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Libri per l'estate da rileggere in inverno
di pina la villa
Stupid white men: il libro di Michael
Moore sugli Stati Uniti di Bush sembra una caricatura,
ma non lo è. Nel suo sviluppo grottesco, il
libro è proprio la fotografia di una nazione
in cui un presidente idiota è riuscito - con
l'aiuto della sua famiglia e dei ricchi americani
che hanno scoperto la politica per arricchirsi ancora
di più, i grandi finanziatori della sua campagna
elettorale, petrolieri in testa – a fare un
colpo di stato nella più avanzata delle democrazie
occidentali. Moore invoca l'intervento dell'ONU, altrove
lo hanno realizzato per molto meno.
Nel paese delle meraviglie è
il titolo di un articolo della giornalista neozelandese
Frances Kennedy su Internazionale del 27 giugno-3
luglio 2003. Racconta della sua difficoltà
a spiegare ai giornalisti che si collegavano con lei
per sapere cosa stava succedendo in Italia a proposito
delll'approvazione della legge che avrebbe tirato
fuori Berlusconi dai suoi guai giudiziari, come era
possibile che una cosa del genere passasse senza suscitare
una reazione popolare. Conducendo la sua intervista
per chiarire questo problema, la giornalista racconta
di essersi sentita come Alice nel paese delle meraviglie
al té del cappellaio matto, dove Alice si sente
dire che non c'è posto quando ce n'è
in abbondanza, e si vede offrire del vino quando non
ce n'è [...] “Insomma, Berlusconi è
riuscito in larga misura a imporre al paese la sua
versione della realtà Il risultato è
che troppi italiani pongono oggi – a se stessi
e ai loro governanti – le domande sbagliate.
Come nell'episodio di Alice e del cappellaio matto,
quando lei gli chiede perché il suo orologio
segna solo i giorni e non le ore e lui di rimando
le fa: ”E il tuo, perché non segna gli
anni?”. La domanda da porsi non è se
la condanna di Berlusconi durante la presidenza italiana
danneggerebbe l'immagine del paese, bensì se
non sia dannoso essere governati da uno che si fa
approvare le leggi per evitare i processi. La domanda
non è se la vendita della Sme sia stata gestita
in modo trasparente (cosa che quasi certamente non
è successa), ma se l'attuale premier abbia
corrotto un giudice per “aggiustare” la
sentenza sulla validità della vendita stessa.
La domanda non è se i giudici di Milano agiscano
per motivi politici, ma perché Berlusconi non
si presenti in tribunale, come un rispettoso cittadino
italiano, a dimostrare la propria innocenza”.
Susan Sontag, Davanti al dolore degli altri:
un'altra voce critica sugli Stati Uniti, una critica
sul terreno della fotografia, e delle foto di guerra
in particolare. Una storia degli ultimi cento anni
attraverso le guerre fotografate. All'inizio era lo
sguardo del fotografo ufficiale, poi quello della
guerra esaltata pur nella sua atrocità, oggi
è possibile trovare uno sguardo critico, ma
impotente. Il dolore resta degli altri.
Uno dei saggi più interessanti e chiari che
ho letto. Il successo del libro dii Susan Sontag è
confermato dalla pubblicazione in prima pagina di
un suo articolo, sul quotidiano La Repubblica del
28 luglio 2003, qualche giorno dopo l'uccisione dei
figli di Saddam Hussein e le loro foto che fanno il
giro del mondo, esposte come un trofeo di guerra (che
“i vincitori mostrano sulle picche dei media”
dice Tommaso di Francesco sul Manifesto.)
L'articolo di Susan Sontag, poiché parla
della modernità che pensa per frammenti e immagini
, è un elenco numerato dei vari aspetti e caratteri
della fotografia. Ne trascrivo qualcuno:
Liberatorio, ci viene detto, è osservare quanto
più è possibile (dal numero 4);
Nel modo moderno di vedere, la realtà è
innanzitutto apparenza, e in continuo mutamento. Le
fotografie registrano l'apparenza. La registrazione
fotografica è registrazione del mutamento,
della distruzione del passato. Essendo moderni capiamo
che ogni identità è una costruzione.
L'unica realtà irrefutabile – e il migliore
indizio per comprendere un'identità –
è il modo in cui appariamo. (7)
Nell'ottica della modernità, il numero dei
dettagli è infinito. Le fotografie sono dettagli.
