Giro87
Movimento
Un'occasione chiamata terrore
Noam Chomsky: «Ciò
che stiamo vivendo oggi, nella seconda fase della
guerra al terrorismo, non ha nulla a che fare
col terrorismo. L'11 settembre fornisce agli Usa
condizioni ideali per la repressione, interna
ed esterna»
a cura di Patricia Lombroso,
Il Manifesto 29 marzo 2002
«Ciò che stiamo
vivendo oggi, nella seconda fase della guerra
al terrorismo degli Stati uniti, non ha nulla
a che vedere con la lotta al terrorismo. Non esiste
più neppure ciò che poteva apparire
come "il pretesto" della prima fase.
L'attacco dell'11 settembre ha fornito agli Stati
uniti in primis e ai paesi democratici del resto
del mondo la cosiddetta window of opportunity,
ovvero il momento propizio per porre in atto tutta
una serie di misure legislative repressive, secondo
una pianificazione già stabilita in precedenza.
Una manipolazione che crea sensazione di paura,
preoccupazione per la propria sicurezza. Non è
casuale la mano libera di Israele a commettere
atrocità folli nei territori occupati;
la Russia sta commettendo atrocità in Cecenia;
la Turchia continua con la repressione nei confronti
dei kurdi». E' così che inizia l'intervista
de il manifesto con Noam Chomsky, appena tornato
dalla Turchia. L'«infamous» Chomsky,
l'americano «contro» per eccellenza.
Bush il Giovane, per la «fase
due» della cosiddetta guerra al terrorismo,
ha già pianificato la guerra all'Iraq,
all'Iran e ai paesi definiti come l'asse del male,
con l'impiego di miniatomiche. Perché ora?
Questa strategia è un aspetto
diverso della prima fase di «Guerra duratura».
Sta avvenendo qualcosa le cui motivazioni ed i
cui fini sono totalmente differenti da quanto
media e classe politica vogliono che sia compreso
nella sua interezza dalla popolazione americana,
che vive invece in uno stato di supina accettazione.
Come?
Innanzi tutto, gli «speechwriters»
di Bush si sono inventati questa parola, l'«asse»
fra Iraq e Iran, quando i due paesi sono in guerra
fra loro da vent'anni. La Corea del Nord è
stata aggiunta alla lista dei nemici da colpire,
cosicché il mondo islamico non possa trarre
la conclusione che la guerra degli Stati uniti
venga condotta contro l'Islam. Nel mirino di Bush
l'attacco all'Iraq sarà reale, ma per ragioni
che nulla hanno a che vedere con quanto ci viene
detto. A Bush è stato insegnato a memorizzare
le parole: il diabolico Saddam è in possesso
di armi di distruzione di massa contro la propria
popolazione. E' vero, ma Bush il Vecchio era presidente
in quel periodo. Lui stesso ha approvato e fornito
aiuti a quello che era considerato il miglior
«alleato per la democrazia». Ora l'ultima
cosa che gli strateghi di Washington desiderano
è che l'attenzione della popolazione venga
riposta alla vera guerra del terrore che, a livello
domestico, è stata posta in atto dal governo
americano. Che la conduce con ferocia contro la
sua stessa popolazione, giorno dopo giorno: con
i tagli fiscali ai ricchi e l'eliminazione delle
garanzie istituzionali dell'assetto sociale-sanitario
di Medicaid e Medicare. Lo scandalo Enron fa emergere
soltanto quanto fa comodo all'establishment, perché
il vero scandalo consiste nel fatto che legalmente,
cioè per mezzo delle istituzioni, il governo
americano ha defraudato milioni e milioni di dollari
a membri della sua stessa popolazione. Questo
è avvenuto con l'approvazione di Bush e
Cheney. L'attenzione dell'opinione pubblica va
diretta verso una guerra in Iraq o altrove, purché
non venga prestata attenzione a quanto è
rimasto del sistema di garanzie dei diritti sociali
e civili negli Stati uniti.
Bush ha dichiarato pubblicamente
che la cattura di Osama bin Laden è irrilevante.
E' un preludio all'attacco all'Iraq, dopo l'Afghanistan?
L'attacco militare all'Iraq è
reale.
Perché ora e con quali
contraccolpi? Gli Stati uniti miravano ad una
tregua in Israele per fare la guerra in Iraq.
La strategia seguita a Washington
è quella di approfittare di questo momento
di opportunità fornite dall'assenso e dalla
sudditanza del resto del mondo, compresi gli alleati
arabi ed europei, dopo l'attacco dell'11 settembre,
per attaccare l'Iraq senza curarsi delle reazioni
e contraccolpi. Perché coloro che pianificano
le strategie di guerra non prendono in considerazione
la storia ed il contesto storico. L'Iraq è
al secondo posto per il controllo delle riserve
di petrolio al mondo. Prima o poi c'era da aspettarsi
che sarebbero intervenuti. Bush non vuole lasciare
il privilegio di accesso alle riserve di petrolio
a Italia, Francia, Russia. E' chiaro che gli Stati
uniti non vogliono farsi sfuggire un'occasione
d'oro, che questi tempi di insicurezza concedono
loro, impedendo a chiunque di opporsi al volere
del «master» mondiale.
