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articolo d'archivio di Girodivite mensile delle città invisibili

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Girodivite - n° 60 / gennaio 2000

L'Osservatore

- un racconto, di Sandro Letta

Gli Osservatori erano diventati sempre meno. Lui se ne ricordava. "Vedi", diceva: "In Città eravamo almeno una decina. Calcola quelli che esistevano poi nelle Altre Città e nella Regione, e in tutto il Paese, e nel Mondo. Sicuramente: diverse migliaia. Ora invece. Non potrei giurarci, ma siamo sicuramente molto meno". Tuttavia a causa del suo lavoro di Osservatore egli non sapeva dire se ce ne fossero molti altri, neppure per esatto numero o approssimativo. In realtà il suo lavoro lo pigliava a tal punto che non aveva molto tempo libero. L'Osservatore stava tutto il giorno a osservare, a volte stava a osservare anche la sera e per tutta la nottata. Il suo telescopio, una estensione del suo occhio, forava nuvole e strati atmosferici, non si accorgeva neppure del tempo meteorologico o del passaggio dei gabbiani. Poteva grandinare o fare molto caldo, lui era sempre al suo posto. Era il suo lavoro: "E' il mio lavoro", diceva. L'Osservatore avvertiva il passare del tempo. Le sue mani non erano abili come una volta, la sua pelle si raggrinziva. Non aveva tuttavia tempo per guardarsi. Il suo compito era osservare non osservarsi. Non ricordava neppure com'era fatto il suo volto, la sua corporatura. Con pazienza oliava gli ingranaggi del suo telescopio, poi si metteva in osservazione accostando l'occhio destri all'oculare. "Te lo ricordi quando arrivava l'energia elettrica?", chiedeva: "Allora era possibile azionare il sistema di puntamento con un semplice bottone. Ora occorre fare tutto a mano, diventa sempre più faticoso". L'Osservatore ricordava di aver chiesto, all'epoca, il motivo di quelle interruzioni. Prima l'energia era cominciata a mancare a singhiozzo, poi definitivamente. Allora aveva contatti ancora con qualcuno. Era lui che scendeva giù per la ripida scala del centro di osservazione e incontrava uno dei lavoranti del centro. C'era una signora, molto anziana del resto, che veniva per le pulizie e portava cibo caldo ogni venerdì. Come si chiamava? Doveva essere successo diverso tempo prima. Forse quando lui ancora lavorava all'osservazione della zona di Keplero. Una signora simpatica. Quando gli portava il vassoio con il cibo gli diceva di una sua nipotina, i problemi della disoccupazione, la speranza di poter lavorare lì un giorno: "Non è che lei può fare qualcosa, se conosce qualcuno...". L'Osservatore aveva fatto no con la testa: lui al di fuori del suo lavoro non conosceva nessuno. Gli dispiaceva, ma il suo lavoro non gli consentiva una vita di relazione di qualsiasi tipo. L'Osservatore era stato giovane. Aveva trent'anni quando era entrato al centro di osservazione. Quanto tempo era passato da allora? Lì aveva imparato dall'Osservatore che lo aveva preceduto. Ricordava le prime volte che aveva varcato la soglia dell'edificio, il freddo dei locali, le macchine misteriose - quasi ostili. Abitava allora ancora in Città, insieme ai suoi genitori. Ogni mattina alle nove doveva presentarsi, togliersi gli abiti quotidiani e indossare il camice bianco. L'Osservatore che gli insegnava il mestiere lo guardava sornione. Scrollava la testa ma lo stesso gli spiegava le cose. Aveva grande pazienza, non si arrabbiava mai quando lui nella sua inesperienza combinava qualche errore. Poi un giorno, non l'aveva più trovato. Su un tavolo una busta, con delle coordinate. Lui aveva orientato il telescopio seguendo le coordinate indicate e aveva letto il messaggio dell'Osservatore che lo aveva preceduto: "Ora tocca a te", c'era scritto. Lui aveva capito che in quel modo avveniva l'investitura di un nuovo Osservatore da parte di un Osservatore anziano che per motivi di età o per malattia era costretto a lasciare. Ogni tanto l'Osservatore si chiedeva che fine avesse fatto il suo vecchio, sornione insegnante. L'unica cosa che poteva dire è che sulla Luna lui non c'era. Dopo tutti quegli anni passati l'Osservatore aveva scandagliato a fondo tutta la superficie visibile della Luna, e non aveva mai visto alcuna presenza umana. Se non la superficie argentata del Libro, che era poi lo scopo delle sue osservazioni. "Tutto