Logo Girodivite
Homepage | Bancarella | Sherazade | Antenati | OpenHouse | Mappa del sito |
 

Giro83 / Movimento
"Cosa c'è dietro la crisi dell'Argentina"
di Domenico De Simone


[Domenico De Simone è l'autore di due intriganti e provocatori saggi di
controeconomia pubblicati dall'editore Malatempora, "Un Milione al mese a
tutti: subito!" e "Dove andrà a finire l'economia dei ricchi?". Con questa
analisi delle cause della crisi argentina inizia la sua collaborazione con Information Guerrilla - http://www.informationguerrilla.org] - Girodivite pubblica il testo di De Simone quale contributo alla discussione sugli avvenimenti recenti in Argentina.

E alla fine anche l'Argentina non ce l'ha fatta più a sostenere il peso del
proprio debito, ed è andata a fare compagnia a Tailandia, Corea, Messico,
Brasile eccetera, eccetera. Oltre, ovviamente, ai paesi dell'Africa, a
quelli del mondo arabo, all'est europeo che da tempo versano in una crisi
economica irreversibile scossa qua e là da lampi di guerra o conflitti
civili. Tutti paesi in cui il FMI e la Banca Mondiale sono intervenuti in
maniera massiccia, imponendo le proprie ricette per uscire dalla crisi ma
senza cavare un ragno dal buco. Ah, dimenticavo il Giappone. Che non è un
paese insolvente, perché le proprie cambiali le paga, ma come dimenticare
che da dodici anni quel paese si trova anch'esso in una crisi che appare
senza soluzione, nonostante tutti gli sforzi fatti per tirarlo fuori dalle
secche della stagnazione?

Se poi volgiamo lo sguardo in casa nostra, non è che vediamo sbrilluccicare
di gioia gli occhi della gente. La crescita è ridotta, alcuni paesi stanno
ufficialmente in recessione, e non parliamo del Lichtenstein, bensì della
Germania e della Francia che stanno sperimentando le delizie della crisi
finanziaria che sta dando le convulsioni al mondo intero.

Si parla di ripresa dietro l'angolo. Sono mesi, oltre un anno, che se ne
parla, ma la ripresa non si vede, e d'altra parte, se il cavallo non si
rimette a bere, la ripresa resterà un sogno per lungo tempo.

Da noi l'arte di arrangiarsi regna sovrana, in fondo ci siamo abituati a
vivere in una crisi endemica e le prospettive dell'economia dell'Euro non
sono affatto incoraggianti.

Nel frattempo, tutto il Sud America rischia di essere travolto dalla crisi
dell'Argentina, che rappresenta parte consistente della produzione e
dell'economia di tutto il continente. Ma che hanno combinato questi
argentini, per meritarsi una simile catastrofe?

Si parla dell'Argentina, in giro per il web, come di un paese povero e
agricolo, la cui industrializzazione selvaggia è stata finanziata a piene
mani dal FMI e dalla BM, senza che sussistessero le condizioni per una
crescita dell'economia adeguata al livello dell'indebitamento raggiunto con
il FMI.

Niente di più falso. Negli anni trenta e ancora negli anni cinquanta,
l'Argentina era un paese molto ricco e dalle prospettive eccellenti, grazie
alla ricchezza della sua terra, alla presenza di materie prime e di fonti di
energie, alla fattiva alacrità della sua popolazione. L'intero contesto sud
americano è ricchissimo di materie prime e di popolazioni operose, per la
maggior parte provenienti dall'Europa, così come quelle che hanno
colonizzato e si sono moltiplicate nel Nord America. Andare ad imputare
all'indolenza delle popolazioni locali o agli sprechi di qualche riccone la
crisi del debito Argentino, è davvero stupido e falso.

Gli argentini lavorano, producono, si dannano di fatica, però la loro
economia non funziona ed il loro prodotto viene sempre di più assorbito dal
debito e dagli interessi sul debito. Ma com'è possibile, si dirà, se pure
lavorano, che non siano in grado di pagare il proprio debito?