Ma il controllo delle risorse
petrolifere è stato gestito dagli Stati
uniti, negli ultimi 50 anni, assicurandosi nella
regione araba quelli che lei denomina i «delegati
di Wall Street». Arabia Saudita in primis.
Ora questo controllo e questa egemonia
politica sono sfuggiti di mano e Washington cercherà
di riottenerne il dominio. Il problema sarà
come farà, perché esistono dei problemi
tecnici. Bush ritiene questa sia l'occasione propizia
in politica estera, così come a livello
interno, per varare un'intera serie di legislazioni
draconiane.
Ma la situazione geopolitica
dalla guerra del Golfo è mutata. Quali
sono le reazioni del mondo islamico alla guerra
in Israele contro i palestinesi?
Questo è un interrogativo
che non ha ancora risposte. L'amministrazione
Bush ritiene, in qualche modo, di poter calmare
le reazioni sollevate dai paesi arabi. Bush cercherà
di ottenere dai governi arabi perlomeno l'appoggio
politico, se non il consenso, per un attacco militare
contro l'Iraq. Il viaggio del vicepresidente Dick
Cheney tra le cancellerie dei paesi arabi lo dimostra.
Gli Stati uniti non vogliono un'aperta opposizione
all'intervento militare Usa contro l'Iraq. Quanto
alla popolazione araba, nessuno sa quale sarà
la reazione di questa massa povera e oppressa.
Non rimane loro altra scelta che accettare.
Possono sovvertire i loro stessi
governi a causa della politica che questi perseguono,
a favore di Israele e per la distruzione dei palestinesi?
E' possibile. Ma i nostri bravi
strateghi sono pronti ad ottenere la distruzione
totale della specie umana pur di ottenere traguardi
a breve tempo. Prenda l'esempio della guerra fredda.
Esiste prova con ampia documentazione che, durante
gli anni Cinquanta, l'Unione sovietica ha cercato
in ogni modo di ridurre la corsa al riarmo nucleare
sia negli Stati uniti che in Unione sovietica.
La documentazione storica prova che gli Stati
uniti rifiutarono ogni proposta per bloccare l'escalation
del proprio arsenale atomico. Nulla di quanto
avviene ora è nuovo.
L'impiego di miniatomiche contro
Iraq, Iran, Russia e Cina con la scusa della guerra
al terrorismo non è una novità?
Il Nuclear Posture Review del Pentagono
costituisce un leggero cambiamento nella conduzione
delle direttive della dottrina americana, ma non
differisce di molto dalla dottrina perseguita
dalla precedente amministrazione Clinton. Non
differisce dalla «politica del deterrente»
nel periodo post-guerra fredda e dalle altre iniziative
approvate sin dal periodo che va dalla metà
degli anni Novanta in poi. Tutte queste direttive
sull'escalation del nucleare occultano qualcosa
di molto più importante e più grave.
Cioè?
La militarizzazione dello spazio
viene coperta a Washington dal programma chiamato
Missile Defense System. Ma questo è quello
che è emerso sino ad oggi. Quello che non
viene detto è che questo programma è
strettamente connesso con il Nuclear Review del
Pentagono. Un programma di difesa missilistico
rende necessaria la costruzione di armi nucleari
nello spazio il cui potenziale minacci di provocare
l'Olocausto atomico. Questo di per sé costituisce
la premessa per la eliminazione della specie umana
dalla faccia della Terra, perché il fattore
«incidente» viene contemplato in qualsiasi
sistema sofisticato e complesso. Inoltre è
prevedibile che i paesi avversari saranno spinti
a reagire alla minima provocazione. Cercare di
confrontarsi con gli Stati uniti nello spazio
non sarà davvero pensabile.
La «fase due» della
cosiddetta guerra al terrorismo prevede, in tempi
brevi, l'attacco militare contro l'Iraq. Lei parla
di problemi tecnici irrisolti dagli strateghi
della guerra. Quali?
Washington deve già sapere,
una volta eliminato Saddam Hussein, chi mettere
al suo posto per assicurarsi che l'Iraq non diventi
un paese democratico. Se si concretizza in Iraq
un regime democratico, esso sarà costituito
essenzialmente da sciiti. E' l'ultima cosa che
Bush desidera, perché porterebbe a un accordo
con l'Iran. Devono rimpiazzare Saddam con un altro
regime compiacente, e non è facile. Al
momento l'amministrazione Bush sta effettuando
vari tentativi con dei gangster locali. Ma questo
è ancora un problema irrisolto, oggi come
nel 1991.
Altro problema in Medio Oriente
è la guerra in Israele. E' controllabile
da Washington?
La politica perseguita per
anni da tutte le amministrazioni americane sin
dagli anni '70 è stata quella di impedire
un vero accordo tra le due parti, palestinesi
e israeliani. Tutti al mondo sanno in cosa consista
un reale accordo politico fra due parti: il riconoscimento
di due stati indipendenti sulla base dei confini
del 1967. Gli Stati uniti hanno posto il veto,
in sede del Consiglio di sicurezza delle Nazioni
unite, 25 anni fa. Ed hanno continuato a porre
il veto sino ad oggi. Questo accordo è
stato riconosciuto dal mondo intero, con la sola
eccezione degli Stati uniti.
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