Girodivite - n° 58 /
novembre 1999 - Catania, culture
L'intervista a Biagio Guerrera
il testo dell'intervista a Biagio Guerrera, incontrato
da Girodivite nell'ottobre 1999, al termine dell'avventura di Mappe 99, tra le
migliori manifestazioni culturali catanesi di quest'anno.
D. Come nasce l'idea di Mappe?
R. Mappe è alla seconda edizione, quindi c'è stato un periodo di preparazione
di quasi un anno. C'è una storia di rapporti tra le persone che ci hanno lavorato
dal punto di vista organizzativo e ideativo, per cui quest'idea è più antica
come origine. Nasce come idea di lavorare sulla città, di organizzare un festival,
di ragionare sulla città. Officine su questo progetto si è attivata già all'inizio
del '98.
D. Che cos'è Officine?
R. Dal punto di vista legale, Officine è una cooperativa che ha ottenuto un
finanziamento con la legge sull'imprenditoria giovanile per aprire un centro
di promozione e produzione delle arti. Officine raccoglie diverse competenze
ed esperienze di operatori culturali, artisti catanesi, molti dei quali hanno
fatto esperienze di studio e di lavoro fuori Catania. Questo gruppo si è andato
allargando, divenendo punto di riferimento e aggregazione per diverse realtà
artistiche produttive catanesi, in cui ognuno da' il suo contributo con la sua
storia ed esperienza. Officine ha fatto un po' da catalizzatore, sia perché
questo progetto ha trovato una sua attuazione e concretezza attraverso il finanziamento,
sia perché finalmente si e' riusciti a mettersi insieme e questo ha dato forza
al gruppo anche dal punto di vista di interlocuzione con le istituzioni. Noi
abbiamo investito molto in questo progetto. Mappe ha un costo basso rispetto
a quello che offre, ai costi e alle spese che normalmente affronta un'amministrazione
pubblica per manifestazioni di questo tipo. Pero' chiaramente questo e' avvenuto
anche perché noi abbiamo investito e creduto in questo progetto che, rispetto
ad altre cose che si sono fatte a Catania, ha avuto finanziamenti maggiori al
solito. Bisogna valutare tutt'e due questi aspetti.
D. Che cosa si può osservare confrontando la 1° e la 2° edizione di Mappe?
R. Sicuramente c'è stato uno sviluppo. Sulla base della prima edizione si
sono stabiliti tanti nuovi rapporti, si sono fatte esperienze, si e' potuto
avviare una parte di lavoro molto importante che poi sarà ancora più potenziata
con il Centro. Il Centro sarà attrezzato con una serie di sale, macchine per
poter produrre video, editoria elettronica, musica. Una sede fissa di Officine,
quindi Mappe se ne gioverà. Dentro Mappe già da quest'anno sono partite delle
produzioni, cosa per noi molto importante. Dall'anno scorso si era cercato di
presentare degli eventi che fossero pensati per la rassegna. Quest'anno c'è
stato uno sforzo in più, cominciato proprio subito dopo la fine della scorsa
edizione del festival, che ha portato una serie di tappe di lavoro. I primi
risultati già si sono visti in questa edizione perché si e' presentato il video
di Jem Cohen e dei videomakers catanesi su questo lavoro di J. Cohen a Catania:
questo e' stato un primo vero momento produttivo. Un altro e' stato quello del
laboratorio musicale condotto da David Grubbs con un concerto che si e' fatto
a parte e con la presentazione del disco che produrremo, penso, all'inizio dell'anno
prossimo. Ci sono in corso degli altri laboratori: ne e' partito uno con Enzo
Moscato che e' stato presentato nella scorsa edizione di Mappe e che proseguirà
all'inizio dell'anno prossimo. Sono venuti i "Nobody Preserc" uno dei gruppi
di media-artist, degli artisti che lavorano con l'elettronica, con i media,
con internet, i più importanti che ci sono in questo momento sulla scena internazionale,
che hanno avviato anche loro un progetto che pensiamo di poter presentare all'inizio
del duemila. Mappe e' diventato un cantiere e questa e' la cosa che sempre più
noi vogliamo che avvenga.
D. La città di Catania come ha risposto a questo festival di se' stessa, si e'
lasciata coinvolgere o e' mostrata restia nei confronti di Mappe?
R. Io credo che ci sia molta curiosità. Ovviamente ci sono delle cose che
hanno dei picchi di pubblico molto più alti come i concerti rock, pero' mediamente
abbiamo avuto una quantità di pubblico che per manifestazioni analoghe a livello
nazionale sono state elevate. Non capita spesso di vedere tanta gente per un
festival che, anche se si rivolge e vuole essere aperto a tutti, sicuramente
non ha un taglio popolare - di massa. Mediamente le proposte non hanno questo
taglio, per cui avere già svariate centinaia di persone a sera, con picchi magari
di qualche migliaio nei concerti rock o agli spettacoli teatrali ci rende molto
soddisfatti, non solo del pubblico ma della curiosità che sta suscitando Mappe
a livello nazionale e anche internazionale. Nei riscontri che stiamo avendo
sia sulla stampa, che con gli operatori in Sicilia.