Pertanto assomigliano alla vita. Essere moderni significa
vivere affascinati dall'indomita autonomia del dettaglio
(9); Chiamatela conoscenza, chiamatelo riconoscimento
– di una cosa possiamo star certi rispetto a
questo modo così moderno di fare esperienza:
il vedere, e l'accumulazione dei frammenti di ciò
che vediamo, non potrà mai avere fine.(13)
Su questi temi da leggere anche il libro di John Berger,
Sul guardare, Bruno Mondadori
Guardare non è solo un atto percettivo: si
intreccia con il vissuto, la storia e la memoria dell'uomo.
Il critico d'arte John Berger esplora l'enigma della
visione nel suo legame con la storia delle idee e
con il ruolo dell'immagine nella storia.
Ecco la storia: Esce il nuovo libro
di Pennac, Ecco la storia, Feltrinelli. Racconta di
un dittatore agorafobico e del suo sosia. La storia
gli è venuta in mente nel 1979 quando è
sbarcato con la moglie a Teresina in Brasile: “La
sera siamo usciti dall'albergo per passeggiare nella
notte e lì, su una piazza tonda sotto un lampione,
abbiamo visto due tizi appoggiati alla loro bici,
che guardavano qualcosa di luminoso per terra. Ridevano
a crepapelle. Ci siamo avvicinati a questi contadini
vestiti di stracci. Avevano trovato un vecchio televisore
e guardavano una scena di La febbre dell'oro di Chaplin.
Abbiamo guardato insieme la fine del film. Questo
momento inatteso di comunione mi ha segnato profondamente.
Ho pensato che questa scena potesse essere il cuore
di un libro e l'occasione per spiegare la violenza
universale dell'arte. Per scriverlo ho aspettato che
il ricordo fosse meno vivo. La testa di uno scrittore
è come un melo: i suoi frutti devono maturare.
Alcuni rimangono verdi, altri diventano buoni”.
Ecco la storia è anche questo: il narratore,
i personaggi, l'ispirazione. Una storia che racconta
il suo farsi.
Pennac cambia registro (ma io continuo a preferirlo
alle prese coi Malaussène. Con questa specie
di metaracconto ha perso la presa con la realtà
concreta di Belleville e dei suoi abitanti.) Il libro
è comunque bello e interessante, la riflessione
è a tutto campo, sulla storia, sulla politica,
sull'arte. In certe parti sembra di rileggere Marquez,
in altre Kundera, ma tutto in tono lieve e disincantato.
L'unica magia è quella dell'arte, è
il racconto in sé. Che trasfigura. Come nel
caso di un personaggio che nasce da una persona reale,
un'amica di Pennac, e che poi Pennac immagina reale,
e la incontra, e diventa sua amica, vanno a cena insieme,
commentano la storia che Pennac racconta e che lei
invece ha vissuto.
La memoria intatta: Erri De Luca Il contrario
di uno. La frase del titolo è nel
racconto Il pilastro di Rozes, il raccanto della scalata
di una montagna da parte del narratore e di una sua
amica.”Siamo a metà parete, sotto lo
strapiombo che chiamano schiena di mulo...Siamo due:
in parete è molto più del doppio di
uno...il nostro due si distacca di nuovo, a dipanare
una bava di corda tra noi: siamo un'unica bestia che
s'infila, si ritrae, s'attorciglia intorno a un ancoraggio
e poi si sfila verso l'alto...Andiamo dritti sopra,
dove la parete s'inclina e la linea di salita è
meno evidente. La nuvola insacca il pilastro...consumo
tutto il tratto di corda che ci separa, cinquanta
metri, mi accorgo che non me ne può più
allungare, mi fermo a uno spuntone...Siamo quasi fuori...Siamo
due, il contrario di uno e della sua solitudine sufficiente”
I racconti sono in realtà una lunga, pressoché
ininterrotta poesia.
Vergogna, di J.M. Coetzee, una
storia di sconfitta e vergogna, di colpe e di errori,
ma è la vita che conta, nuda e cruda, come
quella della bambina che nascerà, frutto di
uno stupro e di una rapina.
Coetzee è uno scrittore di Città del
capo, classe 1940.
“Continua a insegnare perché gli da
da vivere; anche perché gli insegna l'umiltà,
gli fa capire qual è il suo posto nel mondo.
