostra, Comitato per la bellezza, Associazione Bianchi Bandinelli, Greenpeace, Wwf, Inu, Lac, Vas, Marevivo, Lipa, Lav).
«Il patrimonio artistico italiano» sostiene Urbani «non corre nessun rischio e che lancia l’allarme non conosce le norme».
Carlo Azeglio Ciampi le norme le conosce molto bene ed è per questo che il 15 giugno, parallelamente alla promulgazione della legge Tremonti, ha inviato una lettera a Berlusconi per ricordare ai nostri politici che bisogna «assicurare che la valorizzazione del patrimonio dello Stato, affidata alla Patrimonio spa sia coerente non solo con i principi di economicità e di redditività ma anche con il rigoroso rispetto dei “valori” che attengono alle “finalità” proprie dei beni pubblici, intese alla luce dei principi costituzionali che riguardano la tutela dei predetti beni e, in primo luogo, di quelli culturali ed ambientali».
Le posizioni del Presidente della Repubblica hanno tranquillizzato gli animi più turbolenti, persino quello di Sgarbi.
La costituzione italiana, come ha giustamente ricordato Ciampi, sancisce il principio della protezione del nostro patrimonio pubblico. Ed è per questo che l’Ulivo, quando era alla maggioranza, aveva proposto la privatizzazione soltanto di alcuni beni storico-artistici e in particolari casi. Innanzitutto i presupposti erano diversi: si partiva infatti dal concetto dell’inalienabilità del patrimonio culturale. Un palazzo pubblico però poteva passare al privato solo se questo assicurava un concreto intervento e un reale godimento da parte del pubblico. In caso contrario sarebbe scattato l’annullamento del contratto stipulato tra le due parti. Inoltre si sottolineava che alcune categorie di beni, come il patrimonio archeologico o i musei, non potevano in alcun modo essere venduti.
Se lo scopo principale di Tremonti è quello di “incassare” soldi non basterà di certo vendere un vecchio palazzo o un altro edificio di scarso valore per un semplice motivo: il ricavo sarebbe minimo.
Sarebbe corretto stilare una lista dei beni inalienabili come auspica mezza Italia. Parliamo di patrimonio pubblico o no? Il Bel Paese deve sapere che cosa rischia di perdere e deve intervenire attivamente per la tutela del patrimonio storico-artistico e ambientale, visto che questa impresa risulta ostica allo stesso ministro della Cultura.

 

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