D. Qual e' stato il momento più emozionante, di più intensa partecipazione da
parte della gente?
R. Da un punto di vista numerico, come quantità di pubblico, sicuramente i
concerti rock. Ma ci sono state tante piccole grandi cose dentro il festival
che possono aver suscitato emozioni sia nel pubblico che in noi che eravamo
impegnati da un punto di vista organizzativo, perché tutto si realizzasse. Il
momento più emozionante e' soggettivo, personale... ad esempio la realizzazione
e presentazione del libro (Catania sotterranea, ndr), anche questo un
primo importante evento di produzione per Officine perché e' la prima cosa che
realizziamo da un punto di vista editoriale, almeno in senso cartaceo dato che
da tempo Officine si occupa di editoria elettronica, di cd-rom. Questa e' la
prima realizzazione su carta. Per me e' stato sicuramente emozionante, prima
di tutto, proprio lavorarci e poi la soddisfazione...
D. E' stato difficile coniugare l'internazionalismo di un festival ad un alto
livello culturale come Mappe, con il localismo, l'esaltazione degli aspetti più
bassi, più sconosciuti della città, "sotterranei"?
R. Sicuramente Mappe ha un taglio internazionale e vuole averlo sempre più;
pero' lo fa a partire da qui, a partire da Catania, per inserire Catania in
un dibattito, in un confronto internazionale, quindi e' un'occasione di crescita.
Per la città, per gli operatori e gli artisti della città che vengono coinvolti
in una rete di scambi a livello internazionale; e anche il fatto di tirare fuori
Catania, come la Sicilia, da un certo tipo di stereotipi legati al folklore,
a una certa visione della Sicilia coreografica che a noi non interessa. Io penso
che si possa essere dentro il proprio tempo e nello stesso tempo non rinunciare
alle proprie radici, alla propria storia, senza che questa diventi una Sicilia
da cartolina che poi magari nasconde anche altri aspetti più disagiati, più
complessi di cui ci siamo occupati quest'anno nel libro ma non solo. Anche la
visione che J. Cohen ha dato di Catania nel video, al di la' delle immagini
della pescheria che sono per noi più consuete, risponde a questo modo di "sentire",
senza che ci fosse stata da parte nostra nessuna indicazione di lavoro. Cerchiamo
un dialogo con artisti che, possono avere una diversa provenienza, ma hanno
una sensibilità comune a certi temi, un certo modo d'intendere le cose. Il lavoro
che si sta impostando con i "Nobody Reserc" e' estremamente avanzato da un punto
di vista tecnologico, ma da parte loro c'è anche un interesse sempre maggiore
su temi politici, sociali; non vogliamo fare cose elitarie, ne' arte per l'arte.
D. Cosa e' rimasto a lei di Mappe e cosa spera sia rimasto agli altri?
R. Cosa e' rimasto a me lo sto man mano scoprendo, passato il super - impegno,
il periodo in cui uno e' dentro la cose, le fa, si rende conto fino a un certo
punto di quello che succede, poi con il tempo con la distanza le cose che si
sono sedimentate cominciano a venire fuori per cui questo e' il momento in cui
si riprendono le fila dei contatti e si cominciano a raccogliere i frutti, nuovi
spunti ...e anche le idee che ti vengono durante il festival. E' capitato l'anno
scorso ed e' successo anche quest'anno che magari già mentre si fanno le cose,
si comincia a intravedere quale sarà la direzione futura. Nello stesso tempo
si raccolgono i pareri, i frutti di tutti questi contatti che si sono sviluppati
durante il festival. Questo e' il momento in cui si sbobinano le conferenze...c'è
tutto un lavoro che magari e' meno visibile per il pubblico dentro il festival,
meno spettacolare; pero' e il momento dell'incontro, del convegno, il momento
in cui ci si incontra anche per mangiare, il momento delle relazioni con tutte
le persone che sono venute a Catania a lavorare, a confrontarsi con questa città,
a portare testimonianza di altre esperienze. Questa sicuramente e' una delle
cose che più arricchisce. Forse quello che mi rimane in più sono proprio alcune
emozioni e questi momenti di scambio che porteranno a relazioni, possibilità
d'incontrarsi con queste persone di nuovo, a rapporti umani, intellettuali che
si stabiliscono. Anche perché non sarebbe stato possibile fare un festival come
Mappe se non ci fosse dietro una grossa passione di chi lo fa e di chi decide
anche di parteciparvi, spesso anche a condizioni economiche che non sono quelle
solite, magari prendendo meno di quanto prenderebbe in un festival più grosso,
più quotato e più ricco, per il piacere di partecipare a questa manifestazione,
perché sente che c'è dentro un certo spirito.
