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Girodivite - n° 59 / dicembre 1999 - Speciale 2000

Perché il Caucaso interessa tanto

da ilManifesto, 17 dicembre 1999.

Il richiamo del Caucaso, autostrada energetica

Tutti gli interessi del petrolio sotto la tutela degli Stati uniti

- FAUSTO ALUNNI -

I l grande gioco per l'accaparramento dell'oro nero nel nuovo Medioriente "allargato": la scelta del percorso "turco".

Il Caucaso è ormai un affare internazionale, e di quelli più complicati viste le lotte sotterranee che i governi e le multinazionali stanno producendo per assicurarsi i vantaggi economici e politici derivanti dallo sfruttamento del petrolio, presente in grandissime quantità nel sottosuolo di quest'area.

Pietro il Grande

Grandi riserve energetiche in questa zona dell'Asia vi sono sempre state, se è vero che già Pietro il Grande cercò in tutti i modi di trasportare il petrolio del Caucaso verso i porti russi del Nord. Ma è soprattutto con l'inizio degli anni Novanta e con la fine dell'epoca bipolare, che la regione caucasica è tornata a ricoprire quel ruolo centrale nelle geo-strategie degli stati, che aveva indotto Mackinder - uno dei padri della geopolitica - ad indicarla come la regione-cuore dell'Eurasia (Heartland), controllando la quale si sarebbe potuto controllare il mondo.

La frantumazione dell'ex Unione sovietica, infatti, ha favorito la corsa ai giacimenti in conseguenza del "vuoto" di potere che si è creato nell'area; vuoto che ha, di fatto, "liberato" le riserve del sottosuolo dal controllo centralizzato di Mosca. Così, è venuta meno l'immagine stereotipata di uno spazio geografico tra il Caucaso e l'Asia centrale "inesistente", in quanto inglobato nell'ex impero sovietico. Anzi, la fine di questo ha comportato l'espansione verso nord-est della regione del Medioriente classico, che ora torna a comprendere non solo le ex repubbliche musulmane dell'Asia centrale o il Pakistan - che prima non ne facevano parte - ma anche paesi come la Turchia, l'Afghanistan e l'Iran che, se prima costituivano l'estrema propaggine nord-orientale della regione, oggi, al contrario, rappresentano il fulcro del nuovo Great Middle East. Una simile espansione del sistema mediorientale e delle sue risorse energetiche ha, però, spiazzato i centri di potere politico e finanziario occidentali, che abituati a primeggiare nell'area mediorientale tradizionale, hanno temuto di rimanere tagliati fuori dal business nel nuovo spazio ampliato.

Il grande gioco geopolitico attualmente in atto in questo nuovo grande spazio, interessa il più settentrionale dei tre subsistemi di cui il Grande Medioriente si compone (gli altri due sono il subsistema del Mashrek-Egitto e della Regione del Golfo), dato che il suo territorio, una volta attraversato dalle rotte della seta, è oggi al centro dei progetti di costruzione delle "autostrade energetiche". In quest'area, infatti, fiutando l'affare, si sono infilate immediatamente le grandi multinazionali americane e britanniche (dalla British Petroleum alla Amoco, dalla Unolocal alla Pennzoil) che hanno cominciato a finanziare, dapprima, l'indipendenza delle repubbliche islamiche dell'Asia centrale bisognose di capitali per le loro riforme economiche e, successivamente, non hanno lesinato appoggi politici ed economici alle rivendicazioni delle popolazioni stanziate tra il Mar Nero ed il Mar Caspio, regione cruciale per il trasporto del greggio estratto.

La tutela di Washington

E sono proprio i tracciati degli oleodotti e dei gasdotti che vengono strategicamente pensati per operare il collegamento tra il tradizionale sistema del Medioriente e il nuovo Medioriente in espansione. Mentre, infatti, il primo è già stato messo sotto tutela da Washington e dai suoi alleati connettendo le sue arterie energetiche al sistema occidentale e facendo dipendere quelle da questo, il Medioriente "allargato" rischiava, a seconda del percorso del petrolio scelto fra le varie alternative, di diventare appannaggio di Mosca o, ipotesi ugualmente pericolosa per i governi occidentali, del fondamentalismo islamico. Bisognava allora escludere sia la rotta verso nord - che avrebbe portato il petrolio ai porti russi - sia quella verso Sud - che avrebbe attraversato il territorio iraniano.

