segnali dalle città invisibili
 

Giro89 Girogirotondo se casca la scuola...
La riforma sulla scuola
(di Domenico Starnone), da Granello di sabbia n.43, by Attac Italia

La riforma Moratti ci presenta come nuova la scuola che già abbiamo, salvo
piccole modifiche che ne complicano i problemi e rischiano di affrettarne il
degrado.
La sua caratteristica più vistosa è la separazione netta tra istruzione
liceale e istruzione professionale. Il che significa che la vecchia
separazione registrata dal "Cuore" di De Amicis tra coloro che sono votati
per privilegi materiali e immateriali a diventare senatori del regno (una
minoranza, naturalmente) e coloro che invece sono destinati a sgobbare per
la vita in ruoli decisamente più vili (la maggioranza) viene sancita senza
nemmeno il corredo dei buoni sentimenti deamicisiani. Inoltre il canale dell
'istruzione professionale - cioè la gran parte dell'attuale scuola italiana,
pare di capire - sarà in massima parte gestita dalle regioni. Come a dire
che l'autonomia scolastica diventerà sempre più reale nei confronti del
governo centrale e sempre meno praticata nei confronti delle aziende locali
e delle pressioni territoriali di ogni tipo.
Altro elemento rimarchevole della gestione Moratti è l'erosione della
laicità della scuola. Il centro sinistra a suo tempo ci ha messo del suo, ma
il governo di centrodestra ne fa un momento decisivo: tutela come può
insegnanti di religione e insegnanti delle private, pone la scuola pubblica
sotto la guida di monsignor Tonini, progetta di saldare insieme sapere e
morale, morale cattolica naturalmente. Cosa preoccupante in un momento in
cui nelle aule sono sempre più presenti i figli degli immigrati provenienti
da ogni parte del mondo e le religioni hanno sempre più peso nei conflitti
planetari.
La Moratti intanto cerca consensi tra gli insegnanti. Promette di
promuoverli a categoria contrattualmente autonoma, cosa che sembra un regalo
e invece è solo un ulteriore indebolimento sindacale. Vuol dar loro un po'
più di danaro sulla base del merito, assecondando la divisone tra piccoli
capi e gente che sgobba nelle classi, ma nessuno sa veramente cos'è un
insegnante meritevole e quali caratteristiche deve avere, sicché si finirà
per esibire i soliti titoli, le pubblicazioni e soprattutto la disposizione
all'obbedienza. Ma per gli insegnanti, in realtà, le cose non vanno affatto
bene: la riforma del ministro Moratti degli organi collegiali intende
imporre a dirigenti scolastici, docenti e studenti il controllo delle
famiglie, le uniche vere protagoniste della sua gestione della scuola
pubblica.
Quanto agli studenti, a loro viene prospettata una netta subordinazione da
ottenersi con una ampia sventagliata di minacce: la valutazione del
comportamento peserà alla pari con la valutazione del profitto (sette in
condotta); i livelli di apprendimento saranno ossessivamente sottoposti a
verifica (il che significa moltiplicarsi di test; esami biennali;
ripetenza); la scuola insomma si preoccuperà soprattutto di disciplinare
punendo e smistando i buoni da una parte e i cattivi dall'altra, i ricchi da
una parte, i poveri dall'altra, in linea con il suo classismo dichiarato.
Unico neo: non ci sono soldi, pare, nemmeno per varare una non riforma che
quasi quasi abolisce persino l'obbligo, oltre a rinunciare ad elevarlo. La
Moratti infatti spara cifre, Tremonti le tira le orecchie. Ma non c'è da
goderne. Se questo disegno dovesse risultare politicamente impraticabile e
inutilmente costoso, cosa probabilissima, il rimedio è già pronto nei fatti.
Il centrodestra sta incoraggiando in tutti i modi il decollo della scuola
privata, la trasformazione dell'istruzione in affare molto redditizio. Sarà
quella alla fine la vera scuola. La scuola pubblica vivacchierà fiaccamente,
all'americana, come ghetto per bianchi poveri e gente di colore.
E' evidente perciò che per chi vuole una scuola pubblica di qualità per
tutti, rigorosamente laica, che curi la crescita della persona e non la sua
riduzione a ruolo lavorativo secondo le necessità e le pressioni aziendali,
ce n'è abbastanza per rendersi conto che la partita è grossa e che è
necessario rimboccarsi le maniche.

 

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