D. Come ti e' venuta l'idea di realizzare il libro "Catania sotterranea"?
R. E' il frutto di anni di riflessioni sotterranee che poi non sono solo
mie ma sono di un gruppo di persone. A me piace sottolineare che questo volume
che io ho curato e' un lavoro di relazione. Non sarebbe stato possibile se dietro
non ci fossero stati tutta una serie di relazioni, di scambi, di rapporti tra
molti degli autori. La cosa bella e' che il libro ha permesso di mettere in
rete, in circuito queste cose. Io posso aver fatto spesso un po' da ponte tra
varie persone, ma e' anche vero che molte persone sono "arrivate" attraverso
questo lavoro e si cominciato a impostare una sorta di laboratorio, di momento
di confronto "allargato" su alcuni temi, su alcuni aspetti di questa città meno
visibili, meno scontati e comunque importanti. anche qui il voler uscire fuori
dalla cartolina, dalla solita visione falsata di Catania.
D. Quali sono le caratteristiche di Catania e dei catanesi che emergono da questa
ricerca?
R. Questo e' un discorso che spetta non solo a me, ma anche ai lettori per
quanto riguarda quello che emerge. L'idea che c'era dietro era proprio di tirare
fuori alcuni luoghi, alcuni personaggi che fossero emblematici e di farlo raccogliendo
una serie di appunti. Il percorso che mi ero prefigurato fin dall'inizio era
quello di cominciare dal mare e finire col cimitero. Due luoghi simbolo di rimozione
in questa città: il mare con cui Catania ha un rapporto negato e quel testo
di Tino Vittorio (Catania vista dal mare, ndr) molto bello che avevo
letto quando stavo incominciando a occuparmi di questo progetto e' stato da
stimolo; il cimitero, luogo importantissimo della città per tutto quello che
riguarda la sfera simbolica e la cultura tradizionale, il rapporto con la morte.
La cultura meridionale, come tutte le culture umane, si fonda su questo rapporto
molto forte con la morte, la malattia. A Catania c'è la festa dei morti che
e' molto importante, e' una città che ha avuto purtroppo molti morti ammazzati
e che ha un cimitero monumentale particolarmente importante, eppure e' una cosa
di cui non si parla tanto. Non si parla del degrado del cimitero, che e' un
luogo da riscoprire, da riqualificare perché e' fondamentale confrontarsi con
la memoria. Il discorso di Nino Recupero alla presentazione del volume era proprio
questo, che Catania ha sempre teso a vivere come un conflitto, a negare il rapporto
con il popolo. Nella sua storia ci sono stati dei momenti in cui questa cultura,
questo sentire del popolo, questo mondo veniva fuori anche con prepotenza, si
sono creati dei nessi tra la cultura più "alta" della città e questo mondo.
Quando questo succede si raggiunge un livello importante di verità, di comunicazione,
di espressione. E' successo all'inizio di questo secolo con Martoglio, Verga
e tutta una serie di autori importantissimi. Poi c'è stato, sempre in questo
secolo, un momento di censura, in cui questa borghesia, questi potentati catanesi
hanno teso a rimuovere questi aspetti.
Il cimitero è uno di questi aspetti, ma non è certamente l'unico. San Berillo
è un altro esempio emblematico di che cosa significa rimuovere fisicamente,
distruggere un quartiere popolare. Si può migliorare, "bonificare", creare servizi
migliori... In molte parti d'Italia si è ristrutturato. La soluzione oggi è
sicuramente quella di ristrutturare. Quello di San Berillo credo sia stato il
più grosso smembramento che ci sia verificato in Italia ed è avvenuto in un
periodo in cui già la tendenza non era questa. Lo scandalo è stato il fatto
che sia stato distrutto e sia rimasto questo vuoto a segnare una ferita dentro
la città.
Alcune delle figure emblematiche che abbiamo tirato fuori in questo libro: Turi
Salemi, Pippo Fava... erano persone che dialogavano, che venivano e andavano
nei quartieri. C'era Pippo Fava che giocava a pallone con i ragazzini, che usciva,
incontrava la gente allora poteva capire e sapere certe cose perché aveva un
rapporto con la città nel suo complesso. Turi Salemi era un uomo che scriveva
ovunque, viveva anche nella strade, in posti miseri. C'era questo rapporto reale
con la strada, con la città. Questo abbiamo cercato di tirarlo fuori con alcuni
testi, con alcune storie, col bellissimo testo teatrale di Carmelo Vassallo
che e' proprio uno spaccato linguistico straordinario.