L'ironia di questa situazione non gli sfugge: colui
che viene per insegnare impara la più bruciante
delle lezioni, mentre coloro che vengono per imparare
non imparano niente. Non parla mai a Soraya di questo
aspetto della sua professione. Dubita che in quella
della prostituta vi possa essere un lato altrettanto
beffardo” (da Coetzee, Vergogna)
I registi filosofi? Umberto Curi, ordinario di storia
della filosofia all'Università di Padova, ci
riprova. Dopo Lo schermo del pensiero
(Raffaello Cortina editore), in cui alla luce della
poetica di Aristotele e del mito della caverna di
Platone analizzava filosoficamente alcuni film (The
Truman Show, Shakespeare in love e altri), con Ombre
delle idee (Pendragon) continua la sua indagine
su altri film (American Beauty, La stanza del figlio,
Parla con lei, Moulin Rouge). Interessanti e stimolanti
le analisi, forse è vero che sarebbe difficile
trovarle sui testi dei critici cinematografici, nel
senso che la sua analisi si aggiunge, arricchisce,
quella degli addetti ai lavori. Analisi non sempre
condivisibili, soprattutto in questo secondo libro,
ma sempre stimolanti, in vista di un uso dei film
per la didattica della filosofia.
Certo il cinema è da tenere d'occhio, non fosse
che lo vedono un numero incommensurabilmente più
alto di quanti non leggano un romanzo, figuriamoci
un libro di storia o un testo filosofico...
Classificare: nel libro di Fabio Fazio, Il
giorno delle zucche ( Einaudi) le classifiche
sono un modo come un altro - il suo modo, il suo suggerimento
- per il gioco delizioso del ricordo e della nostalgia:
il negozio che mi piacerebbe avere; le cose che mi
fanno ridere, le cose che mi fanno piangere; gli alberi
(il salice centenario dietro Notre Dame a Parigi;
l'albero davanti alla scuola, quando il nonno lo andava
a prendere); i luoghi comuni più fastidiosi;
etc. etc.
Forse anche un modo per arrivare all'essenziale. Alla
fine del libro (un diario dell'ultimo anno), due pagine
sono dedicate alla moglie e sono un elenco di quanto
di più bello ricordi o possegga e quasi un
riepilogo di quanto ha raccontato: l'albero davanti
alla scuola, il nonno che lo andava a prendere, il
pianto della moglie in una precisa occasione, il volto
di un bambino...
Giorgio Agamben, Stato di eccezione,
Bollati Boringhieri, 2003, 12 Euro
[Altri libri di Agamben: Il linguaggio e
la morte del 1982; La comunità
che viene, del 1990].
Lavorare in filosofia significa traversare l'essere
con impegno etico, eliminando ogni residuo dialettico
e produrre di conseguenza conoscenza vera, politicamente
orientata, eticamente qualificata, nel senso di una
possibile umana redenzione. Soprattutto oggi, aggiungiamo
col titolo del libro, che lo stato d'eccezione, cioé
lo stato di morte, coinvolge ogni struttura di potere
e svuota in maniera radicale ogni esperienza e definizione
di democrazia. (dalla recensione di Toni Negri, su
Il Manifesto del 23 luglio 2003. Il resto è
poco comprensibile ma il libro va letto, anche per
questo).
E' già nelle librerie la collana edita da
Guida sulle “parole”della filosofia, curatori
Giuseppe Cacciatore, Giuseppe Cantillo e Antonello
Giugliano, titolo Parole chiave della filosofia.
Le parole, e i titoli dei volumi, sono: Ontologia,
etica sociale,Soggettività, ermeneutica etc.
Volumi di 150 pagine circa dirette per lo più
a studenti universitari, riassumono lo stato della
questione prendendo posizione nel dibattito attuale,
come per esempio il testo di Giuseppe Acocella Etica
sociale, sulla questione della fine dello stato e
di quello che comporta. “Senza stato niente
istituzioni democratiche, senza istituzioni democratiche
scarsa possibilità di far pesare la volontà
delle donne e degli uomini non appartenenti alla ristretta
elite dirigente”.
Francesca Marciano, intervistata a p. 23 di Repubblica
del 28 luglio 2003 , parla del suo libro - La
casa rossa, Longanesi, 2003 - e del Salento,
in cui il libro è ambientato e di l'autrice
afferma di essersi innamorata.
Francesca Marciano ha 48 anni, è sceneggiatrice
e scrittrice. E' nata e vive a Roma, ma ama viaggiare
e per scrivere vuole gli spazi ampi e silenziosi (queste
osservazioni sulle abitudini degli scrittori, sono
diventate d'obbligo sui giornali, e quindi ormai fastidiose).
