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L'ultima terza via

articolo apparso su Il Manifesto, 27 giugno 2000 - di Ida Dominijanni

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POLITICA O QUASI Sinistra, l'ultima terza via - In un lungo documento che circola da qualche settimana e si può leggere nel sito della rivista Caffè Europa (www.caffeeuropa.it), Luigi Manconi, Eligio Resta, Massimo Scalia, Vittorio Dini e Giuseppe Onofrio provano a delineare il profilo politico e culturale di una "Terza sinistra" offrendo così il loro contributo alla discussione sulle sorti della sinistra, del centrosinistra e del riformismo italiani. "Terza sinistra", come gli autori stessi ricordano, è il termine già adoperato da Daniel Cohn Bendit per definire su scala europea "un luogo in cui pensare e vivere diversamente la politica"; termine che qui da noi può assumere particolare pregnanza per contestare quella scellerata teoria e pratica delle "due sinistre" - una di governo l'altra di opposizione, una moderata l'altra antagonista - che nell'ultimo decennio ha bloccato e ossificato la pluralità della sinistra italiana, sottintendendo il "falso storico" per cui l'unica sinistra italiana sarebbe stata quella rappresentata dal Pci, una fino all'89 e due dalla nascita del Pds e dalla scissione di Rifondazione in poi, e occultando così le tradizioni minori ma non minoritarie che hanno abitato la sinistra italiana fra anni Sessanta e anni Settanta. Non solo. La "terza sinistra" non si limita ad aggiungersi alle altre due, ma ambisce a contestarle nella loro matrice comune, che è l'adesione a una visione statocentrica, se non statolatrica, della politica, opponendole una cultura orientata alla società più che allo stato, ai bisogni e ai diritti più che ai poteri, all'autonomia e alle autonomie più che all'autorità, al comando e alla burocrazia del centro. Nella buona sostanza, la "terza sinistra" si configura come una sinistra che mette al centro l'individuo e la sua libertà (anzi, la sua "sovranità" su se stesso e sulle proprie scelte di vita) e intende lo spazio pubblico per l'appunto come "comunità di individui", sulla quale uno stato leggero mantiene solo alcune funzioni regolatrici e garanti dell'uguaglianza di accesso alle risorse e alle prestazioni sociali. A monte di questa scelta c'è l'analisi della globalizzazione che mette fine all'ordine statuale moderno che si definisce in Europa nel Seicento con la pace di Westafalia e di cui la sinistra egemone è figlia; a valle, c'è la necessità di rideclinare le tradizionali priorità della sinistra statalista (primato dei diritti sociali sui diritti individuali, della sfera pubblica sulla sfera privata, del centro sulla periferia, delle istituzioni sui movimenti, della mediazione sul conflitto), invertendole o reimpostandole. I nemici da combattere sono il "fondamentalismo capitalistico" d'inizio millennio e il liberismo che riduce la libertà a egoismo economico; i punti di leva le istanze "di rivolta latente e atomizzata contro l'inaccetabile" (lo sguardo è al movimento di Seattle, ma con la consapevolezza della sua irriducibilità alla forma-movimento tradizionale); l'obiettivo primo è l'affermazione e l'allargamento su scala planetaria dei diritti fondamentali della persona (a partire dal diritto all'ambiente e allo sviluppo sostenibile), oltre quel perimetro della cittadinanza che, anch'esso figlio dello stato moderno, da molla di inclusione sociale va trasformandosi nel mondo globale in barriera di esclusione. L'impianto del testo, interessante e per molti versi condivisibile, si presta a due ordini di critiche. Della prima si fa portatore Norberto Bobbio, in un intervento su Caffè Europa anticipato sabato scorso su Repubblica: troppo antistatalismo, rimprovera il filosofo liberale ai cinque autori, giacché "la funzione dello stato è ancora attuale nell'età della globalizzazione selvaggia, in cui il potere unificante rischia di diventare sempre più quello dei grandi gruppi economici e finanziari, ancor meno controllabili degli stati sovrani". Non solo: il primato dei diritti individuali sui diritti sociali proposto dal testo in polemica con la tradizione della sinistra dimentica che "i diritti sociali, che sono entrati a far parte delle costituzioni moderne, non sono un'aggiunta superflua e addirittura ingombrante, bensì la condizione necessaria per una maggiore garanzia dei diritti individuali: una persona malata che non può disporre di un servizio sanitario nazionale è meno libera di una sana". Così sul versante dello stato. Ma le cose non sono meglio risolte sul versante dell'individuo. Pur avendo in mente i popoli lontani e le generazioni future, il testo guarda soprattutto, né potrebbe fare diversamente, a quell'individuo complesso delle democrazie tardocapitalistiche che le forme organizzate della politica tradizionale non riescono più a mobilitare: soggettività pluridimensionali in cui contano il corpo, il sesso, il genere, la generazione, le appartenenze etniche e religiose, che domandano alla sinistra nozioni di "uguaglianza complessa" e di "libertà matura"; e chiedono alla politica di sapersi fare "agente di collegamento e mezzo di comunicazione", abbandonando la sua tradizionale vocazione autoritario-paternalistica a favore di una mediazione orizzontale e "fraterna". Senonché questo individuo complesso e pluridimensionale, come insegnano le vicende e molta teoria politica d'oltreoceano, non si lascia ridurre né ricondurre alla grammatica dei diritti, che tende a sezionarlo per dilemmi paradossali (l'universalismo contro l'appartenenza etnico-culturale, la parità uomo-donna contro la differenza sessuale, la privacy contro la libertà telematica e chi più ne ha più ne metta) più che a potenziarne la sovranità. Stato e individuo sono due invenzioni coeve della modernità, che insieme si tengono e insieme cadono. Se da astratto che era quell'individuo diventa incarnato - uomo e donna, bianco e nero e giallo e via dicendo - non basterà sostituire a una mediazione paternalista-patriarcale una mediazione fraterna-fratriarcale (su una linea sempre rigorosamente maschile s'intende) per riconquistarlo - e soprattutto riconquistarla - al progetto politico di una sinistra prima, seconda o terza che sia. July, 2000

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