D. Qual e' la tua concezione del dialetto? non e' in qualche modo limitante, secondo
te?
R. Io scrivo in dialetto, per cui sono portato in questa direzione. Non credo
che sia limitante, credo che sia una ricchezza. Certe cose si possono dire solamente
in dialetto e sono espressioni di una cultura, di un popolo. Io credo che ogni
parte del mondo può essere elevata ad esempio attraverso la letteratura e diventare
importante. Ci sono tanti autori anche internazionali che scrivono solo di luoghi
molto piccoli, tanti autori sudamericani,
che ha scritto una vita su un certo luogo ideale che si era ricostruito nel
sud degli Stati Uniti. Se la storia, se i contenuti sono universali non diventa
un discorso limitante. Chiaramente il dialetto lo capiamo meglio noi che siamo
siciliani, di altri che non hanno una comprensione altissima. Però anche noi
leggiamo tantissime cose in traduzione e dove e' necessario si può benissimo
tradurre. Non lo vedo assolutamente come un limite. Raccogliendo i commenti,
quello che mi ha gratificato e' stato il fatto che, se da una parte ci sono
state anche alcune critiche, - che ben vengano sempre, comunque non sono state
molto diffuse né erano costruttive, anzi pure un po' provinciali 'Ma sempre
Catania, le cose su Catania...'- invece ho riscontrato con piacere che molte
persone che hanno avuto il libro, che sono venute qui per il festival o che
hanno ricevuto il libro perché l'abbiamo spedito, che non sono di Catania, che
sono venute in contatto con Catania per la prima volta, sono rimaste molto incuriosite.
Penso che il libro possa avere una qualche piccola importanza per la città anche
come modello, "ci siamo occupati di una città in questo modo", che e' Catania,
la nostra città, ma può essere interessante occuparsi di Catania come di Buenos
Aires, come di Lisbona, come di un quartiere della periferia di Bogotà. Bisogna
vedere quello che si dice, come si tratta, che cosa viene fuori letterariamente
e come contenuti, ma può essere altrettanto interessante.
D. A chi e' indirizzato il libro? qual e' il lettore ideale, il catanese che non
conosce forse veramente Catania o chi non e' di Catania al suo primo approccio
con la città?
R. All'inizio, forse ingenuamente, idealisticamente, pensavo a questo libro
come a una sorta supplemento ideale di una rivista che a Catania non esiste
e che parli di Catania in un modo in cui normalmente non si parla e distribuirlo.
Fare una tiratura molto elevata e darlo. Poi, evidentemente per un fatto di
costi, di economia generale, la cosa non si e' verificata come possibile. Per
altri versi penso che sia anche giusto che le cose si comprino, a un prezzo
che non sia assurdo, perché e' un modo per dire che questa cosa mi interessa
allora la compro, invece quante cose si distribuiscono e vanno a finire nel
dimenticatoio, vengono buttate, sprecate. Uno spreco che noi non ci potevamo
assolutamente permettere, peraltro. Io vorrei che questo libro lo leggessero
più persone possibili, vorrei che arrivasse anche fuori da chi magari già si
può prevedere che si possa interessare di queste cose. Mi ha fatto piacere riscontrare
la curiosità da parte di persone che non mi aspetterei che avessero un interesse
diretto per queste cose perché non sono dei lettori "impegnati", ma che trovano
motivo d'interesse in questo volume. Ma mi fa anche piacere che venga un artista
dalla Francia o dal nord Italia e dica "E' la prima volta che vengo a Catania,
mi ha colpito molto questa città, mi ha colpito questo libro che mi da una visione
stimolante di questa città, scopro dei poeti che non conoscevo, scopro delle
storie affascinanti, una qualità di scrittura..."
D: Io credo sia difficile far venire fuori quello che mostra il libro.
R. Sicuramente non pretendo, né abbiamo preteso di scoprire qualcosa che non
c'è o chissà ché, però non mi sembra che ci sia molto in questo senso in giro,
specialmente nei quotidiani. Ci sono state esperienze giornalistiche anche importanti
ma con un taglio appunto giornalistico, qui il taglio e' sicuramente diverso,
ci interessava anche l'aspetto letterario, scientifico, una certa qualità della
scrittura che abbia i tempi sia di scrittura, appunto, che di produzione che
non sono quelli dell'editoria giornalistica. Da questo punto di vista credo
che proponiamo qualcosa di diverso rispetto a quello che c'è in giro su Catania.
D. Qual è il messaggio che vuole trasmettere questo libro?
R. Io credo che un messaggio che trasmette il libro è che si tratta di un
momento d'incontro e di relazione fra persone, esperienze, generazioni diverse.
