A un passo dalla strage, dallo sterminio,
dai ricordi che non si
cancellano.
Si chiama Tel El Zatar una delle aree residenziali del campo
profughi di
Jabalya dove si è scagliata la furia degli elicotteri
e dei jet da
combattimento israeliani. Elicotteri Apache e jet F16 hanno
sorvolato
la Striscia di Gaza in quel loro modo non equivoco, pronti
per colpire, per
scagliarsi con odio su una folla terrorizzata che si ammassa
per le
strade.
L'esperienza insegna che le abitazioni in questi casi non
sono sicure.
Quarantotto ore di inferno per i profughi che vivono prigionieri
a Gaza.
I boati delle esplosioni hanno terrorizzato la gente, molte
persone sono
rimaste ferite e tantissime sotto shock. Non credo sia usuale
immaginarsi la sensazione fisica di trovarsi sotto i bombardamenti
mentre si va al lavoro o a scuola o mentre si sta a casa
a cucinare. A Gaza si combatte ogni giorno contro la fame,
la disperazione ma sopratutto contro la paura. Mesi e mesi
di avvisaglie. Tante volte la striscia di Gaza ha risuonato
del rombo sordo delle bombe e dei sofisticatissimi missili
anche durante il giorno. Ci sono stati mesi in cui ai palestinesi
semplicemente non era concesso dormire per il continuo pericolo
di attacchi e l'instancabile boato di fondo delle
esplosioni. E la paura, il terrore, l'orrore è cresciuto
in questi mesi
in cui la morsa dell'occupazione militare, a Gaza come a
Nablus o Tulkarem,
è diventata insopportabile. Adesso quello che era
atteso con paura e
costernazione inizia a materializzarsi. Le micidiali armi
da
combattimento che Israele oppone a una popolazione inerme
e sotto assedio non saziano la fame di sangue del generale
Sharon. Il campo profughi di Jabalya è stato colpito
con diverse tornate di missili potentissimi. Gli obiettivi
sono state due officine meccaniche (secondo gli israeliani
obiettivi
militari!!!) e gli uffici della sicurezza palestinese tra
cui un carcere e gli
uffici delle Nazioni Unite. Decine e decine i civili feriti,
tra cui tre
giornalisti, e un bambino si 13 anni rimasto cieco nell'attacco
alla
seconda officina che si trovava in una palazzina.
Colpire con armi micidiali e di sterminio una popolazione
di profughi
non lascia dubbi sugli intenti degli esecutori. Lo sterminio
del resto è
quanto una grande fetta della destra ultra ortodossa israeliana
con la sua
oligarchia militare sta proponendo già da tempo,
con diversi eufemismi
dell' azione: spostiamoli, rimuoviamoli, distruggiamoli,
questi gli slogan più
in uso.
E lo sterminio nei campi palestinesi di Sabra e Chatila
è quello che la
storia non ci ha ancora raccontato del tutto. Siamo in attesa
di
tragiche verità e molto dolore per Israele. Non sappiamo
se i pacifisti
israeliani che chiedono la fine dell'occupazione saranno
pronti a guardare la
realtà
con gli occhi di un palestinese che è nato e cresciuto
a Gaza, tra una
detenzione amministrativa e un altra, rinchiusi come bestie.
Al di là
della recinzione, oltre il valico di Erez, non c'è
altro che i vecchi villaggi
palestinesi, le terre espropriate nel 1948 dalla guerra
di occupazione
dove ora vivono quegli stessi israeliani che guidano elicotteri
apache e jet
F16 sulla folla di profughi, nell'area più affollata
al mondo. Sarebbe più
comodo sterminarli tutti e magari uno di questi giorni Sharon
farà
centro di nuovo e ne ucciderà tanti in un solo colpo,
magari per qualche errore tecnico o di prospettiva. Ogni
volta gli attacchi israeliani sui civili
palestinesi si spostano un poco oltre per testare le armi,
le reazioni
internazionali, il valore delle leggi internazionali, dalla
IV
Convenzione di Ginevra ai semplici e banali diritti umani.
Il test finisce sempre
bene: tutti si dimenticano in uno o due giorni, qualche
pacifista si lamenta e
Sharon continua la sua corsa. Un folle, un pazzo sanguinario
che non
conosce altro linguaggio che quello delle armi di distruzione
di massa. Qui
muore l' occidente, alle porte di un genocidio dilazionato
che è già cominciato.
Qui si ferma il respiro di chi sa che 4 khalasnikov e qualche
bomba
artigianale non possono essere paragonati alla più
sofisticata tecnologia di guerra.
I palestinesi sanno che non potranno mai vincere contro
l'esercito di
Israele-USA e non vogliono la guerra. Aspirano a quella
cosa molto
semplice e necessaria che si chiama libertà da cui
derivano dignità e futuro.
Ancora una volta qualche giornalista televisivo è
riuscito a fare la cronaca
con tanto distacco e a precisare in tutta fretta che gli
israeliani temono i
palestinesi e i loro razzi.... C'è solo da temere
questo irresponsabile
silenzio.