Mafia e informazione a Catania, di Marco Benanti

di Salvatore Mica - martedì 1 marzo 2005 - 7674 letture

Mafia e informazione a Catania (quando un sistema di potere si confonde con la sua stampa) di Marco Benanti

’Informazione e democrazia: un binomio stretto che a Catania, però, storicamente non è mai esistito. Attorno all’editoria, infatti, si è unito un blocco di potere che impera a Catania e che peraltro ha prodotto un sistema di equilibri che tiene nel sottosviluppo anche la stessa attività editoriale.

Il giornale "La Sicilia" del presidente uscente della Fieg, Mario Ciancio Sanfilippo, non è solo, infatti, l’espressione di un monopolio privato, che va dalla stampa quotidiana all’emittenza televisiva, passando per radio e prodotti internet, ma soprattutto è asse portante di trasversali intrecci politici, economici, sociali, spesso non trasparenti. Le più rilevanti operazioni che riguardano la città e il suo futuro trovano cassa di risonanza nel quotidiano locale, capace di inglobare in sé tutto l’arco delle forze politiche, economiche e sociali, all’interno di un paravento che è però, solo una mera rappresentazione formale di democrazia. Nei fatti, la storia di Catania è la storia dei silenzi interessati del suo establishment, delle sue omissioni, delle sue mistificazioni puntualmente accolte nel quotidiano di Ciancio, peraltro erede di una delle massime espressione del potere degli agrari e suo portavoce, nelle espressioni più retrive, per decenni. Quello dell’informazione locale è, pertanto, solo un capitolo della triste storia di una città immobile: quello dei media è infatti un sistema che contribuisce da impedire il ricambio politico-sociale. E la mafia, sempre e ovunque presente a Catania, ne "incassa" i benefici pratici.

Il riferimento è ai media in generale, dalla carta stampata, alla televisione, alla radio, un intero comparto egemonizzato da Mario Ciancio, divenuto "dominus" anche nel settore della raccolta pubblicitaria (il riferimento è alla Publikompass) con un’operazione di accaparramento che è letale per chi vuole creare nuovi ambiti di partecipazione democratica. Non a caso, molte esperienze nate in questi anni nella nostra provincia hanno dovuto fare i conti con questa condizione generale, con conseguenze spesso drammatiche (vedi il caso de "I Siciliani"). Molte sono riuscite appena a sopravvivere, altre sono affondate, sommerse, oltre che dai debiti, dall’indifferenza della classe politica e della cosiddetta società civile, che, al di là dei rituali attestati di solidarietà, nulla di concreto ha fatto per rilanciare forme di pluralismo nell’informazione a garanzia della nascita di nuove opportunità di partecipazione democratica. Anche in questa occasione, quindi, Catania si è confermata città dove il potere ha un solo "volto", quello consociativo, non tanto poi diverso da quanto presenti il quadro nazionale. E la mafia può così continuare a fare affari, con "coperture" a tutti i livelli, non esclusi il sindacato e le rappresentanze della cosiddetta "sinistra".

Il nodo informazione è, quindi, irrisolto, con devastanti conseguenze: Catania può così essere l’ "Etna Valley" della propaganda della passata amministrazione di centro-sinistra e poi di quella della nuova giunta di centro-destra e contemporaneamente ospitare uno dei massimi "latifondi editoriali" italiani, dove le condizioni di lavoro sono -grazie anche al sindacato- un mistero che solo chi è in malafede occulta nella sua realtà di sfruttamento quotidiano di tanti collaboratori privi di ogni diritto.

Nel dettaglio, così come accade a Palermo con "Il Giornale di Sicilia" e a Messina con "La Gazzetta del Sud", "La Sicilia" ha un direttore che è anche un editore. Mario Ciancio, quindi, incarna una duplice veste che è una contraddizione in termini per ogni discorso su libertà di stampa e democrazia. I termini della questione sono però molto più gravi: Ciancio è allo stesso tempo vicepresidente dell’Ansa, la terza agenzia di informazione del mondo e snodo centrale dell’informazione siciliana, guarda caso ospitata nell’edificio dove ha sede la redazione de "La Sicilia", ha partecipazioni azionarie negli altri due quotidiani isolani, controlla gran parte dell’emittenza televisiva privata catanese e siciliana, si è spinto con i suoi interessi editoriali da tempo in Puglia (caso "Gazzetta del Mezzogiorno" di Bari) e Basilicata, oltre ad avere interessi fondiari, imprenditoriali e pubblicitari che si intersecano in modo allarmante con la vita politica di Catania e della Sicilia intera.

Un capitolo a parte, poi, merita la condizione dei collaboratori dei giornali, delle emittenti radiotelevisive e delle redazioni on line(compresi i terziarizzati operanti nei services) che vivono in condizioni da "Terzo Mondo", sfruttati da un sistema che pretende prestazioni continue per paghe scandalose, di fronte alle quali il sindacato non ha mai alzato -sul serio- la voce. Centinaia di lavoratori sono così marginalizzati, ridotti all’eterna condizione di "giovani", in attesa esclusivamente di un "padrino" che risolva loro i problemi in un sistema che rifiuta ogni principio se non di giustizia, almeno di meritocrazia e privilegia le appartenenze a gruppi ristretti, parasindacali o non, a "clan" di parenti o "amici". L’ultima beffa è arrivata, poi, dagli uffici stampa: è stata approvata la legge nazionale, sono arrivati di decreti regionali, ma ancora l’ingresso in questi posti è segnato esclusivamente da logiche clientelari o corporative. Per l’ennesima volta, l’esistenza di un ordine professionale, caso unico in Europa, escludendo la Turchia, produce i suoi "mirabili" effetti’

Da italy.indymedia.org


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