Troviamo dallo storico di prestigio che insegna a Milano come Nino Recupero,
importante a livello nazionale e che dal punto di vista generazionale è più
grande, ai bambini di scuola media (Scuola Media Statale Luigi Sturzo, ndr),
a giovani scrittori, a quelli non più così giovani. Diverse generazioni a confronto,
uno scambio che e' nato con questo libro e stiamo cercando di portare avanti
per nuove edizioni o nuovi progetti. La necessità di questo dialogo e del confronto
e' uno dei messaggi, secondo me, più importanti di questo libro.
D. Hai vissuto sulla tua pelle la "Catania sotterranea" o indirettamente attraverso
l'esperienza altri, il racconto? E se l'hai scoperta gradualmente che cosa ti
ha colpito, sorpreso, impressionato?
R. Io sono di estrazione borghese, ho vissuto sempre da queste parti, in una
zona abbastanza bene della città. Nell'adolescenza ho cominciato a girare, andare
in giro, a piedi, a scoprire che c'era un'altra città che io non conoscevo,
dei luoghi, una lingua che in parte conoscevo attraverso mia nonna, però quella
era una lingua della memoria, della campagna, non era la lingua della città.
Per me e' stata una scoperta iniziata nell'adolescenza quando ho cominciato
a girare da solo in certi luoghi. Si e' approfondita parecchio con un esperienza
per me fondamentale di studio e di partecipazione alla festa di sant'Agata che
ha portato alla realizzazione di un documentario che mi ha permesso, a me e
ad altre persone, di entrare in rapporto più approfondito con alcuni aspetti
della cultura popolare di questa città, che altrimenti non avremmo avuto modo
neanche di conoscere. Una delle cose che colpisce e che mi piace è che ci sono
delle persone con le quali normalmente una persona che viene come me da una
certa parte di Catania entra in rapporto semplicemente per una prestazione d'opera.
E' molto raro che si vada invece a parlare con queste persone perché si vuole
conoscere qualcosa della loro cultura, della loro storia, della loro vita; che
si possa entrare in un rapporto di scambio diverso, ché tu vai per imparare!
Quest'attitudine è nata diversi anni fa ed stata una cosa che ho mantenuto,
andare in giro, ascoltare le loro voci.
D. Qual è il tuo rapporto personale con la città? quali sono, secondo te, i pregi e i difetti di Catania e dei catanesi?
R. Io sono molto legato a questa città. Ho un rapporto viscerale, di amore - odio, perché è una città molto intensa, estrema da molti punti di vista, nel bene e nel male. Ha moltissime risorse, un potenziale straordinario ed è una cosa che chi viene qui sente immediatamente proprio per la posizione geografica, per l'Etna, il mare, tutta la storia che c'è, che si avverte, tutte queste stratificazioni...e anche per suo carattere specifico che è estremamente dinamica. Nello stesso tempo è una città che ha mille problemi, come un po' tutto il Mezzogiorno d'Italia. Una città che ha queste scissioni culturali, problemi sociali grossi, che non ha un'economia sana perché produce pochissimo, quindi vive sostanzialmente di malaffare o di pensioni, stipendi pubblici, di "regalie". Non è una città che produce, economicamente in attivo, ma in passivo come quasi tutto il Mezzogiorno d'Italia. Ha risorse sia umane che materiali che non vengono sfruttate ed è un problema le cui responsabilità sono di tutti. E' chiaro che chi più ha e chi più sa ha maggiori responsabilità di chi ha e sa di meno. Un grosso problema che nasce da un programma culturale, dalle scuole. Se tu vuoi che un ragazzo di quartiere non diventi manovalanza mafiosa gli devi offrire delle alternative. Bisogna creare possibilità diverse e tutto questo non avviene. E' vero che Catania negli ultimi anni funziona meglio, ci sono degli aspetti positivi, però le periferie restano sempre abbandonate a sé stesse, scontano un degrado ancora molto forte, mentre magari il centro è più bello, curato, l'immagine di Catania da molti punti di vista è migliorata, alcune cose da un punto di vista produttivo si stanno muovendo, ma mi chiedo fino a che punto tutto questo poi produca grossi numeri di posti di lavoro. C'è stato molto lavoro nell'edilizia che di fatto è stato anche un problema per la città che si è sviluppata in questi anni in modo disordinato, incontrollato, ha pochissimo verde, forse è la città in Europa che ha il più basso rapporto tra verde e costruito, collegamenti tra centro e periferia non funzionano mai... E' una città che ha molti problemi, ma noi crediamo nel potenziale intellettuale, umano di questa città però allo stesso modo se uno guarda alle cose così come sono è difficile essere contenti. Anche perché non si vedono grandi prospettive di miglioramento. Però per fortuna la storia ci sorprende sempre, a volte in positivo, altre in negativo ma uno per quello che può cerca di fare quello che ritiene giusto, poi si vede...E' positivo il fatto che noi ci proviamo come associazione e riusciamo a fare certe cose a Catania che magari dieci anni fa non sarebbe stato possibile, non perché non ci sia stato chi ha provato. Dietro un risultato positivo spesso c'è anche una storia di fallimenti, di tentativi non riusciti, di cose che non erano mature. Tutto questo va tenuto in conto e anche per questo è importante occuparsi di Catania sotterranea, per non dimenticare le esperienze importanti anche tragicamente fallite o finite nel sangue come Pippo Fava. Prendere oggi da quell'esperienza quello che ci può servire, considerarla come una cosa viva. Non dimenticare ma neanche farne un santino, "il santino della lotta all'Antimafia"... Purtroppo l'Accademia intellettuale di questa città "santifica", "fa i santini" di Verga, di Pirandello. Un autore è vivo quando ha qualcosa da dirci, quando lo prendiamo, lo leggiamo, dice qualcosa della nostra vita, può valere oggi per me, può valere domani per mio figlio. Allora è vivo! Non se serve solo a qualcuno che si costruisce la sua carriera, per motivi professionali. Non è un problema di fare degli eroi, di avere delle bandiere. E' un problema più "basso" però pratico, fattivo.
