segnali dalle città invisibili
 

Giro88 Palestina aprile 2002
"Abbiamo visto i cecchini sparare sui bambini"

di raffaella bolini, 12 aprile: messaggio inviato dopo il ritorno da Gerusalemme

Abbiamo visto i cecchini sparare sui bambini, uccidere una donna che
usciva dall'ospedale, sparare sui barellieri e i volontari che la soccorrevano.
Abbiamo visto rastrellamenti di interi quartieri, i carri armati a
bloccare le strade, le minacce via megafono di far saltare tutte le case. Abbiamo
visto venire giù una casa mitragliata e un uomo cadere insieme alle
macerie, con la schiena spezzata. Abbiamo visto i soldati strapparlo dalle mani
degli infermieri e portarselo via. Desaparecido.

Abbiamo visto una popolazione sotto coprifuoco ventiquattro ore su
ventiquattro, senza possibilità di uscire di casa, senza cibo, senza
latte per i bambini, spesso senza acqua e senza luce. Abbiamo visto sparare
sulle ambulanze. Abbiamo saputo di persone morte da due giorni che nessuno
poteva andare a prendere. Abbiamo visto una fossa comune scavata nel parcheggio dell'ospedale, perché mancava il gas alle celle frigorifere. Abbiamo
visto i cecchini sparare anche su quell'atroce funerale, con i corpi calati
nella terra, qualche coperta pietosa a coprire il fondo. Noi intorno, con le
pettorine bianche, a cercare di proteggere chi scavava.

Ci hanno detto che siamo unilaterali, pacifisti a senso unico. Siamo
unilaterali, sì, e lo saremo ancora: unilateralmente dalla parte dei
diritti umani. Mentre eravamo all'ospedale di Ramallah, non stavamo solo dalla
parte dei palestinesi, vittime di una aggressione che straccia qualunque
diritto umano e umanitario. Ci sentivamo di stare a difendere anche la dignità
di Israele che il suo esercito sta calpestando e la sua stessa sicurezza,
che il governo di Sharon sta mettendo a serio rischio. A Ramallah sono
venute a trovarci un gruppo di ragazze israeliane di Ta'Yush, il giovane
movimento pacifista che porta aiuti umanitari nei villaggi palestinesi isolati
dall'occupazione. Sono una minoranza, certo. Contano poco. Nei paesi in
guerra i pacifisti sono sempre minoranza. Ma sono loro, a tenere aperta la porta
al futuro del loro paese. Di Israele, un paese malato.

L'insicurezza -che è sempre stata, comprensibilmente, un dato fondante
della identità israeliana- è manipolata dal governo di destra fino a farla
diventare paranoia. Si può aiutare una società ad affrontare il dramma
del terrorismo mettendo in campo razionalità e politica. La razionalità
direbbe che umiliare Arafat, distruggere la leadership dell'ANP, portare all'
estremo la disperazione dei palestinesi non aiuta a combattere il
terrorismo. Lo aiuta a crescere. Si può, al contrario, come sta facendo
Sharon, far leva sulla paura per scatenare mostri. Militarismo,
aggressività, perdita di lucidità non sono effetti obbligati. E penso
con dolore a cosa può essere una società dove ragazzi di venti anni -una
intera generazione- viene spedita nei Territori a commettere barbarie contro
donne, ragazzi, persone anziane. Credendo di combattere una battaglia giusta.

Spero che le comunità ebraiche nel mondo, sapranno dare, come è successo
altre volte, un contributo di lucidità al paese che amano. Spero che
siano capaci, in un momento difficile, di offrire un contributo di saggezza.
Trovo pericoloso banalizzare, usurare il concetto di antisemitismo. L'
antisemitismo è cosa seria. Esiste e sta riprendendo fiato, nell'estrema
destra, soprattutto in quella Europa centrale e orientale devastata
dall'ultimo decennio. Gettare accuse di antisemitismo a tutti coloro che si
oppongono alla politica dei governi di Israele confonde le acque,
produce una confusione di cui gli antisemiti veri possono trarre perfino
giovamento. State attenti, ebrei della diaspora, per favore. State attenti a non
confondere amici e nemici. Quelli veri, e comuni. Quelli che odiano voi,
e anche tutti gli arabi, e tutti i diversi, e tutti i democratici.

E stiamo attenti, tutti. Stiamo attenti a non trasferire guerre di
religione a casa nostra. Le comunità arabe sono sotto pressione, le comunità
ebraiche anche. Ma qui, lontano dalla guerra, possiamo permetterci il dialogo, la
comunicazione. Qui dobbiamo dare l'esempio della convivenza. E' una
responsabilità che tocca a tutti. A tutti, nessuno escluso. Se vogliamo
gettare acqua, e non benzina, sul fuoco.

Di benzina, nel mondo, ne è stata gettata abbastanza. La crociata dell'
occidente contro il mondo arabo. La sostituzione della guerra alla
politica. La rinuncia ai diritti in nome della lotta globale al terrorismo.
Benzina, materiale esplosivo.

Eccoli, i risultati. Ecco cosa produce il mondo governato dalla forza e
dai poteri forti. Ecco cosa produce il mondo che pensa alla sicurezza contro
gli altri e non con gli altri. Sono sicuro se il mio avversario si sente
sicuro, se non sente il fiato sul collo della mia minaccia, se sente che non
sono un nemico -questo ci aveva insegnato fra gli altri Olaf Palme prima di
essere ammazzato, negli anni in cui credevamo saremmo tutti morti di bomba
atomica.

Dove sono finite quelle riflessioni, il punto più avanzato del pensiero
europeo del novecento? In quale cassetto sono state chiuse, anche dalla
sinistra, quella che a un certo punto ha cominciato a votare per la
guerra e a farle, le guerre? Con angoscia, senza protervia, senza pretesa di
flagellazioni pubbliche, ma come facciamo a non chiedere che la
ricostruzione del tabù della guerra -fatto a pezzetti negli ultimi anni-
ritorni ad essere priorità assoluta, del pensiero e dell'azione di una
sinistra che voglia dirsi tale?

In Palestina, in questi giorni, non abbiamo assistito solo all'ultima
puntata di un conflitto che dura da mezzo secolo. No. C'era qualcosa di
nuovo. E di terribile. Per questo in Palestina, oltre al pacifismo
tradizionale c'era il movimento di Genova, di Porto Alegre, il movimento
per i diritti e la giustizia globale.

Il fatto nuovo è che, nella guerra di Sharon, le crudeli violazioni dei
diritti umani che sono proprie di tutte le guerre diventano oggi legali,
legittime -quasi dovute. Dopo l'11 settembre, si sta nei fatti
riscrivendo un nuovo corpus di diritto internazionale dove tutto è permesso ai
forti, dove tutto è legittimo per i potenti. La comunità umana ci aveva messo
millenni, a provare a darsi regole che civilizzassero i conflitti. Si
era dovuti passare per due guerre mondiali e per il nazismo. E' bastato un
giorno di settembre per ritornare al punto di partenza. O siamo capaci a
ribellarci adesso contro la guerra globale permanente o il mondo che
verrà assomiglia all'incubo che noi, pacifisti e disobbedienti di Action for
Peace, abbiamo intravisto e non riusciamo a toglierci dalla testa -che
ci tiene ancora lì, davanti a un ospedale a cercare di fermare a mani
alzate un carro armato.

 

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