Se gli investimenti fatti nel paese sono stati investimenti realmente
produttivi, per quale ragione questi investimenti non sono in grado di
pagare almeno la quota di debito contratta con l'estero, o meglio perché non
sono in grado di remunerare compiutamente i fattori di produzione? Per
fattori di produzione si intendono tutti gli elementi che occorrono per
costituire un ciclo completo di produzione, ovvero capitale, materie prime e
lavoro.

Il problema è puramente finanziario, ed anche qui non si tratta di una
scelta, ma di una questione di potere. Poiché dietro la finanza si nasconde
il vero potere che sta dominando il mondo intero e che lo sta
strangolando.

Le multinazionali, le istituzioni finanziarie internazionali, i paesi ricchi
del mondo hanno tutti interesse a che con i paesi terzi il differenziale tra
le monete sia elevato. Questo differenziale, è quello che consente all’
occidente di acquistare a prezzi irrisori i beni prodotti dai paesi terzi,
tra i quali assume un ruolo crescente il lavoro umano e soprattutto le loro
materie prime. E di rivendere loro a prezzi crescenti sia i manufatti che le
produzioni immateriali che compongono in misura sempre maggiore il prodotto
dell’occidente.

E come fanno gli occidentali a far crescere il differenziale tra le monete
dell’occidente e quelle dei paesi terzi? Lo strumento di potere che le
istituzioni finanziarie adoperano, capeggiate dal FMI e dalla BM, è il
debito. E’ stato detto nei TG di questi giorni, che lo spaventoso debito
pubblico argentino ha portato il paese al collasso. Niente di più falso.
Paesi come l’Italia, il Belgio, la Francia, la stessa Germania, il Giappone
hanno un debito pubblico ben maggiore in proporzione al PIL. Il debito sta
strangolando tutto il mondo. E’ attraverso il debito che viene creata la
moneta necessaria all’economia, e di conseguenza alla crescita dell’economia
si accompagna la crescita del debito. E poiché il debito è in mano a
qualcuno, e questo qualcuno è il potere finanziario, la crescita dell’
economia comporta un potere crescente delle istituzioni finanziarie. Fino
al punto in cui tutto il mondo, cittadini, imprese, Stati di tutto il mondo,
compreso quello occidentale, saranno ostaggi di questi signori, che si sono
arrogati il diritto di impadronirsi della nostra vita e del nostro lavoro
senza dare nulla in cambio. E senza nemmeno consultarci. E che se decidono
che l’Argentina deve cadere, la fanno cadere, poiché gli strumenti del
credito sono nelle loro mani, così come gli strumenti per creare fiducia nei
confronti di un paese.

Già, perché ciò che tiene in piedi l’economia di un paese, è la “fiducia”
delle istituzioni finanziarie nei suoi confronti, che comporta la
possibilità di continuare ad alimentare quello spaventoso strumento di morte
che è il debito complessivo di quel paese. Il rapporto debito/ PIL in
Italia, è il doppio rispetto all’Argentina. Però per l’Italia c’è quella
“fiducia” che è stata tolta invece agli Argentini. E non perché questi
fossero stati particolarmente cattivi, ma semplicemente perché in Argentina
non c’era più niente da prendere. Con quel maleodorante pezzo di carta
colorato che si chiama dollaro, i “gringos” si sono comprati tutto il paese,
e allora che senso ha continuare a garantire una parità dollaro peso che non
ha mai avuto altro senso se non quello di consentire agli americani di
comprarsi il paese?

E quando finirà di crescere il debito, perché una fine ce la deve avere
questa spirale infernale, allora l’Argentina verrà anche qui da noi, e in
Germania e in Francia e poi negli USA. A meno che non siamo capaci di farli
smettere. Ma subito. Però.