D. Quindi persone che lavorano, che fanno il loro dovere, non eroi?
R. Si, purtroppo sono stati anche degli eroi, la storia li portati ad essere degli eroi, perché alla fine non tutti sono disposti a farsi ammazzare per fare quello che dovrebbe essere un lavoro normale. Per cui se tu per fare un lavoro "normale" devi essere ammazzato allora sei un eroe ma questo è il segno di un problema che non possiamo nascondere e dire "non è successo niente" "ma chi erano? questi sono i soliti rompiballe". Quindi non dimenticare e nello stesso tempo non viverlo in modo superficiale, idealistico, dell'eroe. Superiamo anche questo e cerchiamo di capire quali erano le analisi di queste persone, in che modo sono oggi attuali, se il loro esempio può servire a noi, in che modo sono anche superati o hanno forse sbagliato determinate cose... E' importante confrontarsi con la propria storia per riuscire ad andare con più consapevolezza a risolvere i problemi che la vita ci presenta.
D. Che valore ha oggi la cultura a Catania?
R. A Catania c'è bisogno di cultura e di una maggiore consapevolezza. La cultura può offrire strumenti perché si possano fare delle scelte di vita diverse, anche se da quel punto di vista l'economia e' molto importante. Ma è la cultura che può determinare la direzione di una vita in un senso o in un altro. Ciò che esprime la cultura cosiddetta "ufficiale" di questa città ha dei picchi anche molto elevati dal punto di vista scientifico, accademico; però mi sembra che poi non ci sia un grandissimo dialogo all'interno della città, sulla città... Purtroppo mancano i luoghi per questo, ed è importante che ci siano perché i discorsi siano pubblici e non siano solamente di pochi. Questi luoghi sono i giornali, i teatri, le televisioni, i luoghi d'incontro. Per questo per noi è così importante che Officine diventi un luogo fisico, dove le persone possono incontrarsi, conoscersi. Molto spesso, facendo questo lavoro, occupandosi di queste cose, ci si rende conto che ci sono tante persone che si interessano di queste cose. Però magari non si conoscono non hanno una possibilità d'incontrarsi. Un libro, un luogo, una rassegna sono importanti perché diventano un luogo di aggregazione, dove le persone si conoscono, si riconoscono. Nella diversità scoprono di poter fare un pezzo di cammino insieme, di avere degli obiettivi in comune. Questo, in questa città, è mancato molto e continua a mancare, non perché si fa un libro che chissà quante persone leggeranno. Già la rassegna è una vetrina però uno auspicherebbe a ben altro. Si continua a lavorare e a seminare, sperando di raccogliere i frutti col tempo di ciò che si semina. La cultura in questa città che cos'è? E' questo... Si è fatto uno straparlare del discorso dei pub. Secondo me è stato importante e sicuramente positivo il fatto che ci sia stato un momento in cui nel centro storico si è tornati a vivere, ad abitare, a frequentare luoghi, che ci siano questi locali. Però secondo me si è fatta un'eccessiva pubblicità, se n'è parlato fin troppo bene di questa cosa, che non è che produca chissà che cultura o che movimento di pensiero.
D.: Certo sempre meglio che un'assenza totale di luoghi dove incontrarsi la
sera...
R. Mah! Ripeto l'importante che ci si incontri, però tutto questo
non deve avvenire sulla base solamente del fatto di andarsi a vedere perché
ci si può bere una birra o ci si vuole conoscere, si vuole uscire con un ragazzo
o una ragazza o cose di questo tipo che sono, per carità, sacrosante, che tutti
facciamo e che vanno benissimo. Io credo che c'è un grossissimo potenziale in
questa città anche dal punto di vista proprio dell'energia giovanile e si vede!
tutti questi ragazzi che ci sono, che diventano "visibili" in alcune occasioni
di più, la sera in certi luoghi, l'università è un altro di questi luoghi, Sant'Agata...
