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articolo d'archivio di Girodivite mensile delle città invisibili

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Struzzi o caporali?

Intervista a Barcellona

a cura di Pina La Villa, 18 gennaio 1997

E lo spazio della politica è oggetto di questa nostra intervista al prof. Pietro Barcellona. Docente all'università di Catania, già membro del Consiglio superiore della Magistratura e della Commissione giustizia della Camera, ha diretto la rivista "Democrazia e diritto" e attualmente presiede il Centro di studi e iniziative per la riforma dello stato . A questo tema ha dedicato alcuni testi tra cui ricordiamo: L'individualismo proprietario, 1987; Il ritorno del legame sociale,1990; Lo spazio della politica, 1993, Democrazia: quale via di scampo?,1995.
D. Scuola, sanità, giustizia: è possibile una politica di sinistra nel governo Prodi?
r.: Lo spazio per la politica non è solo una questione di governo. Certo nel governo Prodi esistono le condizioni formali per una politica di sinistra, ci sono esponenti del PDS, c'è anche Rifondazione Comunista. Ma si tratta in fondo di un governo tecnocratico, che appare impegnato per lo più sul fronte del risanamento finanziario. Lo spazio della politica è qualcosa che si crea e non appartiene soltanto all'azione di governo, questo è un errore che facciamo spesso. Io sono convinto che se in questo momento si facesse un governo di sola sinistra, potrebbe fare ben poco.
D.: Perché?
R.: Perché mancano aggregazioni che spingono per la realizzazione di obiettivi visibili , soggetti che le fanno valere. La politica va distinta dal politico. La politica è la competenza sociale diffusa per cui in qualche modo un popolo non è mai un oggetto di governo ma è anche soggetto di governo , perché è capace di governare i processi. La caratteristica della fase che viviamo è invece quella di una spoliticizzazione del popolo, il popolo è spettatore, è passivo, guarda, si diverte magari a vedere Porta a Porta dove il politico di turno racconta cosa succede. Però la politica è un'altra cosa, è l'agire degli uomini in un senso più alto e appartiene a tutti. Questo è un periodo di grandissima confusione, di spoliticizzazione, secondo me. Per cui questo governo non si può neanche qualificare. E' un governo. Forse la destra, una destra meno stupida di quella che abbiamo, non farebbe cose diverse.
D.: Lo spazio della politica è allora altrove. Bisogna guardare alle città, alla cultura...
R.: Io penso che la politica non può rientrare in campo se non rientra nella vita di ogni giorno cioè se non si capisce che è politico comprare un prodotto anziché un altro, che è politico insegnare in un modo anziché in un altro, educare i bambini in un modo anziché un altro... se non si assume la consapevolezza di questa necessità della politica nella vita quotidiana. Non però nella politica dei partiti, ma nella politica del "prender partito", che è una cosa diversa, è un prendere posizione sulle cose, assumersi la responsabilità.
D.: E da dove si comincia in questo senso?
R.: non c'è un punto né un momento in cui scocca l'ora x il punto è dove uno si trova: è una rivoluzione molecolare che deve rimettere in campo la politica , perché la politica è stata cancellata, per colpa di tutti. Tutti siamo progressivamente scivolati in questa specie di stadio pre-civile ,di egoismo economico, di meschinità culturale, di rifiuto di responsabilità che abbiano un significato politico. La scuola, la sanità non possono essere riformati se non sono riformati i medici, gli infermieri, i cittadini. L'Italia è un paese in cui ci sono programmi di strutture ospedaliere che non si realizzano mai, programmi di strutture ospedaliere che vengono realizzate e poi non vengono neanche assegnate, ci sono alcuni casi, specialmente al sud, di grandi strutture che sono state create e non sono mai diventate effettivamente operanti. Se guardiamo alla Sicilia c'è da piangere: non esistono gli ospedali, non esiste la mentalità del servizio sanitario. Una riforma non si può fare con una legge, che il mondo cambia per decreto è un'idea vecchia: il mondo cambia perché ci sono pratiche continue, che rimettono in movimento energie e responsabilità.
D.: Nel libro "Democrazia: quale via di scampo?" lei dice ad un certo punto che "la mega macchina costituita dalla sinergia di capitale, ricerca scientifica e informazione rischia di trasformare gli abitanti di questo pianeta in meri terminali degli spot televisivi che pubblicizzano merci inutili e costose, e poveri infelici singolarizzati senza né patria, né famiglia" e che "il capitale e l'impresa non hanno bisogno di partiti di massa per esercitare il loro potere di comando, mentre sono le classi e i ceti più deboli che debbono "associarsi" per contare" . Sono, questi, aspetti del problema della globalizzazione. Può la politica nazionale incidere in questo contesto?
R.: Le politiche nazionali sono limitate dal fatto che il monetarismo è diventato il parametro per misurare le economie mentre le economie reali remano in un'altra direzione. Occorre invece procedere ad una rideterminazione degli obiettivi. L'Europa dev'essere un punto di riferimento, ma non l'Europa delle banche. Forze politiche e sociali dei vari paesi dovrebbero comunicare meglio tra di loro, costruire delle politiche comuni. Prendiamo il caso dei metalmeccanici .Il problema sembra quello di vedere se l'aumento retributivo incide sulla competitività dei nostri prodotti. Noi dobbiamo prescindere da questo. In un contesto di competizione sfrenata o noi facciamo un'altra politica complessiva, globale - istituzionale, sociale, dei servizi, culturale - oppure siamo costretti, come siamo, a restare su questo terreno della competizione. Il problema del costo del lavoro: questo problema non si può porre solo sul terreno nazionale, perché se noi valutiamo il costo del lavoro italiano rispetto a quello spagnolo è chiaro che gli spagnoli sono più competitivi. E quindi bisogna trovare un modo per cui le politiche del lavoro, le politiche sociali siano europee, non siano solo nazionali
D.: Lei prima parlava di una rideterminazione degli obiettivi per il Sud...
R. Noi abbiamo avuto il torto di seguire modelli economici che non sono i nostri. La testimonianza di questa cosa noi l'abbiamo proprio tra Catania e Siracusa. Interventi che non sono serviti a nulla: non hanno migliorato le condizioni di vita, non hanno creato una cultura industriale dove non c'era... un bilancio in perdita in questo assumere il modello industriale del Nord. Noi dobbiamo ripensare a cosa produrre e difendere ciò che produciamo così come stanno facendo i produttori di latte : dovremmo difendere ad esempio le nostre arance.
D.: Quali sono i luoghi di queste scelte? Ne intravede?
R.: No, il popolo siciliano mi sembra ancora quello descritto da Tomasi di Lampedusa
D.: E le città, le nuove amministrazioni?
R.: No, non credo. Prendiamo il caso di Catania. Certo, Bianco è meglio dei sindaci che si sono visti, però la politica che sta facendo è tutto sommato di ordinaria amministrazione, in un momento in cui bisognerebbe avere la fantasia di creare cose nuove. Cartina di tornasole è il piano regolatore, test di questa idea della città, della mobilitazione delle forze intellettuali, di giovani. Nonostante la novità della giunta Bianco si chiude la legislatura senza che sia stato approvato. Quindi io non credo che queste giunte così come sono, per il modo in cui sono nate, più per impedire la vittoria della destra che con un progetto diverso, e quindi fanno amministrazione corretta. Certo, meglio di niente, ma non è questo che ci salva.
Released: 1997


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******July, 2000
 
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