***************************

Il lavoro in Argentina costa molto poco. Così poco che un operaio argentino,
dopo decenni di lotte e di sacrifici, prende circa un ventesimo di un suo
collega americano, anche se è più fortunato di un operaio tailandese che
prende all'incirca un trentesimo, per non parlare di quelli africani la cui
remunerazione non è commisurabile ai nostri parametri tanto è irrisoria. E'
anche vero che il pane e il latte in Argentina costano in proporzione, e
sotto questo aspetto tutto sembra perfettamente logico. Anche il petrolio ed
il ferro costano molto meno in Argentina che negli USA e pure questo sembra
normale. Ma ci siamo mai chiesti perché ci sono queste differenze? Ci siamo
mai chiesti per quale ragione, se ce n'è una, per la prima volta nella
storia della razza umana, a partire dagli anni settanta, le differenze di
remunerazione del lavoro e, in generale, dei fattori di produzione è
diventata così macroscopica e, oltretutto, cresce sempre di più invece di
ridursi? Cos'ha di speciale il pane di Los Angeles per costare venti volte
quello di Bangkok, e cosa fa di tanto straordinario un operaio di Chicago
rispetto ad uno di Bangalore? E perché vendendo perline colorate sulle
spiagge del nostro paese, un Nigeriano guadagna molto ma molto di più di un
suo compatriota ingegnere presso un istituto di ricerca di Nairobi?

La cosa sconvolgente è che questa storia è cominciata relativamente da poco.
Se vi prendete la briga di andare a controllare l'andamento dei prezzi nel
mondo dal medioevo ai giorni nostri (ci sono innumerevoli ed eminenti studi
in proposito, soprattutto di storici dell'economia come Gerchenkron,
Baehrel, Hamilton), vi rendete conto che mai nella storia dell'umanità le
differenze di retribuzione sono state così marcate, e che le differenze di
prezzi erano dovuto più che altro alle difficoltà dei trasporti e degli
scambi (oltre che alle dogane). la divaricazione tra le retribuzioni si è
progressivamente accentuata negli ultimi trent'anni, andando in senso
contrario a quelli che dovrebbero essere gli effetti della globalizzazione e
della riduzione delle dogane. Ho cercato nel mio ultimo libro, (Per un’
economia dal volto umano, Malatempora editrice, Roma 2002) una risposta:
eccola.

"Il punto è uno solo, non c’è una ragione sensata in queste differenze di
prezzi, se non il fatto che i rapporti relativi tra le monete vedono in
enorme vantaggio quelle dei paesi dominanti dell’occidente. E questo per via
del fatto che il credito, la finanza e il cambio delle monete è in mano al
potere dell’occidente.

Insomma quello che gli inglesi imponevano con la forza dei fucili, un prezzo
basso del the indiano, adesso gli americani impongono con la forza del
dollaro. Ovviamente tutto il sistema finanziario locale deve essere adeguato
al rapporto tra le monete, e quindi anche il pane, del tutto
irragionevolmente costerà un decimo in India, e magari un ventesimo in
Nigeria o in Patagonia.

Questo strumento di rapina viene giustificato dietro la considerazione del
tutto inconferente, della diversa capacità produttiva dei paesi le cui
monete sono messe a confronto: maggiore è la capacità produttiva, maggiore è
il valore relativo della moneta.

Questa spiegazione è insensata, poiché contraddice la stessa legge della
domanda e dell’offerta, che pure regola tutti i mercati. Infatti, ad una
maggiore produzione corrisponde una maggiore offerta di beni prodotti sul
mercato, e quindi una riduzione dei prezzi e non il loro aumento, e inoltre,
il sovrappiù di produzione diretto verso i paesi del terzo mondo dovrebbe
comportare prezzi più bassi e non prezzi più alti, soprattutto perché
diretta verso paesi nei quali la domanda di tali beni, per effetto della
povertà locale è scarsa ed è certamente minore dell’offerta.

Insomma il benessere dei paesi occidentali, consiste proprio nel fatto che
la produzione elevata di beni di consumo ha consentito una loro ampia
diffusione in tutte le fasce della popolazione proprio a causa dell’
abbattimento dei prezzi.

