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Giro86
Movimento Zoom
Con la Palestina, contro la pioggia
Un racconto dal corteo nazionale
del 9 marzo 2002 a Roma
di Lucio Tomarchio
La pioggia ha provato a spaventare
i romani che si sono intimoriti sulle
prime, lasciando semideserta piazza Esedra ancora
alle tre del pomeriggio.
E' stato solo uno sbandamento momentaneo: per
girare tutti da via Cavour
ai Fori Imperiali c'è voluta una mezz'ora
(non so cosa voglia dire in
termini numerici di partecipazione: la guerra
di cifre se la faranno gli
organizzatori con la questura sui giornali). Mezz'ora
di suoni, colori, di
lingue diverse, come succede ormai in tutti i
cortei maggiori qui a Roma:
curdi, colombiani, mahgrebini, centri sociali,
napoletani... In testa ci
sono i palestinesi: è la rappresentanza
ufficiale e guidano le masse con
il loro grande striscione giallo. I palestinesi
sono molto accorti;
sentono la responsabilità del loro ruolo
e quando il corteo passa per via
delle Botteghe Oscure la polizia si mette l'elmetto
mentre loro vanno a
formare i cordoni per difendere l'antico ghetto
ebraico. Dal megafono
invitano tutti gli altri a sfilare ordinati e
a impedire che qualcuno vada
a fare scemenze verso il portico d'Ottavia. "Vedi
- dico a un'amica di
Milano - lì una volta c'era il Pci. Da
quel balcone Berlinguer si
affacciava a salutare il suo popolo dopo un'affermazione
elettorale". Ma
l'edificio è sbarrato e la mia storia ha
il sapore di un racconto su Roma
antica.
In quella avvistiamo due
black bloc: la solita divisa coi jeans scuri e
la
felpa nera col cappuccio calato e la bandana sul
naso. Uno dei due ha in
mano qualcosa. Cominciamo a seguirli e troviamo
il loro fare sempre più
sospetto: perché si avvicinano al cordone
proprio ora che c'è una
telecamera dietro? Vogliono che le uniche immagini
che trasmetteranno i
telegiornali siano le loro? Ci avviciniamo ai
due e ci accorgiamo che non
sono pietre quelle che hanno in mano, ma saporiti
kiwi. Scherziamo sulla
cosa e cominciamo a raccontarci delle nostre Genova
mentre osserviamo via
Arenula integralmente occupata dai carabinieri
dal largo di Torre
Argentina, giù giù fino al ponte.
L'elicottero della polizia ci dà sui
nervi e un paio di volte scoppiamo a ridere sentendone
il frastuono
proprio su di noi.
Sei adulti palestinesi ci
passano accanto portando qualcosa a spalle
avvolto nella bandiera nazionale; si tratta di
un bambino. "Che macabro!",
esclamo. Una donna mi dà ragione. Più
tardi li vediamo passare ancora:
stavolta portano un ragazzo nel lenzuolo della
bandiera. Siamo già
arrivati in piazza Navona e commentiamo questo
gesto con i miei amici.
Storciamo tutti il naso, ma cominciamo anche a
dire: "Però! Hai visto che
postura quel bambino?" "Già,
sembrava morto davvero". "Sicuro, era
molto
realistico...". Condanniamo "lo scherzo",
ma ci ha fatto pensare; ci ha
almeno evocato le immagini dei telegiornali e
fuori dalla fiction quel
funerale ci è apparso per quello che è
veramente: un'offesa al mondo
civile. Buon per il bambino palestinese di aver
ricevuto un funerale finto
a Roma oggi. Ce ne sono altri che hanno ricevuto
quello vero ieri a
Ramallah.
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