è accaduto alcune centinaia di anni fa", gli aveva spiegato il suo vecchio maestro. "Sui particolari, troverai scritto sul Libro, nella zona di Magellano". Ma lo stesso lui aveva voluto dire a voce. Accadeva che gli esseri umani per millenni s'era ingegnati di trovare dei supporti con cui trasmettere le conoscenze di generazione in generazione. Ma ogni volta il supporto scelto s'era rivelato deteriorabile, e ciò aveva finito più volte per compromettere quella trasmissione attraverso le generazioni. Si era provato di tutto: dalla pietra alla carta, alla pelle di animale, alla fibra vegetale, alla plastica e ai polimeri del carbonio. Niente. Tutto si deteriorava, tutto si perdeva. I nastri si smagnetizzavano, i dischi si ossidavano, il papiro infradiciava. Finché s'era pensato di incidere tutto il sapere su lastre di alluminio. La sapienza umana era giunta allora al punto che si riusciva a effettuare viaggi tra i pianeti. S'era scelta la Luna. Le lastre contenenti tutto il sapere umano erano state disposte sulla superficie della Luna a formare un Libro eternamente aperto alla lettura. Era compito degli Osservatori, tramite i telescopi dislocati sulla terra, leggere quel Libro per trasmettere le conoscenze agli altri esseri umani. La cosa aveva funzionato per alcune centinaia d'anni. Poi il meccanismo s'era inceppato. Le guerre non avevano cessato di esistere, e così le diseguaglianze tra gli uomini, e il desiderio di nuove cose. C'erano Osservatori che avevano ceduto alla tentazione di fare commercio delle loro conoscenze, altri ne fecero motivo di vanto e di superiorità rispetto agli altri esseri umani. Alcuni osservatori fecero una brutta fine. Erano rimasti sempre più pochi, sempre più isolati, finché le genti non s'erano più rivolti a loro per averne conforto o soluzione ai problemi. Gli Osservatori rimasti avevano continuato il loro lavoro di Osservatori, lettori privilegiati del Libro dispiegato sulla superficie della Luna. Lì, sulla superficie della Luna, il Libro rimaneva quasi del tutto intatto - se non per qualche lacuna dovuta all'impatto di meteoriti. E con esso tutta la sapienza accumulata nei millenni dalla specie umana. Era lì, scolpita per l'eternità sulle lastre argentee. Bastava un buon telescopio e la conoscenza della grammatica di quell'antico linguaggio. Sotto gli occhi dell'Osservatore scorrevano storie meravigliose, informazioni tecniche, descrizioni geografiche e astronomiche, numeri e dati che riferivano a un mondo che non esisteva più. L'Osservatore quella sera si sentiva più inquieto del solito. Non riusciva proprio a concentrarsi. Sotto gli occhi, leggermente affievoliti a causa dell'età, l'immagine del suo vecchio maestro, l'Osservatore che lo aveva preceduto. Compito di un bravo Osservatore era quello di addestrare dei giovani Osservatori che, una volta che il vecchio Osservatore andava in pensione, potessero prendere il suo posto. Lui questo non lo aveva fatto. Era stato sempre occupatissimo con quel suo lavoro, non aveva mai pensato di doversene occupare, aveva sempre rimandato - perché addestrare qualcuno che prenderà il tuo posto significa ammettere che prima o poi quel suo lavoro sarebbe finito, ammettere la morte. Aveva sempre rimandato. Ma sapeva che non poteva rimandare all'infinito. Quella sera l'Osservatore prese la sua decisione. La mattina seguente si alzò prestissimo e invece di mettersi al lavoro come tutte le mattine, si alzò si vestì e scese giù ai piani inferiori. Erano mesi - anni? - che non scendeva. Aprì la porta che collegava il centro d'osservazione con l'esterno. La porta schricchiolò a causa dei cardini arrugginiti. La luce lo investì in pieno. Davanti a lui le rovine della Città. Un gabbiano appollaiato su un rampicante lo guardò con disgusto. Poi, con rapida decisione prese il volo rapido verso il cielo, in alto. L'Osservatore, abbacinato da tutta quella luce, seguì con lo sguardo il volo dell'uccello, riparandosi gli occhi con il palmo della mano. La Luna era lì, visibile a occhio nudo, bianchissima sul cielo azzurro. L'Osservatore cominciò a ridere mettendo in mostra tutti i denti che gli erano rimasti - non molti. Non sapeva perché rideva. Ma continuò per un bel pezzo.

Argomenti di questa pagina:
Narrativa, fiction, racconto
 

 


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