Famiglia in cui ha respirato fin da piccola atmosfera
di cinema, viaggi in Grecia, a New York con Isabella
Rossellini al tempo de L'altra domenica.
Casa: la saga di Francesca Marciano ruota attorno
a una casa, appunto la casa rossa. Da quello che ho
capito siamo ancora una volta – si vede che
è arrivato il momento, dal film La meglio gioventù
allo stesso Erri de Luca di Il contrario di uno –
alla storia degli ultimi trenta-quarant'anni, terrorismo
compreso, ovvio. La casa è simbolo della famiglia,
la famiglia piccolo borghese protettiva e vista con
i colori della nostalgia, idilliaca quasi, fonte di
forza e unità – nel film La meglio gioventù
e nel libro. E' vero che la famiglia è protagonista
della nostra storia, nel bene e nel male, più
nel male che nel bene, ma perché anche i giovani
autori devono farne il fulcro delle loro storie? Così
non si rischia di perpetuare il disastro della società
civile in Italia?
Perché non c'è ancora un Jonathan Coe
in Italia?
Perché non una bella storia in cui il centro
è la piazza, senza interni, senza famiglie?
De Luca, che non parla della famiglia, mette però
al centro l'individuo solo e depresso, sconfitto dalla
storia. Non c'è una via di mezzo?
Il catalogo della mostra di Bagheria su Guttuso
ha in copertina il quadro Nuvola rossa. La pittura
di Guttuso non è eccelsa, ma i temi dei suoi
quadri e le foto che lo ritraggono con i personaggi
del mondo politico-culturale degli anni cinquanta-sessanta
sono interessanti, proprio dal punto di vista storico
e del costume. Colori troppo forti, linee pesanti,
nudi di donna brutti e visi quasi altrettanto –
i ritratti di Anna Magnani e Giovanna Ralli sembrano
caricature, ma caricature che non dicono niente delle
persone. Nelle foto: una serata in una trattoria romana
con Gino Cervi, Giuseppe De sanctis, Vittorio De Sica,
Ingrid Bergman, Aldo Fabrizi, Carlo Levi. Foto con
Anna Magnani, Palmiro Togliatti, Ignazio Buttitta,
altri esponenti del partito comunista, ma poi anche
con sandro Pertini già presidente della Repubblica.
Sofisticatissima e antipatica la moglie di Guttuso,
Sinise.
I temi: le zolfare, le mondine, i picciotti, l'occupazione
delle terre, poi i due innamorati - lei in minigonna,
lui in jeans - sullo sfondo di frasi in francese sui
giovani (siamo nel '68), una scena di ballo degli
anni sessanta, l'uomo che legge il giornale, il ritratto
di Lenin.
Lo schizzo dedicato a Guttuso da Picasso, una linea
continua, netta, nera che disegna un profilo di donna.
Jonathan Coe, Donna per caso, Feltrinelli,
2003 (ma è uno dei primi romanzi di Coe, del
1987, prima de La famiglia Winsham etc.). Un'altra
notazione, il titolo inglese è The Accidental
Woman. Credo che il titolo italiano non renda a pieno
il significato inglese, che mi è chiaro alla
fine della lettura. Coe prende una donna a caso, una
qualunque e si “esercita” a raccontare
la sua vita, come una specie di narratore esterno
ma, alla Fileding, intervenendo e interloquendo continuamente
con i lettore. Fatti i debiti calcoli Maria, questo
è il nome della donna a caso, è nata
nel 1951-52. La incontriamo quendo la direttrice del
college le comunica che, unica fra le ragazze, è
stata ammessa a Oxford. Una vita promettente. Non
che la cosa le interessi tanto, Maria è un
tipo piuttosto indifferente, o almeno così
ce la presenta il narratore. E così, da tipo
abbastanza comune e indifferente seguiamo la sua vita.
Un paio di amori, di cui uno le resterà impresso,
forse era quello giusto, ma né lei né
lui hanno avuto il coraggio di dirlo apertamente,
di scegliere di condividere la loro vita. Un ragazzo,
Ronnie, che la chiede sempre in sposa ma a cui lei
risponde sempre di no. Poi un marito violento, che
la picchia e poi la lascia togliendole il figlio Edward.
