La scomparsa di Giuseppe Petronio

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La scomparsa di Giuseppe Petronio

Gramsci e soprattutto Lukács i suoi riferimenti per una critica della letteratura di stampo sociologico
di RAFFAELE MANICA (da Il Manifesto, 15 gennaio 2003)

Molti e vari furono i modi di atteggiarsi della critica e della storiografia letteraria italiana al ridursi della presenza di Benedetto Croce, intensificati alla scomparsa di quel maestro e sempre più cospicui dagli anni Cinquanta in poi. Un'intera generazione, per le certezze perdute o per i conti sempre rinviati, si volse altrove, anche talvolta mantenendo saldo il tratto storicistico. Giuseppe Petronio, scomparso alle soglie dei novantaquattro anni, apparteneva in pieno, per evidenza delle ragioni anagrafiche, agli studiosi che Croce avevano incontrato negli anni della maturità. Dunque il suo rivolgersi agli strumenti del marxismo pareva per forza destinato a rimanere radicato nello storicismo crociano. Ma, passato anche attraverso Gramsci, Petronio approdò a un territorio più lontano, una specie di sirena alla quale, come lui, non furono immuni altri suoi coetanei: la sociologia applicata alla letteratura, incontro di discipline dove il pur ribadito ancoraggio ai valori formali finiva per mostrarsi più che altro una petizione di principio, se non un miraggio. La sua vicenda di studioso lo aveva portato in alcune università europee, poi a Cagliari e a Trieste, mentre già si consumava una tipica vicenda di uomo di sinistra di quegli anni: da azionista a marxista, prima socialista e poi comunista, attirato da Gramsci, s'è detto, ma soprattutto dal Lukács di Storia e coscienza di classe e dei saggi sul romanzo e sul realismo, che potevano prospettarsi, nell'uso quotidiano, non immuni da qualche schematismo, fino ad avversare itinerari di diversa indole, per esempio spiccatamente formali, in nome di una qualche sostanza letteraria intravista come di maggior concrettezza ma, alla fine, più ipotizzata che accertata.

Una conseguenza di queste persuasioni, che si potrebbe definire didattica, fu la vena tra il pedagogico e l'ammonitorio da una parte; dall'altra si riscontra una esigenza di responsabilità civile che, tuttavia, finisce per subordinare talvolta l'opera, anche grande, al rango di documento. Poi però, scorrendo la bibliografia di Petronio, si vede che i frutti della sua operosità non furono uniformi, ma diversamente problematici. Così, si consulta ancora con qualche profitto il Dizionario enciclopedico della letteratura italiana da lui diretto nella seconda metà degli anni Sessanta, particolarmente per l'accuratezza bibliografica dei cataloghi; e sono ancora importanti vari volumi della Storia della critica impostata e uscita tra fine degli anni Cinquanta e metà degli anni Settanta. Né si prescinde da molti suoi titoli, a partire dal saggio critico su Boccaccio (1935) fino a Parini e l'Illuminismo lombardo (1961). Infine va notato l'accendersi di nuove curiosità: non solo per i volumi sulla letteratura di massa e di consumo (1979) o sul romanzo poliziesco (1985), terreni ideali per la sociologia della letteratura, ma per l'interesse verso lo strutturalismo, l'idea di canone, le questioni teoriche in genere. E non si dimenticano, infine, i libri per la scuola, molto amati ma anche molto respinti; sempre molto segnati dalla sua personalità, che non è un demerito, se non secondo i sociologismi letterari.

Contesto: Giuseppe Petronio

 


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