Mosca, Babilonia

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Mosca, Babilonia

La nuova narrativa russa fa i conti con una società in crisi, di Guido Caldiron (Liberazione)

«Esteriormente non era cambiato molto: c'erano più mendicanti per strada, e d'un tratto tutto era come invecchiato e degradato. Non si poteva dire neanche che il mondo fosse cambiato nella sua essenza, perché ormai non aveva più alcuna essenza. Ovunque regnava una spaventosa incertezza. Nonostante ciò le strade erano inondate da fiumi di Mercedes e Toyota guidate da tracagnotti perfettamente sicuri di sé e del presente (...) La tv mandava in onda sempre gli identici grugni che nell'arco degli ultimi vent'anni avevano nauseato tutti. Dicevano le stesse identiche cose per le quali prima avevano mandato altra gente in galera, solo che adesso erano molto più impavidi, decisi e risoluti (...) Tatarskij naturalmente odiava il potere sovietico nella maggior parte delle sue manifestazioni, ma non riusciva comunque a capire se fosse davvero valsa la pena di trasformare l'impero del male in una repubblica delle banane del male, che per di più importava le banane dalla Finlandia».

Così Vavilen Tatarskij, il protagonista di Babylon, il romanzo più noto di Victor Pelevin, il maggiore scrittore russo dell'epoca postsovietica, osserva con ironia e disincanto la realtà che lo circonda. Pelevin, definito da "Time" come un «Nabokov psichedelico per l'epoca del cyber», e paragonato a autori del calibro di Gogol e Bulgakov, indica con chiarezza quale sia la tendenza più rilevante della giovane narrativa russa. In Babylon (pp. 293, euro 12,39), pubblicato da Mondadori nel 2000, Pelevin descrive lo spaesamento di un giovane nato in Russia negli anni Sessanta, la "generazione Pepsi" come la chiama l'autore, nel cimentarsi con la nuova realtà del dopo Urss. Negli altri suoi romanzi e racconti, questo ex studente di ingegneria aeronautica nato a Mosca nel 1962 esprime la stessa inquietudine.

Non si tratta, come per gli altri giovani autori russi che le traduzioni stanno rendendo rapidamente popolari in tutto il mondo, di esprimere in alcun modo una nostalgia per l'Urss, quanto piuttosto di tracciare le coordinate dell'epoca inquieta che questo enorme paese sta attraversando anche come estrema eredità avvelenata del passato regime. Il rapido arricchimento dei pochi, la miseria dei più, l'incubo costante della guerra, prima in Afghanistan e ora Cecenia, l'inesistenza di una vera struttura democratica che si sottragga al potere sotterraneo delle mafie: la Russia di oggi, la stessa che è uscita dal voto premiando il populismo guerriero di Putin, si specchia in queste pagine dove Mosca appare sempre più simile a una nuova Babilonia.

Come un diario dal fronte, dalle macerie di città sempre più pericolose e abitate da una folla di emarginati di ogni età e da giovani disperati, ma decisi a vivere o almeno a sopravvivere cercando in tanta tragedia la propria via, talvolta strettemente individuale, verso la felicità, queste pagine descrivono una realtà in presa diretta. La fotografia più crudele di un esperimento di massa nel segno dell'infelicità. Perché anche quando questi racconti sono nel segno della rivolta ad ogni regola, l'ombra oscura della morte e della violenza vi si affaccia costantemente. Come in Dammi! (pp. 210, euro 12,80), il romanzo d'esordio della scrittrice ventenne Irina Denezkina pubblicato da qualche mese nella collana Stile libero di Einaudi.

«Denja - scrive Denezkina - ha vent'anni. E' tornato da pochi mesi dal servizio militare. E' stato nella celebre divisione Tamanskaja, è stato in Cecenia, davanti ai suoi occhi i barbuti hanno ammazzato uno dopo l'altro tutti i suoi amici, e lui è rimasto vivo. E adesso fa la guardia giurata, ma si annoia in questa città, si annoia un po' dappertutto fuori dall'esercito. La sua ragazza non l'ha aspettato e si è sposata prima che tornasse. Alla fine spiega con fervore che forse sarebbe meglio tornare un'altra volta in Cecenia». Tutti tornano da un fronte, in questa società ferita che dalla guerra in Asia centrale degli anni Ottanta è passata a quella nel Caucaso dell'ultimo decennio.

I reduci, le loro mogli, sorelle e soprattutto madri, protagonisti di Ragazzi di zinco (pp. 316, euro 16,00) di Svetlana Aleksievic, pubblicato come il suo precedente Preghiera per Cernobyl dalle Edizioni E/O, sono passati per la macelleria delle montagne afghane. Almeno quattordicimila ragazzi russi sono tornati a casa stretti nelle casse di zinco concesse dall'Armata rossa ai suoi caduti in battaglia; oltre cinquantamila hanno riportato gravi ferite, senza contare il mezzo milione di vittime tra gli afghani. «Li sente questi latrati? Perché nessuno li sente? Solo io... - si chiede una delle madri che raccontano dei loro figli persi a Kabul nelle pagine di Aleksievic - Invidio quella madre il cui figlio è tornato con le gambe amputate... Anche se lui odia tutto e tutti... Anche se le si rivolta contro, come una belva ferita... Anche se lei deve "comprargli" delle prostitute per placarlo... Anche se lui vorrebbe ucciderla perché l'ha messo al mondo...».

Anche quando, come nel caso de I ragazzi di Pietroburgo (pp. 378, euro 8,50) di Sergej Bolmat, pubblicato da Rizzoli, la chiave scelta è chiaramente scanzonata e ironica, i conti con la dura realtà russa non possono non essere fatti. La ricerca della felicità finisce così per passare inesorabilmente per un vera e propria scalata al mondo criminale, quasi l'immagine speculare del successo economico nella Russia postsovietica. «In tre anni Charin - scrive Bolmat - da comunissimo soldato semplice di una insignificante banda con base in un appartamento in coabitazione sulla via Grazdanka, e affezionato ospite delle patrie galere - era diventato generale di un esercito. Aveva combattuto due guerre di mafia, due volte era stato ferito, e alla seconda ferita era seguito un ricovero di tre mesi e mezzo in un ospedale di Cipro (...) Dopo una breve analisi, Charin era giunto alla conclusione che aveva bisogno di una autorevole società di gestione del personale con un'eccellente reputazione. Fece una ricerca e trovò la società che faceva al caso suo. Era pronto a comprarla per tremila dollari».

Contesto

P come post-: nuovi scenari della letteratura russa

 


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