Non
ci vorrà molto e Vittorio Emanuele di Savoia, e il
figlio Emanuele Filiberto, rimetteranno i piedi in Italia.
Dopo più di cinquant'anni d'esilio forzato (una norma
della Costituzione impedisce agli eredi maschi degli ex
reali di vivere nel Bel Paese), il Parlamento si appresta
a staccare il biglietto d'ingresso per il ritorno in patria
della dinastia che ebbe il merito di unificare l'Italia,
la vergogna di aprire le porte al Fascismo, la codardia
di firmare le legge razziali, la tracotanza di non accettare
la Repubblica per decenni. Dopo il primo voto favorevole
al loro ritorno - il sì del Senato - Vittorio Emanuele
ha strizzato gli occhi, elargito un sorriso e dichiarato
che quando tornerà in Italia non farà politica,
che non si metterà alla testa dei monarchici, ma
che gli piacerebbe occuparsi di commercio, magari rappresentando
il made in Italy all'estero.
Nulla di nuovo, in realtà. Perché
il re senza trono è uomo d'affari da sempre. E da
sempre allaccia alleanze al limite della legalità
in mezzo mondo. Stringendo patti di ferro con mercanti d'armi,
massoni, aristocratici e lobby internazionali. Durante gli
anni Settanta Vittorio Emanuele vende armi in Iran, che
allora (non è stata ancora instaurata la teocrazia
khomeinista) manteneva l'antico nome di Persia. Dello Scià
Reza Pahlevi, Vittorio Emanule è amico di famiglia
e a lui vende gli elicotteri da guerra costruiti da un altro
amico, il conte Corrado Agusta, marito di Francesca Vacca
morta misteriosamente in Liguria l'anno scorso. Elicotteri,
armi e munizioni finiscono a Teheran, ma c'è il sospetto
che da lì siano passati nelle mani del re di Giordania,
ai palestinesi, in Sudafrica, Singapore, Taiwan, Malesia.
Due inchieste della magistratura non riuscirono però
a ricostruire le tracce di tali passaggi.
È invece certo che Vittorio
Emanuele aveva un posto nell'elenco degli associati alla
loggia massonica retta da Licio Gelli. Nella P2 l'erede
dei Savoia s'iscrisse più di vent'anni fa. Nel 1982
gli investigatori trovarono il suo nome in un elenco: alla
lettera S si leggeva "Savoia Vittorio Emanuele, numero
tessera 1621". Ed è tra i massoni che Vittorio
Emanuele stringe legami importanti, che entra in contatto
con uomini dei servizi segreti italiani e americani, che
conosce imprenditori legati a importanti uomini politici.
Il faccendiere Silvano Larini, per esempio, che Vittorio
Emanule conosce all'isola di Cavallo, in Corsica. Larini,
amico di Silvio Berlusconi e cassiere dei conti segreti
di Bettino Craxi, si mette in affari con Vittorio Emanuele
per fare dell'isola dove passano le vacanze un posto esclusivo
per aristocratici e personaggi della "Milano da bere".
Mani Pulite è ancora lontana
da venire e negli anni del craxismo l'erede al trono di
Savoia si fa spazio per rimpinguare il suo patrimonio, beneficiando
del favore di chi in quel momento comanda l'Italia. E non
è un caso che l'industria d'armi Augusta in quegli
anni passa sotto il controllo del Ministero delle Partecipazioni
statali guidato da un manager dell'entourage socialista.
E ricordiamo che fino a quando quella norma della Costituzione
non verrà cancellata, gli eredi Savoia non possono
partecipare agli utili che aziende pubbliche riscuotono.
Di fatto, Vittorio Emanuele ufficialmente ha sempre fatto
soltanto il mediatore, tentano intermediazioni per società
controllate dallo Stato. Ma nulla d'irregolare è
mai emerso.
In tribunale comunque c'era finito
nell'agosto del 1987. Davanti ai giudici francesi Vittorio
Emanuele fu costretto a raccontare perché aveva una
pistola e perché da quella scappò un proiettile
che uccise un ignaro velista tedesco. Un litigio ad alto
contenuto alcolico con una terza persona era infatti degenerato,
facendo accidentalmente partire un colpo mortale. Il principe
prese una condanna a sei mesi di carcere (con la condizionale)
per porto abusivo d'armi; il tedesco rimasto ucciso venne
seppellito senza che la giustizia riconoscesse in Vittorio
Emanule l'omicida. Un incidente che non frenò comunque
i buoni rapporti che l'erede dei Savoia continuò
a tessere con quelli che contavano, all'estero come in Italia.
Finiti gli anni d'oro del Psi, scoperchiata
Tangentopoli, Vittorio Emanuele mostra benevolenza nei confronti
di un altro suo amico ed ex compagno della P2, Silvio Berlusconi.
È un buon manager, può rimettere in sesto
i conti economici italiani, dice di lui nel '94. Come? Cancellando
lo Statuto dei Lavoratori, risponde Vittorio Emanuele. Apprezzamenti
profetici, verrebbe da dire. Perché dopo otto anni,
un ministro di Berlusconi sta pensando di tradurre in legge
il licenziamento facile (spazzando via una dei pilastri
di quello Statuto), mentre l'intero Governo ha aperto le
porte di casa nostra a un nobil uomo bravo a tagliare la
corda e a far perdere le proprie tracce.