Un periodo sereno durante la convivenza con la sua
amica Sarah. Ma poi Sarah si sposa e lei resta con
l'altra inquilina, Dorothy e le cose si mettono male,
a causa delle avances di Dorothy. Maria si ritrova
sola. E particolarmente depressa. Tutto qui. Una vita
come tante. Una donna come tante. Indifferente. Il
lavoro che fa non le piace mai. L'unica cosa che le
piace è la musica, piacere che condivideva
col ragazzo andato via, al quale ripensa anche ora,
nell'ultima fase della sua vita che il narratore segue,
perché poi si annoia anche lui, della vita
di Maria. Qualcosa di più profondo su Maria
e su cosa ne pensi veramente l'autore – delle
donne in genere e di quella generazione in particolare,
che lui ama raccontare, anche in altre sue opere –
la possiamo leggere a p. 137. “Si, Maria viveva
da sola, e si potrebbe quindi pensare che fosse libera
di godersi tutta la solitudine che desiderava. Eppure
ciò era molto lontano dalla realtà.
Pura perversione, di sicuro. Maria non si sentiva
mai meno sola di quando era per i fatti suoi, in casa
sua. Era da se stessa che cercava con forza di fuggire.
Suona un po' ritrito, come concetto, vero? Dobbiamo
riconoscere però che in ciò che Maria
definiva 'se stessa' – o forse sono stato io
– c'era un'intera folla di persone che non avrebbero
dovuto trovarsi lì. Non devo ricordarvi i loro
nomi, perché già li conoscete: vi ho
presentato tutte le persone importanti mentre vi raccontavo
questa storia. Queste persone, ex amici, ex mariti,
ex colleghi, fratelli e madri e padri e figli, semplicemente
non la lasciavano in pace, tanto meno quando Maria
era sola sotto ogni altro punto di vista. Le loro
voci e le loro facce e a volte i loro corpi riempivano
i suoi pensieri, dominavano i suoi sentimenti e ottundevano
tutti gli altri suoi sensi”
Non so se la pensa così anche Coe – sembrerebbe
di si – ma credo che il problema delle tante
Marie sia stato, sia, questo: avere i sensi e i pensieri
dominati dagli altri, da tutti gli altri della vita.
Maria non c'è, non riusciamo a focalizzarla:
Maria è la studentessa modello, la moglie tradita,
la collega bistrattata, la donna sola.
E' interessante la data di pubblicazione del libro:
1987. Anni ottanta. In Italia e, presumo, in Inghilterra,
apparentemente il femminismo ha trionfato, le donne
sono tutte in carriera, soprattutto quelle che sono
state a Oxford. Chissà se oggi Coe scriverebbe
la stessa storia? Sarebbe interessante rileggere gli
altri suoi romanzi e studiarne le figure femminili...
Rileggere: Ideale piano di rilettura, quasi una classifica,
dei libri e degli autori letti dai 14 anni in su.
Vado a memoria:
Memorie di una ragazza perbene, di Simone de Beauvoir;
La nausea, di Jean Paul Sartre (l'accostamento non
è casuale. Di Sartre si parlava nel libro di
Simone, quindi la lettura diventava obbligatoria);
Lessico famigliare, di Natalia Ginzburg;
Bonjour tristesse, di Francoise Sagan;
i racconti raccolti ne Il muro, di J.P.Sartre;
Balzac: La pelle di zigrino, Le illusioni perdute,
Papà Goriot...
Tolstoj: Guerra e pace, ma soprattutto Anna Karenina;
Flaubert, Madame Bovary;
Manzoni, I promessi sposi;
Verga, Le novelle, I Malavoglia, il teatro;
Thomas Mann, I Buddenbrock, La montagna incantata;
Henry Fielding, Tom Jones;
Dickens, David Copperfield, La piccola Dorritt;
Dumas, Il conte di Montecristo;
I ragazzi della via Paal (non ricordo l'autore);
Il diario di Anna Franck;
Amado, L'amore ai tempi del colera, Donna Flor e i
suoi due mariti;
Marquez, Cent'anni di solitudine;
Elsa Morante, La Storia, L'isola di Arturo;
Moravia, Gli indifferenti, racconti romani;
Gadda, Quel pasticciaccio brutto di Via Merulana
Pavese, La bella estate;
Cassola, La ragazza di Bube;
Pratolini, Metello;
Vittorini, Conversazione in Sicilia;
Sciascia, tutto.
Pirandello: Quaderni di Serafino Gubbio operatore,
Uno, nessuno, centomila, Tutto il teatro;
Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo;
Federico De Roberto, I viceré;
Pennac, tutto;
Jonathan Coe, tutto;
Manuel Vasquez Montalban, tutto;
Alicia Gimenez-Bartlett, tutto;
Jean-Claude Izzo, tutto;
Coetzee, tutto.
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