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d'archivio di Girodivite mensile delle città invisibili |
POLITICA O QUASI Tre coppie in
crisi IDA DOMINIJANNI Sul Corriere della sera di qualche giorno
fa, Ernesto Galli della Loggia si sente espropriato da alcune commentatrici
di sinistra (Clara Sereni, Miriam Mafai) della libertà e della laicità,
due sommi beni sui quali notoriamente lo stesso Galli non smette
da lustri di impartire lezioni alla sinistra ma che, se messi all'opera
nel campo della procreazione assistita, diventano "libertarismo
fruitorio", individualismo selvaggio e cieca fede nella scienza
e nella ragion strumentale. Sull'Unità, Domenico Bellini contesta
la liceità della fecondazione eterologa col duplice argomento che
non tutto ciò che è tecnicamente fattibile è eticamente possibile,
e non tutti i desideri, come quello di avere un figlio a ogni costo,
possono diventare diritti. Gli risponde Giovanni Berlinguer, invocando
il diritto non alla procreazione bensì alla cura della sterilità,
e la necessità di trovare criteri di orientamento etico - come il
"bene del nascituro" - terzi rispetto al relativismo etico-scientifico
da una parte e all'etica di stato dall'altra. Le posizioni in campo
- queste e altre - sono ovviamente tutte lecite, e ciascuna contiene
un suo nocciolo di plausibilità e di verità. Il dibattito sulla
procreazione assistita, però, messo in questi termini non fa molti
passi avanti: resta stretto e costretto fra quelle coppie oppositive
classiche del pensiero scientifico, politico e filosofico - biologia-tecnologia,
individuo-Stato, esperienza-morale - delle quali viceversa la sperimentazione
sociale delle tecniche riproduttive testimonia platealmente l'usura,
cosa che il dibattito internazionale assume come problema di partenza
ma che quello nostrano si rifiuta di registrare. Perché salti la
prima coppia è autoevidente, trattandosi appunto di tecnologie che
spodestano la naturalità biologica della riproduzione, e ci obbligano
a pensare il corpo umano, volenti o nolenti, come già intessuto
di artificialità, tecnica, protesi. C'è da chiedersi comunque perché
il primato del "naturale" e del biologico venga evocato tanto caldamente
nel dibattito a fini repressivi (ad esempio, contro il ricorso alla
fecondazione eterologa), e mai quando porterebbe acqua al mulino
delle libertà (esempio, a favore del ricorso alla fecondazione artificiale
da parte delle single: in natura, com'è noto, una single fertile
può procreare, perché in diritto lo si vieta a una single sterile
precludendole il ricorso alle Tra?). Meno dissodato, e più segnato
da durezze ideologiche, è il discorso sulle altre due coppie: la
pervicace incapacità di pensare una sfera pubblica costruita sull'etica
della relazione invece che inchiodata alla contrapposizione fra
individui atomizzati e stato, e la pervicace incapacità di pensare
una morale basata sull'esperienza invece che sui principi astratti,
sono alla base di molti degli equivoci che attraversano, nella discussione
sulla procreazione assistita, sia il campo laico sia il campo cattolico.
Un esempio. Durante il dibattito sul disegno di legge nell'aula
del senato, alcuni esponenti del fronte proibizionista hanno duramente
deprecato "l'edonismo individualista" sottostante a parer loro all'uso
delle tecnologie riproduttive. L'argomento farebbe ridere se non
facesse piangere: ve la immaginate una donna che gongola di edonismo
mentre si sottopone a una qualsivoglia terapia della sterilità?
E' evidente che dietro un giudizio così sopra le righe (e dietro
i i timori di Galli della Loggia) grava l'automatismo di una sequenza
classica, che lega una libertà assoluta e senza limiti a un individuo
atomistico e senza vincoli, e chiama conseguentemente lo Stato a
intervenire per limitare, regolare, reprimere questa potenzialmente
smisurata libertà di individui solitari e sovrani. Notoriamente
questa classica sequenza è stata pensata a misura di un individuo-uomo
e di una sfera pubblica maschile, non contempla l'esperienza femminile
(infatti se applicata alle donne le fantastica immediatamente, non
potenzialmente, smisurate, eccessive, edonistiche, egoistiche, isteriche
e via dicendo), e ne è d'altra parte smentita: proprio la nascita
e la procreazione sono paradigmatici di una libertà relazionale,
misurata dal vincolo del rapporto con l'altra e l'altro (la madre
da cui si nasce, il figlio che si mette al mondo, l'uomo con cui
lo si concepisce biologicamente o psicologicamente), in cui gli
eccessi, per non dire il libertinismo, sono molto più rari di quanto
si voglia immaginare. In questo quadro relazionale, il gioco del
desiderio non è trascrivibile nella grammatica individualistica
dei diritti (Bellini ha ragione, ma dovrebbe dirlo non alle donne,
che lo sostengono fin dai tempi della battaglia sull'aborto, ma
a quanti oggi farneticano di diritto del concepito, fantasticando
il feto come "individuo autonomo" slegato dalla madre), ma non è
neppure riducibile alla logica regolativa dello Stato. Domanda invece
implacabilmente, come argomenta qui a fianco Stefania Giorgi, di
essere analizzato ed elaborato, nelle evidenze che porta alla luce
come nelle opacità che copre. Per quanto disordinante sia per il
pensiero politico classico, l'intrusione del desiderio in problemi
di etica pubblica richiede più ascolto che decisione, un passo indietro
del diritto a favore non tanto degli individui quanto della capacità
ordinatrice delle relazioni, una morale che sappia fidarsi dell'esperienza
più che affidarsi alla precettistica della Chiesa o a quella talvolta
altrettanto cieca della laicità. Tre coppie
in crisiarticolo da il Manifesto, 20 giugno 2000 di Ida Domonijanni******July,
2000
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