"E' stato il miglior sindaco che abbiamo avuto in cinquant'anni".
A parlare così è un barista di piazza Bellini, a
Catania. Soggetto: Enzo Bianco divenuto ora ministro degli interni
nel governo D'Alema bis. Il punto di vista del barista riflette
certamente interessi e una sensazione elementare dei fatti politici.
Ma il tono di voce è quello di chi usa il dialetto stretto
catanese, aspro e popolare. L'avventore con cui scambia battute
è un tizio ben vestito, accento italico. "I fascisti
ne dicono male, ma non è vero", insiste il barista.
Certamente gli anni di amministrazione di Enzo Bianco hanno fatto
breccia nella coscienza scaltrita e ostica dei catanesi. Quella
che negli anni Settanta era la città "più nera"
d'Italia, la città dei Drago e dei Santapaola, dei Cavalieri
del Lavoro e delle quotidiane rapine nella centralissima via Etnea,
alla fine degli anni Ottanta ha conosciuto una "nascita"
fatta di proliferare di pub e di attività culturali, di
musica, di manifestazioni pubbliche e mostre che l'hanno portata
all'attenzione nazionale finalmente non più per fatti di
sangue o di degrado. Enzo Bianco salito al potere nello stretto
corridoio di mesi che ha visto la dissoluzione del vecchio apparato
di potere, ha saputo gestire non solo una transizione ma un mutamento
che ha inciso sui modi stessi che i cittadini hanno di vivere
la propria città.
Prima dello scadere le suo mandato naturale, Enzo Bianco ha
fatto la scelta di proiettarsi sul piano nazionale. Una perdita
per Catania e un'acquisizione per il Paese? Forse è troppo
presto per dirlo, ma certamente tra i sindaci nuovi delle grandi
città, sindaci democratici e che hanno governato con schieramenti
di centro-sinistra, l'esperienza di Bianco è stata tra
le più preziose e importanti.
Per Catania giunge ora il difficile compito di vivere il dopo-Bianco.
Per lo schieramento del centro-sinistra si tratta di trovare una
personalità in grado di raccoglierne la difficile eredità
- difficile proprio per i "successi" raggiunti e vantati.
Con in più il problema della pioggia di miliardi che sono
sul punto di arrivare, per il finanziamento delle grandi opere
infrastrutturali - Catania è tra le pochissime città
italiane che (a parte Roma con il giubileo) vede i bilanci gonfiarsi.
La campagna elettorale parte ora. Con la destra - guidata da
Musumeci indiscusso leader e reggitore della Provincia (nella
mai confessata spartizione esistente per cui la Provincia va alla
destra e la città alla sinistra, in modo che qualsiasi
sia il Governo nazionale, arrivino comunque i soldi di finanziamento
per le imprese catanesi) che ha già messo le mani avanti
desiderosa di conquistare una delle città-simbolo della
sinistra italiana e siciliana. La sinistra invece vive la sua
crisi. Alle ultime elezioni europee nonostante il grande trionfo
di Bianco (non eletto per una questione di ripartizioni nazionali
di voti) DS e Rifondazione si attestano come partiti non oltre
all'8%. In questi anni la gestione individualista di Bianco non
ha prodotto un ceto politico di sinistra visibile. Nelle prime
informali riunioni politiche, si cominciano a fare i primi nomi:
quello di Beretta, ex segretario del DS, moderato e di formazione
cattolica. Alcuni hanno fatto persino il nome di Pippo Baudo,
a testimoniare l'assoluta povertà di alternative. La destra
vorrà contrapporre a Pippo Baudo il Gabibbo facendolo scendere
da Genova? In una delle ultime elezioni politiche cittadine uno
dei personaggi più votati per la destra è stato
il forza-italiota Zeffirelli. Non essere di Catania non è
un problema per i grossi partiti che vogliano fare il facile pieno
di voti con i "personaggi".
A Catania siamo ancora in una fase iniziale. Claudio Fava, leader
del DS siciliano e a suo tempo antagonista di Bianco, sconta la
debolezza regionale di un partito che non riesce, nell'isola,
a costruire una rete organizzata e politica ed è costretta
ad affidarsi alla certezza dei piccoli ras locali. Nelle ultime
importanti elezioni dell'isola, per l'amministrazione di Siracusa,
Fava e i DS hanno appoggiato Fausto Spagna, ex DC e leader dei
"popolari": un appoggio che ha provocato oltre che la
sconfitta - Siracusa è ora fortemente in mano alla destra
- la ribellione interna allo schieramento del centro-sinistra
e tra i DS.
Un quadro politico che viene complicato per la presenza del
"convitato di pietra". Rappresentato da Mario Ciancio
Sanfilippo, segretario della FIEG ma soprattutto proprietario
dell'informazione unica dell'isola (il quotidiano «La Sicilia»,
le due principali televisioni private), e dagli interessi dei
grandi imprenditori catanesi. Un quadro economico che ha visto
sempre di più rafforzarsi - più ancora che ai tempi
dei cavalieri del lavoro degli anni Settanta e Ottanta - le 3-4
famiglie che controllano economicamente la città. E di
recente si è parlato di un pool di imprenditori siciliani,
con l'onnipresente Ciancio, a fare da cordata per l'acquisizione
del Banco di Sicilia, il più grosso istituto di credito
dell'isola e tra i maggiori del Meridione. Cordata tutta "patriottica"
per impedire che la privatizzata Banca di Sicilia vada a finire
in mano a imprenditori "forestieri". Ciancio è
riuscito a sopravvivere all'eliminazione dei vecchi amici Cavalieri
del lavoro, ha stretto una allenza non ideologica con gli amministratori
del nuovo corso che garantivano la continuazione del vitale flusso
dei finanziamenti. Sono state queste tra le maggiori ombre dell'amministrazione
Bianco, nell'assenza di una imprenditoria altra e di un ceto politico
realmente alternativo.
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