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Morti di NAJA: il caso di Giovanni Conti

di Rocco Rossitto

C’è una guerra silenziosa in Italia che dal 1976 al 2000 ha ucciso 11mila ragazzi di leva e militari in carriera in tempi di pace. 11mila morti in tempi di pace. Morti sospette, per cause sconosciute o assurde. Talmente assurde che è difficile arrendersi alla versione ufficiale data dall’esercito italiano e quindi dallo Stato Italiano. La verità non viene mai fuori, sono misteri, silenzi verità che devono essere taciute. Nel 1983 nasce un associazione per le vittime e le famiglie dei caduti in tempi di pace (A.N.A.V.A.F.A.F.) che assiste le famiglie nei processi, processi che però non arrivano mai alla fine, arrivare al dibattimento è già un successo.

Concetta Conti, segretaria della associazione, racconta dei numerosi casi di morte sospetta, in cui non si è mai raggiunta la verità. Un esempio scandaloso, che crea rabbia e dolore solo nel sentirlo raccontare a distanza di anni, ma soprattutto che crea sfiducia nello Stato Italiano.
E’ il 1979, quando nella base Nato di Vicenza c’è una festa di fine anno, una festa organizzata da superiori, una festa in cui il sottoufficiale Conti Giovanni, viene chiamato per dare una mano. Nella notte la famiglia verrà chiamata al telefono e gli si annuncerà la morte del figlio. Cosa è accaduto quella sera? La versione ufficiale parla di congestione a causa di un bagno in piscina.
La ricostruzione dei fatti parla di numerose persone in stato di ubriachezza che involontariamente spingono il sottoufficiale in acqua il quale, arrabbiato per l’accaduto, esce fuori, ma poi, ritornato sui suoi passi decide di farsi una nuotata e quel punto gli viene una congestione.
Bugie. La madre non crede a questa versione dei fatti, per il semplice motivo che il figlio, a causa di un trauma da piccolo, ha paura dell’acqua e non sa nuotare, impossibile quindi che abbia deciso di rituffarsi. L’autopsia accerta che nei polmoni del ragazzo non c’è una goccia d’acqua, né nello stomaco del ragazzo c’è del cibo, per cui la tesi della congestione si smonta da sola. Sul corpo del ragazzo vengono riscontrate ferite e contusioni. Il processo non si fa, la versione ufficiale resta questa. La madre non si dà per vinta e arriva a parlare anche con il presidente Pertini. Nulla da fare, tutto viene messo a tacere e il caso si archivia. La signora riceve denunce per diffamazione.

La madre di quel ragazzo è la signora Conti dell’ A.N.A.V.A.F.A.F che oggi (19/06/2002) alla notizia arrivata da Messina, dove il gip ha accolto la tesi del pm e dall’avvocato di parte civile nel caso Malgioglio, rinviando a giudizio un commilitone del ragazzo trovato morto, commenta: “Spero che si vada avanti, ma è dura, molto dura, speriamo che gli avvocati vadano avanti e che nessuno li fermi, speriamo che la giustizia faccia il suo corso, i nostri figli morti con la divisa non sono carne da macello”.

Perché un muro di gomma si erge insormontabile quando si verificano casi di morte all’interno di caserme? Perché la verità non viene mai realmente e fino in fondo accertata?

 

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