Racconti in disparte

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Racconti in disparte

di Patrizia Parnisani (Diario della settimana - venerdì 26 luglio - giovedì 1 agosto 2002)

Una prosa rarissima e stupefacente, opera di un misterioso autore. Tra i tanti capolavori, piccoli e grandi, che la letteratura russa genera da sempre si aggiunge ora questo prezioso libretto. Si tratta della splendida raccolta di racconti Terra d'origine di Dmitri Bakin. Nulla è dato sapere su chi si celi dietro questo nom de plume o almeno ben poco. Un giovane magro, sulla trentina, un conservatore, un uomo del Sud, che ama lavorare come camionista.

Realtà o leggenda, l'autore difende con tenacia la propria vita dal successo. Quel poco che di lui si conosce ce lo racconta Byron Lindsey nel breve saggio conclusivo del volume, Il mistero di Bakin, che già nel titolo riconferma la penuria di informazioni sulla vita di questo scrittore schivo ed eccentrico, che sembra specchiarsi in uno dei suoi personaggi: «In lui dominava il desiderio di restare in disparte, immobile lontano dal torbido scorrere degli anni... ingannando l'ombra della legge che cade sulla testa di ognuno al momento della nascita».

Ciò che più ammalia e stupisce in questi racconti è l'uso di una lingua profondamente poetica e lirica, ricca di metafore magistrali che ricordano la bellezza stilistica di Bruno Schulz. Ma pur nell'opulenza semantica, la lingua di Bakin riesce a essere imprevedibilmente dura e scarna. Al centro di ognuno dei sette racconti c'è un'ossessione raccontata in uno stile che avvicina Bakin alla prosa spesso feroce di Thomas Bernhard. Esistenze asserragliate dietro barricate, reti mimetiche, fossati anticarro, per scongiurare assedi reali o immaginati come in Difesa armata. Luoghi spesso claustrofobici e desolanti che mostrano soltanto rovina o abbandono. Odi e amori devastanti poiché frutto di vite tutte d'un pezzo che si nutrono solo dell'eccesso, che non conoscono sfumature; per questo l'odio è «freddo, nitido, interdetto». Assurde forze della natura, (pregna di odori che nascondono un senso segreto) si scatenano feroci e improvvise trascinando con sé uomini dall'aspetto infelice, trascurato offeso fino alle lacrime. Esseri crudeli o raramente miti, ma di quella mitezza che conosce la rovina, d'una «docilità cadaverica, ecclesiastica». Molteplici le mutilazioni fisiche o mentali di questi poveri esseri reduci da profondi sottosuoli dostoevskiani e che difficilmente conoscono la risalita verso la luce. Degenerazioni e sconfitte sono ereditarie, scolpite nell'albero genealogico; il protagonista di Terra d'origine, infatti, porta sempre con sé un foglio da disegno con impressi tutti i cognomi della propria famiglia, progressivamente degradata, per cercare il perché della rovina. Storie di assurde e ingiustificate tirannidi cui nemmeno la morte sembra metter fine come nel racconto, forse il più bello, L'agrimensore. Tiranni verso gli altri o verso se stessi come un uorno che «aveva consurnato mostruose riserve di forza e di rabbia nella lotta contro se stesso, ed era stato ingloriosamente sconfitto dall'ulcera e dal cancro».

Il periodo storico nel quale queste storie vengono narrate si snoda dal secondo dopoguerra fino agli anni Ottanta, ma qui, tra queste righe, tempo e storia non contano, non hanno reale consistenza; ciò che accade o che più spesso non accade è paradigma e misura d'altro, del complesso mistero d'ogni esistenza e dell'anelito incessante a una qualunque (anche la più triviale, assurda o inaspettata) forma di libertà. Bakin scruta con i sensi tesi e pronti a scattare su ogni minimo scarto dell'animo umano, scavando tra le follie e le passioni. I sensi e gli occhi sono tutto e Bakin a lungo si sofferma sugli sguardi, sugli occhi dei suoi desolati personaggi, spesso sulla loro cecità. Un piccolo capolavoro, dunque, simile alla vita delI'autore celata nel mistero intrigante di cui si circonda; verrebbe da chiedersi se non sia anch'essa frutto d'un racconto in bilico tra Gogol' e Belyj.

Contesto

P come post-: nuovi scenari della letteratura russa

 


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