La svolta si è avuta con il summit dell'Osce a Istanbul del 18 e 19 novembre di quest'anno, dove si è raggiunto l'accordo su quale sarà verosimilmente il percorso che l'oro nero del Caucaso dovrà fare per raggiungere i mercati internazionali. Si è, infatti, optato per il tracciato "turco", quello cioè che dovrà trasportare il petrolio da Baku (in Azeirbaigian) a Ceyhan (costa turca sul Mediterraneo) compiendo circa 1700 km ed attraversando la Georgia e la Turchia dell'est. Il percorso scelto risponde a entrambi gli obiettivi che i governi occidentali ed i cartelli delle grandi multinazionali si erano prefissi: tagliare fuori dal controllo degli oleodotti Mosca ed evitare che l'oro nero fosse contagiato dal fondamentalismo islamico.

Per fortuna c'è Ankara

Per questo motivo, si tratta di un percorso non soltanto gradito ad Ankara, che forse non a caso proprio nello stesso periodo ha ottenuto il via libera (negatole soltanto poco tempo prima) per l'entrata nel prossimo futuro nell'Unione europea, ma anche sponsorizzato dagli Usa e dai suoi alleati "a gettone" dell'Azeirbaigian e della Georgia. E se non si vuole correre il rischio di travisare la reale dinamica delle lotte esistenti nell'area transcaucasica, non si deve credere che la parte avuta da questi due piccoli stati sia meno rilevante. Sia Tbilisi che Baku, in effetti, hanno appoggiato i guerriglieri islamici ceceni consentendo loro di rifornirsi di armi ed equipaggiamenti atttraverso le loro frontiere. Con ciò si è ottenuto di impantanare la Russia in una guerra da cui è sempre più difficile venir fuori e, al contempo, si è riusciti a dimostrare l'inaffidabilità del percorso "russo" Baku-Novorossik che, essendo già esistente, sarebbe stato economicamente più vantaggioso di quello Baku-Ceyhan ancora da costruire.

Da questo punto di vista, anche il rialzo dei prezzi del greggio sui mercati internazionali non ha fatto che favorire tale progetto rendendo un po' meno costoso e, dunque, più allettante la costruzione del nuovo oleodotto per le compagnie multinazionali. Del resto, è cosa nota: le scelte economiche vengono ormai subordinate agli interessi della geo-politica dei grandi cartelli politico-finanziari che sono quelli che materialmente mettono i capitali necessari per la realizzazione di simili progetti.

L'oleodotto Baku-Ceyhan è solo il primo tratto di un piano molto più vasto e di grande respiro chiamato Traseca (Transport Corridor Europe Caucasus Central Asia) che ha come finalità la creazione di una ragnatela di vie energetiche costruita in modo tale da legare inscindibilmente il sistema Caspio-Asia centrale all'Europa continentale e ai porti più importanti del Mediterraneo. Realizzando un progetto simile, anche il Medioriente formato gigante sarebbe posto sotto la tutela dell'alleanza occidentale, che si manterrebbe pronta a intervenire, eventualmente sventolando la bandiera dei diritti umani ogniqualvolta venissero messe in pericolo le sue fonti di approvvigionamento energetico. Come, infatti, dimostrano i casi del Kuwait (1990) e del Kosovo (1999), ma lo stesso sta accadendo (per ora) a livello di dichiarazioni ufficiali da parte dei governi occidentali per la guerra in Cecenia.

I diritti umani rappresenteranno sempre più per il futuro la giustificazione per interventi in conflitti interni o internazionali che (mal)celano interessi economico-finanziari. Nel frattempo, i problemi diventano nodi irrisolvibili attraverso i normali canali diplomatici e anche il nuovo Medioriente "allargato", caratterizzato da guerre civili e/o internazionali, assomiglia sempre di più al Medioriente classico, per il quale si coniò il termine di libanizzazione, o al puzzle afghano, nel quale piccoli e contrapposti gruppi di guerriglieri controllavano ristrette fasce di territorio sottratte al potere centrale.

 

 


Released online: December, 1999

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