E’ quindi solo il potere finanziario che impedisce alle monete di quei paesi
di essere competitive sui mercati.

Attraverso quali strumenti il potere finanziario opera questa
discriminazione?

Anzitutto, dobbiamo notare che queste differenze nei rapporti tra le monete
si sono verificate nella storia, per la prima volta in maniera
significativa, solo dopo la seconda guerra mondiale. Nella storia dell’
umanità mai si erano verificate differenze così significative nell’andamento
dei prezzi relativi dei beni di consumo.

Certamente le differenze di prezzo tra i paesi sono sempre esistite e tra l’
altro sono proprio queste differenze, che dipendono dalla maggiore o minore
scarsità dei beni, a giustificare i commerci più rischiosi. Ma non c’era una
grande differenza di costi, nel complesso, tra vivere a Londra o a Istambul,
nel diciannovesimo secolo e nei primi anni del successivo.

L’enorme diffusione della moneta cartacea, e soprattutto il fatto che essa
sia del tutto svincolata da qualunque merce, ha quindi portato a queste
enormi differenze. Nei paesi arabi produttori di petrolio, la moneta rimane
forte rispetto al dollaro e alle altre europee, per la semplice ragione che
le loro monete sono legate al prezzo del petrolio, e questo si traduce in
uno strumento di potere contrattuale. A parte il petrolio, infatti, la
produzione di un paese come l’Arabia Saudita è irrisoria rispetto ad un
qualunque paese europeo, anche proporzionandola alla popolazione. Però il
"valore" del Rial sul mercato dei cambi regge il confronto con quello delle
monete europee, mentre il bati tailandese, nonostante la produzione
nazionale della Tailandia sia di gran lunga maggiore di quella saudita, non
regge alcun confronto.

Insomma, il problema è che i rapporti tra le monete sono pilotati ai fini
del controllo mondiale delle economie da quel potere occulto e onnipotente
che è il potere finanziario.

I paesi che non aderivano all’accordo di Bretton Woods, hanno dovuto subire
per trent’anni le decisioni del FMI sulla quotazione della propria moneta,
poiché non erano in grado da soli di difenderla sul mercato dei cambi. E che
il FMI pilotasse al ribasso le monete dei paesi produttori di materie prime
per favorire le industrie occidentali è considerazione che appartiene alla
storia.

Ora che il ruolo del FMI è relativamente ridimensionato rispetto al mercato,
esso svolge comunque un’opera di regolazione sul mercato e di orientamento
della speculazione finanziaria. Che sfrutta le oscillazioni sulle monete per
trarne grandi vantaggi e, allo stesso tempo, utilizza il proprio potere
contrattuale per incrementare gli utili delle multinazionali che, a loro
volta, costituiscono con i propri investimenti, parte consistente dei mezzi
finanziari dei fondi.

I paesi del terzo mondo non hanno alcuna difesa nei confronti del potere
finanziario. Le loro economie dipendono dalle briciole che gli vengono
gettate dalla Banca Mondiale e dalle altre istituzioni finanziarie. La loro
produzione è controllata, spesso in misura monopolistica da un pugno di
multinazionali, e le loro monete sono sottoposte alle pressioni della
speculazione sul mercato internazionale, che si abbatte su di esse come una
tempesta tropicale, tirandole su e poi lasciandole cadere come se fossero
dei fuscelli.

D’altra parte le proporzioni dei mezzi finanziari sono proprio queste: la
massa degli strumenti finanziari sul mercato è tale da non consentire alcuna
possibilità di difesa del cambio di paesi industrialmente avanzati come
quelli europei (come ha dimostrato la speculazione che si abbatté su lira e
sterlina nel 1992), figuriamoci a nazioni dell’Africa o del sud America che
hanno pochissima moneta in circolazione.

La conseguenza assurda è che il pane a Bangkok costa un ventesimo che a New
York, e un operaio prende un salario pari ad un ventesimo di quello
americano, mentre un qualunque macchinario occidentale costa la stessa cifra
sia a Bangkok che in America. Insomma, un operaio tailandese deve lavorare
venti volte di più per potersi permettere il lusso di acquistare una
macchina occidentale. Alla faccia della globalizzazione."