Però non si riesce a cogliere purtroppo un indirizzo. Non è che tutta questa
energia si sempre chiaramente o ben indirizzata. Non che io pretenda che tutti
debbano camminare in una direzione, però ho l'impressione che ci sia chi lavora
perché tutto questo avvenga, cioè perché non ci siano indirizzi in senso positivo
ma semplicemente di consumo, che sia spettacolari o che sia di birra o che sia
solamente questo. Bisognerebbe se non altro offrire delle altre opportunità.
Poi uno può raccoglierle o non raccoglierle. Uno dei motivi per cui stiamo lavorando
è che ci siamo delle altre opportunità per quello che noi possiamo riuscire
a fare. Officine vuole essere un centro produttivo, che ci sia anche un economia.
Se ci sono persone che vogliono di questo loro lavoro intellettuale o artistico
farne una professione ci siano anche le opportunità perché questo avvenga. Ci
sono tantissimi giovani disoccupati, mantenuti dalle famiglie o che vanno all'università
o laureati senza grandissime prospettive. E allora cosa gli diamo? il pub la
sera, il concerto, che stiano buoni. Hanno comunque dei soldi perché, bene o
male, c'è un'economia perversa per cui ci si mantiene anche se non si lavora.
Gli dai il corso così tu che hai un'infarinatura e puoi diventare pittore o
videomaker. Io sono assolutamente favorevole al fatto che ci sia una dimensione
della cultura a tutti i livelli però è anche bene che se c'è qualcuno che ha
la possibilità di sviluppare una professione anche dalle sue capacità possa
fare le cose anche in modo approfondito. Ci sia questa possibilità così come
ci dev'essere una dimensione culturale di massa quanto più allargata possibile.
Sono due cose che devono e possono benissimo camminare insieme. A me sembra
che in questa città si sia teso a dare delle cose come a dire "passa il tuo
tempo". Là dove ci sono invece delle capacità, delle qualità, delle possibilità
anche produttive. Si è molto bravi a spendere tanti soldi per chiamare delle
persone anche brave e famose che vengono da fuori per fare gli spettacoli. Anche
noi chiamiamo delle persone da fuori per fare degli spettacoli però una cosa
è mettere tutto questo in relazione, per cui se io sono o voglio diventare regista
video e ho delle capacità o penso di averne posso entrare in relazione con questa
persona e crescere professionalmente e artisticamente, una cosa che io chiamo
qualcuno per fargli fare una barca di soldi, questo viene come una meteora e
se ne va. Ha preso dei soldi ma non ha lasciato niente. Bisogna creare delle
opportunità per cui, se viene qualcuno da fuori che ha qualcosa da insegnare
cerchiamo di prendere e cerchiamo di fare sì anche che ci siano opportunità
di sviluppo professionale. Molto spesso ci sono dei mestieri intorno all'artista
che va in scena, c'è lo scenografo, c'è l'elettricista, c'è tutta un'economia...Stiamo
parlando di cose piccole rispetto ai problemi di questa città ma è questo il
settore di cui Officine si occupa. Secondo me è importante che ci siano per
questa persone delle opportunità di sviluppo, di crescita, di lavoro. Questa
città, secondo noi da questo punto di vista ha un potenziale che si può sviluppare.
Noi ci stiamo puntando. E' una cosa di nicchia, che sicuramente non rivoluzionerà
chissà ché la situazione del lavoro a Catania però anche lì è un problema di
mentalità, che la cultura non sia semplicemente spendere per dare alla gente
d'estate qualcosa d'andare a fare la sera. Può anche diventare un momento di
confronto, di scambio e perché no di lavoro.
D. Cosa c'è di attualità nel passato ritrovato scavando la città sotterranea?
Come è cambiata Catania nel tempo a cosa resta invece d'immutato, di eterno?
R. Questa è una domanda da un milione di dollari! Quello che c'è di attuale
nel passato è sempre qualcosa che noi dobbiamo scoprire, io lo vedo anche come
un compito questo. Sia per non commettere gli errori del passato là dove è possibile,
per capire dove ci troviamo e perché ci troviamo in una certa situazione. Il
passato può essere anche una risorsa, un arricchimento. Nel corso del tempo
Catania è cambiata tanto. Si è modificata tante volte in modo molto brusco.
