segnali dalle città invisibili
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L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello

di Angelo Luca Pattavina

Titolo: “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”
(“The man who mistook his wife for a hat”)
Autore: Oliver Sacks
Edizione: Biblioteca Adelphi (1999)
Anno di prima pubblicazione: 1985 (Oliver Sacks)
Note: Traduzione di Clara Morena

Perdite. Eccessi. Trasporti.
Il mondo dei semplici. E dei malati.
Storie terribili, delicate, appassionanti, assurdamente reali.
Una galleria di personaggi unici dove è possibile incontrare il marinaio perduto, Ray dei mille tic, l’artista autistico, il melomane enciclopedico, gente senza propriocezione e tutti i fantasmi (ir)reali della mente. Una serie di casi clinici (estremi) raccontati non solo con rigore scientifico ma anche come fossero fiabe romantiche tratte da Mille e una notte . La “scienza romantica” del maestro Lurija unita alla “neurologia da strada” di Parkinson.
Un neurologo, con grandi capacità di scrittore e drammaturgo, che racconta di un mondo dove la malattia (mentale) è un baratro caotico, un abisso infernale; un mondo, però, dove a volte la stessa malattia è trascesa, sostituita paradossalmente da una nuova salute, un nuovo stato mentale sanamente malato.
Del resto, gli animali si ammalano, ma solo l’uomo cade radicalmente in preda alla malattia.

“Per riportare il soggetto - il soggetto umano che soffre, si avvilisce, lotta - al centro del quadro, dobbiamo approfondire la storia di un caso sino a farne una vera storia, un racconto: solo allora avremo un chi oltre a un che cosa, avremo una persona reale, un paziente, in relazione alla malattia.”

«Egli è, per così dire, scrissi nei miei appunti, isolato in un singolo momento dell’esistenza, con tutt’intorno un fossato, o lacuna di smemoratezza... E’ un uomo senza passato (e senza futuro), bloccato in un attimo sempre diverso e privo di senso.»

«Il dottor P. era un eminente musicista... Talvolta, quando si presentava uno studente, il dottor P. non riconosceva la sua faccia. Appena lo studente parlava, lo riconosceva dalla voce. Simili incidenti si moltiplicarono causando imbarazzo, perplessità, paura - e a volte situazioni comiche. Perchè al dottor P. capitava sempre più spesso non solo di non vedere le facce, ma anche di vederle là dove non c’erano... »

«... Per essere noi stessi, dobbiamo avere noi stessi... dobbiamo ripetere noi stessi, rievocare il racconto di noi stessi. L’uomo ha bisogno di questo racconto, di un racconto interiore continuo, per conservare la sua identità, il suo sé... »

 

Il Progetto
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