|
Giro89
Movimento
L'infinita tristezza di Moni Ovadia
Anticipazione dell'appello
dello scrittore pubblicato da Vita magazine in
edicola. Ebreo di sinistra, messo sotto pressione
dai compagni di fede e da quelli di partito, dice...
Moni Ovadia è stanco,
triste, sfiduciato. "Non dormo più
da giorni e non ho più notti. Piango ogni
morto", dice. Da sinistra lo accusano di
stare comunque "dalla parte degli ebrei"
("si chiama antisemitismo, pur se strisciante",
fa notare), nella sua stessa comunità di
avere amici palestinesi. Come Feisal Faer, con
il quale porta in giro il Canto per la pace: canzoni
e spettacolo per ebrei, musulmani e cristiani
recitato in diverse lingue, ma con le stesse musiche.
Quelle del dialogo.
Vita: Che impressione le fa veder bruciare la
Chiesa della Natività, il simbolo della
fede cristiana?
Moni Ovadia: Un'impressione enorme. Un luogo caro
all'umanità che va in fumo è tragedia
d'infinita tristezza. Luoghi santi, che dovrebbero
essere luoghi di rispetto per tutti, sono in preda
all'odio e alla violenza. Nessun uomo in armi
dovrebbe essere lì: né i tanzim
palestinesi dentro, né i tank fuori. Ho
visto altri luoghi di preghiera sventrati e altri
uomini uccisi mentre pregavano, in Israele. Basta.
Vita: Non le chiedo analisi politiche o elenco
di torti e ragioni, ma la sua posizione su questa
guerra, sì.
Ovadia: Ci sono ragioni antiche, complesse, impossibili
da ripercorrere ora, mitologemi di entrambe le
parti. La rimando a un bellissimo libro, però,
Vittime dello storico Benny Morris (Rizzoli editore,
ndr). Quelle recenti, invece, sono più
semplici da inquadrare. Gli israeliani hanno una
paura ancora parzialmente reale, quella della
sicurezza dello Stato d'Israele e della sua messa
in discussione da gran parte del mondo arabo,
che per cinquant'anni ne ha chiesto la distruzione.
Hamas vuole questo. Chi mette le bombe nei bar
e nelle piazze vuole distruggere fisicamente Israele,
non vuole cacciarlo. Poi c'è l'errore gravissimo
della politica di sicurezza israeliana, che prolunga
l'occupazione dei territori palestinesi, che ne
vessa la popolazione secondo modelli da occupazione
militare straniera. Da un lato, l'orrore del genocidio
del popolo ebraico, ancora vivo, dall'altro un'occupazione
militare odiosa e vessatoria. La politica degli
insediamenti, la difesa a spada tratta dei coloni
e la strozzatura dello Stato palestinese hanno
creato esasperazione, disperazione, odio. La paura
porta alla repressione, l'esasperazione porta
alla guerriglia. Ma il terrorismo non è
figlio di questi processi, ma di altre e più
oscure logiche: il terrorismo c'era con Rabin
e c'è con Sharon, c'è con la guerra
e c'era in tempo di pace. Il terrorismo non cerca
e non vuole giustificazioni, si alimenta da sé,
anche se nell'odio trova terreno fertile per crescere.
Ma i terroristi sono nemici di entrambi i popoli
e Stati.
Vita: Arafat, secondo lei, è un terrorista?
Ovadia: Arafat non è un terrorista e chi
dice questo è un pazzo. Arafat è
il democratico e legittimo rappresentante del
suo popolo, ma l'Anp deve trovare il coraggio
di togliere ogni spazio ai terroristi. Il mondo
palestinese non è un blocco monolitico,
come non lo è il mondo ebraico. Fin quando
questi mondi non si riconosceranno prima sul piano
etico e poi su quello politico, non ci sarà
pace. Comunque, le schematizzazioni e le ideologizzazioni
del dramma mediorientale le pagano per primi i
più deboli, i palestinesi. I Paesi arabi
esprimono solidarietà parolaie, la sinistra
europea altrettanto. Gli israeliani si sono ritirati
dal Libano, i siriani non mi pare si siano ritirati
dalla valle della Bekaa. Ha visto manifestare
contro l'occupazione militare del Libano? Protestare
in sede Ue o all'Onu?
Vita: I filo palestinesi e i filo israeliani scendono
in piazza. serve?
Ovadia: Dico "basta manifestazioni!"
Voglio atti e aiuti concreti ai due popoli. Dall'altro
vedo con dolore una sinistra, la mia sinistra,
miope e schiava di pregiudizi ideologici, che
vede solo gli epifenomeni e non chi c'è
dietro, non le psicologie e i comportamenti individuali.
Parlo di uomini fragili, spaventati, egoisti,
israeliani come palestinesi: con loro abbiamo
a che fare. Al movimento no global, che sento
per tante cose vicino a me, voglio dire questo,
pacatamente: fatevi carico della complessità
del mondo, non generalizzate e non banalizzate.
Io non credo che Bertinotti sia un antisionista
e penso che la contestazione di parte della comunità
ebraica romana alla sede di Liberazione sia stata
un errore, ma non posso accettare che dei presunti
pacifisti scendano in piazza vestiti da kamikaze.
Ci servono Gandhi e Martin Luther King, non dei
nuovi kamikaze. Vorrei che ci aiutassero a costruire
una pace fredda, anche gelida, ma la pace. Subito.
|