Zoom 85
in questo numero:

"Un altro mondo è possibile":
speciale Girodivite su Porto Alegre

Girodivite scrive a Letizia Moratti...

Consigli per la dieta...
(in collaborazione con MacDonald's)
Rosso o blu: la riforma fiscale del governo...
Indymedia / Storia del coniglietto vibratore, di gaetano mangiameli
Micromega / Un referendum contro la legge sulle rogatorie. Come aderire.

Savoia Vittorio Emanuele, tessera P2 numero 1621...

Bologna / Il Forum Sociale nazionale: sì allo sciopero generale, di gaetano mangiameli.
Addio alla lira... ma siamo già europei?, di alessandro calleri
Le cifre del "villaggio globale"

[Kaoticamente] Avvistamenti
Un altro mondo è possibile... non in Italia: Scaloja, Sgarbi, Rai, i komunisti...
Accade... A Catania le associazioni sfrattate, Libera ha "finalità poco chiare", conviamo con la mafia...

[StopBus]
Voci catturate aspettando il bus, a cura di angelo l. pattavina
StopBus two

[Segnali di fumo]
a cura di Pina La Villa

[ZeroBook]
La banda dei (giro)brocchi (Coe)
Una stanza chiusa a chiave (Mishima)
Nick Horby narratore dei nostri giorni

[Kaoticamente]

[Risonanze]
Michael Gira
Visioni: Dazeroadieci (Ligabue)
Jimmy Grimble (Hay)

[Movimento]
L'attacco a Indymedia...
Parla la madre di Carlo Giuliani
Lo sciopero nazionale del 5 aprile.

[Catena di san Libero, di Riccardo Orioles]


Nel numero (84): "Rissi u surci: Rammi tempu ka ti perciu..."
Moratti Letizia... assente! Iniziativa di Girodivite: Fà una domanda alla Moratti.
Le immagini della manifestazione: Aspettando Letizia

Il quiz per i lettori di Girodivite: "Cosa c'è dietro?"
Il Vittorini: il giornale del liceo scientifico di Lentini
Cravatta dell'anno? Paolo Limiti. Moretti, Berluska, la rinascita della DC, piccoli Cucuzza crescono...
Alessandra Mussolini e la circoncisione, Dario Fo, le vignette di ElleKappa e Vauro...

Nel numero (83): "Fatti a nomina e vo' kukkiti"
No alla chiusura dell'Auro / le foto del sit-in, i documenti
Librino l'ombelico del mondo
Intervista a Bartolomeo Pirone: alla ricerca dell'Islam perduto.
Un carro armato per lavorare: a Catania Job-Sud 2002
"Gent.le vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini: Girodivite Le scrive..."
"Hai un'amico idraulico? Chiamalo subito!": un buon consiglio di Dario Fo & Franca Rame
[Humour] Upgrade...

Nel numero (82): Ku nun mancia, nun fa muddiki
Abbiamo le prove: Berlusconi ci ha scritto!
La satira sul web: Votantonio Previti e la Boccassini...
Come dovrebbe essere il "perfetto europeo"...
Storie di ordinaria immigrazione, di Alex Calleri
Catania / Più topi o più biblioteche?

Nel numero (81): "Nkoppu kabbanna nkoppu dabbanna..."
Festa di Lapis
speciale con foto, articoli ed interviste
Girodivite chiede a Ezio Mauro direttore di La Repubblica...
Gli insegnanti del Boggio Lera contro la Moratti e con gli studenti
Intervista a Babbo Natale
Il discorso all'umanità di Beppe Grillo

[Up] Inizio pagina | [Send] Invia questa pagina a un amico | [Print] Stampa questa pagina | [Email] Mandaci una email | [Indietro]
© 1994-2004, by Girodivite - E-mail: giro@girodivite.it