Se guardiamo lo sviluppo che ha avuto dal dopoguerra a oggi notiamo che Catania
è cambiata in modo traumatico. E' un dato innegabile, un problema che dobbiamo
affrontare e risolvere. Il dibattito, anzi il non-dibattito sul piano regolatore
è esemplificativo di questo. C'è un piano regolatore di Cervellati che ha anche,
credo, per quello che posso capire, anche dei punti qualificanti. Tuttavia Cervellati
è uno che ha un punto di vista estremamente conservativo nei confronti della
città, che secondo me è un po' limitato. E' un grosso problema che di queste
cose non se ne parli. Parliamo di cultura, ma quello che veramente modifica
la nostra vita, la storia mia personale, di mio figlio, di mio nipote è sapere
che cosa verrà costruito e come, le infrastrutture, che tipo di sviluppo avrà
questa città. Queste cose sono importanti per la vita di tutti noi, perché poi
il palazzo brutto, il quartiere brutto ce lo troviamo davanti per decenni, per
secoli a volte, mentre un libro si può anche buttare. L'urbanistica è fondamentale
ma purtroppo non c'è un dibattito se non tra le persone che hanno interesse:
le categorie, chi ha i terreni, chi deve costruire, chi deve dare le autorizzazioni.
Non c'è un dibattito pubblico. Questo denota ancora una volta che ci sono degli
aspetti, gravemente sommersi di cui non si discute in questa città. Anche di
questo a Mappe abbiamo provato un po' a parlare. Però non è sufficiente che
si facciano dei dibattiti in cui vengono cinquanta, cento persone quando dovrebbe
esserci una città coinvolta. Eppure non avviene. Forse perché non c'è l'interesse,
la cultura, l'intelligenza o perché si bada all'utile. Ciò non toglie che tutto
questo andrebbe fatto per il bene nostro e delle generazioni che verranno. Cosa
c'è d'immutato... sicuramente lavorando su Catania vengono fuori anche tutte
le stratificazioni tipiche geologiche, archeologiche, storiche della città.
Peraltro questo potrebbe essere valutato come una risorsa. Questa città ha un
potenziale da questo punto di vista. Potenziale che è un bene sociale e anche
economico che potrebbe essere goduto da tutti. Visto che abbiamo delle risorse
archeologiche importanti perché non trovare il modo di tirarle fuori, costruire
delle possibilità per cui un turista o un catanese possa andarle a vedere. C'è
una permanenza, una sedimentazione che viene data dalla storia. C'è un carattere
di Catania che emerge, è una città dinamica. C'è chi sostiene che questo avviene
anche per via del vulcano, del fatto che è stato distrutta tante volte e che
c'è una sorta di fatalismo quasi ormai inconscio dei catanesi per cui tutto
dev'essere consumato rapidamente perché tanto il domani non è sicuro. Durante
la prima sindacatura Bianco, la giunta commissionò un grosso studio internazionale
che si occupa proprio di fare progetti di studio e di ricerca sulle città e
che aveva lavorato su Lisbona, su Los Angeles, su grosse città del mondo. Sono
rimasti molto colpiti da Catania. Tra le cose che emergevano c'era appunto che
Catania ha un grandissimo potenziale per questioni geografiche e storiche, come
tutta la Sicilia. Queste sono cose che noi non valorizziamo per niente, invece
è molto importante per il nostro futuro. Se noi non ci muoviamo, corriamo il
rischio di diventare la frontiera armata meridionale dell'occidente piccolo.
Dobbiamo imparare a dialogare con l'altra sponda del mediterraneo. Noi avremmo
un ruolo importante, di contatto perché la nostra cultura e la nostra storia
è fatta anche di legami. Questo noi potremmo farlo più facilmente che un tedesco,
sicuramente è il nostro ruolo. Però di fatto non si fa. Prodi parla tanto d'investire
in questa direzione. Speriamo che ci siano delle opportunità e che qualcuno
le colga. Una delle cose che dicevano - in questo studio - era appunto: Catania,
come San Francisco che si trova su una faglia ed è una città che è stata distrutta
diverse volte, è una città dove non si studia molto la storia, dove non si fanno
molte assicurazioni sulla vita... C'è tutta una serie di cose, che lui diceva,
che accomunavano San Francisco con Catania, città entrambe ad alto rischio sismico,
che dà ad esse un carattere molto dinamico. Io credo che Catania queste caratteristiche
ce le abbia. Questo movimento dei soldi: la famiglia mafiosa, il nipote o il
figlio magari studia giurisprudenza, diventa imprenditore ed è già pulito, nel
giro di qualche generazione ci si ripulisce ed il denaro già crea una sorta
di buon borghese che ha studiato, poi magari il nonno è un mafioso. Però questi
soldi creano questo movimento, queste dinamiche sociali, mentre all'opposto
di Catania Palermo, città che è stata capitale, che ha avuto l'aristocrazia,
a me dà una sensazione molto meno dinamica, con dinamiche sociali molto più
bloccate. Quindi c'è questo carattere catanese, questo condizionamento dato
dal luogo.
Released online: November, 1999
